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28 Dicembre 2019Apollo e Dafne di Ovidio seconda parte vv. 535-549
28 Dicembre 2019Il brano di Ovidio appartiene al primo libro delle “Metamorfosi” e narra il mito di Apollo e Dafne.
Con il seguente testo, Ovidio incomincia a raccontarci la parte fondamentale del mito che ha ispirato molti scrittori e artisti.
452 Primus amor Phoebi Daphne Peneia, quem non
453 fors ignara dedit, sed saeva Cupidinis ira,
454 Delius hunc nuper, victa serpente superbus,
455 viderat adducto flectentem cornua nervo
456 ‘quid’ que ‘tibi, lascive puer, cum fortibus armis?’
457 dixerat: ‘ista decent umeros gestamina nostros,
458 qui dare certa ferae, dare vulnera possumus hosti,
459 qui modo pestifero tot iugera ventre prementem
460 stravimus innumeris tumidum Pythona sagittis.
461 tu face nescio quos esto contentus amores
462 inritare tua, nec laudes adsere nostras!’
463 filius huic Veneris ‘figat tuus omnia, Phoebe,
464 te meus arcus’ ait; ‘quantoque animalia cedunt
465 cuncta deo, tanto minor est tua gloria nostra.’
466 dixit et eliso percussis aere pennis
467 inpiger umbrosa Parnasi constitit arce
468 eque sagittifera prompsit duo tela pharetra
469 diversorum operum: fugat hoc, facit illud amorem;
470 quod facit, auratum est et cuspide fulget acuta,
471 quod fugat, obtusum est et habet sub harundine plumbum.
472 hoc deus in nympha Peneide fixit, at illo
473 laesit Apollineas traiecta per ossa medullas;
474 protinus alter amat, fugit altera nomen amantis
475 silvarum latebris captivarumque ferarum
476 exuviis gaudens innuptaeque aemula Phoebes:
477 vitta coercebat positos sine lege capillos.
478 multi illam petiere, illa aversata petentes
479 inpatiens expersque viri nemora avia lustrat
480 nec, quid Hymen, quid Amor, quid sint conubia curat.
481 saepe pater dixit: ‘generum mihi, filia, debes,’
482 saepe pater dixit: ‘debes mihi, nata, nepotes’;
483 illa velut crimen taedas exosa iugales
484 pulchra verecundo suffuderat ora rubore
485 inque patris blandis haerens cervice lacertis
486 ‘da mihi perpetua, genitor carissime,’ dixit
487 ‘virginitate frui! dedit hoc pater ante Dianae.’
488 ille quidem obsequitur, sed te decor iste quod optas
489 esse vetat, votoque tuo tua forma repugnat:
490 Phoebus amat visaeque cupit conubia Daphnes,
491 quodque cupit, sperat, suaque illum oracula fallunt,
492 utque leves stipulae demptis adolentur aristis,
493 ut facibus saepes ardent, quas forte viator
494 vel nimis admovit vel iam sub luce reliquit,
495 sic deus in flammas abiit, sic pectore toto
496 uritur et sterilem sperando nutrit amorem.
497 spectat inornatos collo pendere capillos
498 et ‘quid, si comantur?’ ait. videt igne micantes
499 sideribus similes oculos, videt oscula, quae non
500 est vidisse satis; laudat digitosque manusque
501 bracchiaque et nudos media plus parte lacertos;
502 si qua latent, meliora putat. fugit ocior aura
503 illa levi neque ad haec revocantis verba resistit:
504 ‘nympha, precor, Penei, mane! non insequor hostis;
505 nympha, mane! sic agna lupum, sic cerva leonem,
506 sic aquilam penna fugiunt trepidante columbae,
507 hostes quaeque suos: amor est mihi causa sequendi!
508 me miserum! ne prona cadas indignave laedi
509 crura notent sentes et sim tibi causa doloris!
510 aspera, qua properas, loca sunt: moderatius, oro,
511 curre fugamque inhibe, moderatius insequar ipse.
512 cui placeas, inquire tamen: non incola montis,
513 non ego sum pastor, non hic armenta gregesque
514 horridus observo. nescis, temeraria, nescis,
515 quem fugias, ideoque fugis: mihi Delphica tellus
516 et Claros et Tenedos Patareaque regia servit;
517 Iuppiter est genitor; per me, quod eritque fuitque
518 estque, patet; per me concordant carmina nervis.
519 certa quidem nostra est, nostra tamen una sagitta
520 certior, in vacuo quae vulnera pectore fecit!
521 inventum medicina meum est, opiferque per orbem
522 dicor, et herbarum subiecta potentia nobis.
523 ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis
524 nec prosunt domino, quae prosunt omnibus, artes!’
525 Plura locuturum timido Peneia cursu
526 fugit cumque ipso verba inperfecta reliquit,
527 tum quoque visa decens; nudabant corpora venti,
528 obviaque adversas vibrabant flamina vestes,
529 et levis inpulsos retro dabat aura capillos,
530 auctaque forma fuga est. sed enim non sustinet ultra
531 perdere blanditias iuvenis deus, utque monebat
532 ipse Amor, admisso sequitur vestigia passu.
533 ut canis in vacuo leporem cum Gallicus arvo
534 vidit, et hic praedam pedibus petit, ille salutem;
Traduzione
Qui sotto traduzione italiana nella Ovid Collection http://etext.lib.virginia.edu/latin/ovid/italian.html:
452. Il primo amore di Febo fu Dafne, figlia di Peneo,
453. e non fu dovuto al caso, ma all’ira implacabile di Cupido.
454. Ancora insuperbito per aver vinto il serpente, il dio di Delo,
455. vedendolo che piegava l’arco per tendere la corda:
456. «Che vuoi fare, fanciullo arrogante, con armi così impegnative?»
457. gli disse. «Questo è peso che s’addice alle mie spalle,
458. a me che so assestare colpi infallibili alle fiere e ai nemici,
459. a me che con un nugolo di frecce ho appena abbattuto Pitone,
460. infossato col suo ventre gonfio e pestifero per tante miglia.
461. Tu accontèntati di fomentare con la tua fiaccola,
462. non so, qualche amore e non arrogarti le mie lodi».
463. E il figlio di Venere: «Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà,
464. ma il mio trafigge te, e quanto tutti i viventi a un dio
465. sono inferiori, tanto minore è la tua gloria alla mia».
466. Disse, e come un lampo solcò l’aria ad ali battenti,
467. fermandosi nell’ombra sulla cima del Parnaso,
468. e dalla faretra estrasse due frecce
469. d’opposto potere: l’una scaccia, l’altra suscita amore.
470. La seconda è dorata e la sua punta aguzza sfolgora,
471. la prima è spuntata e il suo stelo ha l’anima di piombo.
472. Con questa il dio trafisse la ninfa penea, con l’altra
473. colpì Apollo trapassandogli le ossa sino al midollo.
474. Subito lui s’innamora, mentre lei nemmeno il nome d’amore
475. vuol sentire e, come la vergine Diana, gode nella penombra
476. dei boschi per le spoglie della selvaggina catturata:
477. solo una benda raccoglie i suoi capelli scomposti.
478. Molti la chiedono, ma lei respinge i pretendenti
479. e, decisa a non subire un marito, vaga nel folto dei boschi
480. indifferente a cosa siano nozze, amore e amplessi.
481. Il padre le ripete: «Figliola, mi devi un genero»;
482. le ripete: «Bambina mia, mi devi dei nipoti»;
483. ma lei, odiando come una colpa la fiaccola nuziale,
484. il bel volto soffuso da un rossore di vergogna,
485. con tenerezza si aggrappa al collo del padre:
486. «Concedimi, genitore carissimo, ch’io goda», dice,
487. «di verginità perpetua: a Diana suo padre l’ha concesso».
488. E in verità lui acconsentirebbe; ma la tua bellezza vieta
489. che tu rimanga come vorresti, al voto s’oppone il tuo aspetto.
490. E Febo l’ama; ha visto Dafne e vuole unirsi a lei,
491. e in ciò che vuole spera, ma i suoi presagi l’ingannano.
492. Come, mietute le spighe, bruciano in un soffio le stoppie,
493. come s’incendiano le siepi se per ventura un viandante
494. accosta troppo una torcia o la getta quando si fa luce,
495. così il dio prende fuoco, così in tutto il petto
496. divampa, e con la speranza nutre un impossibile amore.
497. Contempla i capelli che le scendono scomposti sul collo,
498. pensa: ‘Se poi li pettinasse?’; guarda gli occhi che sfavillano
499. come stelle; guarda le labbra e mai si stanca
500. di guardarle; decanta le dita, le mani,
501. le braccia e la loro pelle in gran parte nuda;
502. e ciò che è nascosto, l’immagina migliore. Ma lei fugge
503. più rapida d’un alito di vento e non s’arresta al suo richiamo:
504. «Ninfa penea, férmati, ti prego: non t’insegue un nemico;
505. férmati! Così davanti al lupo l’agnella, al leone la cerva,
506. all’aquila le colombe fuggono in un turbinio d’ali,
507. così tutte davanti al nemico; ma io t’inseguo per amore!
508. Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino
509. le gambe indifese, ch’io non sia causa del tuo male!
510. Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano, ti prego,
511. rallenta la tua fuga e anch’io t’inseguirò più piano.
512. Ma sappi a chi piaci. Non sono un montanaro,
513. non sono un pastore, io; non faccio la guardia a mandrie e greggi
514. come uno zotico. Non sai, impudente, non sai
515. chi fuggi, e per questo fuggi. Io regno sulla terra di Delfi,
516. di Claro e Tènedo, sulla regale Pàtara.
517. Giove è mio padre. Io sono colui che rivela futuro, passato
518. e presente, colui che accorda il canto al suono della cetra.
519. Infallibile è la mia freccia, ma più infallibile della mia
520. è stata quella che m’ha ferito il cuore indifeso.
521. La medicina l’ho inventata io, e in tutto il mondo guaritore
522. mi chiamano, perché in mano mia è il potere delle erbe.
523. Ma, ahimè, non c’è erba che guarisca l’amore,
524. e l’arte che giova a tutti non giova al suo signore!».
525. Di più avrebbe detto, ma lei continuò a fuggire
526. impaurita, lasciandolo a metà del discorso.
527. E sempre bella era: il vento le scopriva il corpo,
528. spirandole contro gonfiava intorno la sua veste
529. e con la sua brezza sottile le scompigliava i capelli
530. rendendola in fuga più leggiadra. Ma il giovane divino
531. non ha più pazienza di perdersi in lusinghe e, come amore
532. lo sprona, l’incalza inseguendola di passo in passo.
533. Come quando un cane di Gallia scorge in campo aperto
534. una lepre, e scattano l’uno per ghermire, l’altra per salvarsi;