
Nebbia di Giovanni Pascoli
28 Dicembre 2019
Pianto antico di Giosuè Carducci
28 Dicembre 2019Nel Purgatorio, Canto XI, Dante incontra Oderisi da Gubbio, celebre miniatore, tra coloro che espiano il peccato di superbia.
È un momento di riflessione profonda sulla vanità della fama e sul carattere transitorio della gloria terrena.
Introduzione
Nel Purgatorio Canto XI, Dante, in compagnia di Virgilio, incontra le anime dei superbi che stanno purgando il loro peccato. Una di queste anime è quella di Oderisi da Gubbio, famoso miniatore, che riflette con Dante sulla fugacità della gloria umana. Oderisi si mostra pentito per il suo eccessivo desiderio di eccellere in vita e parla della vanagloria che caratterizza il mondo artistico e intellettuale. Menziona come, con il tempo, artisti e poeti, una volta famosi, siano stati superati da nuovi talenti. Tra questi, cita Franco Bolognese e Giotto, che hanno oscurato, rispettivamente, il suo nome e quello di Cimabue. Oderisi conclude il suo discorso con una riflessione sulla fama, paragonandola a un filo d’erba che rapidamente cresce e altrettanto velocemente viene falciato.
Analisi
Il passo si apre con Dante che riconosce Oderisi da Gubbio, celebre artista della miniatura, e lo saluta chiamandolo “l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte / ch’alluminar chiamata è in Parisi?”. Oderisi, con umiltà, risponde subito con un’ammissione: ora il suo nome è oscurato dal più famoso Franco Bolognese, che ha preso il primato nell’arte dell’illustrazione. La fama di Oderisi è ormai “in parte”, un tempo gloriosa, ma ora ridimensionata.
Oderisi, pentito della sua antica superbia, ammette che in vita non sarebbe stato così cortese nel riconoscere il merito altrui, perché il suo desiderio di eccellere lo spingeva a cercare sempre la supremazia. La superbia è il peccato che sta espiando nel Purgatorio, e confessa che, se non fosse stato per un atto di pentimento prima della morte, sarebbe ancora tra i dannati.
La riflessione di Oderisi si amplia e diventa universale quando inizia a parlare della vana gloria delle opere umane: la fama è effimera, e anche i più grandi artisti sono destinati a essere superati. Cimabue, il grande maestro della pittura medievale, credeva di dominare l’arte, ma ora è Giotto a essere acclamato, oscurando il nome del suo predecessore. Similmente, uno dei due Guidi (Guido Cavalcanti e Guido Guinizzelli) ha tolto all’altro la gloria poetica, e Oderisi profetizza che forse nascerà qualcuno che supererà entrambi (forse un’allusione allo stesso Dante).
La metafora della fama come “fiato di vento” è centrale in questo passo. Oderisi spiega che la fama terrena non è altro che un soffio di vento, che cambia direzione e nome a seconda di come soffia. La gloria terrena, dunque, è priva di stabilità e durata. Anche la “nominanza” (la fama) è paragonata al colore dell’erba, che cresce verde ma presto viene scolorita e distrutta.
Oderisi poi menziona Provenzan Salvani, un condottiero senese, che si trova anch’egli nel Purgatorio perché fu troppo presuntuoso nel tentativo di controllare Siena. Dante si meraviglia della presenza di Salvani nell’Antipurgatorio, poiché credeva che le anime che non si fossero pentite in vita dovessero attendere molto prima di iniziare la purificazione. Oderisi gli spiega che Salvani, in vita, compì un atto straordinario di umiltà: per salvare un amico dalla prigionia, si umiliò pubblicamente chiedendo l’elemosina nella piazza di Siena. Questo atto eroico gli ha permesso di abbreviare il tempo della sua espiazione.
Commento
La riflessione di Oderisi sulla vanità della fama si inserisce perfettamente nel contesto del Canto XI del Purgatorio, dove i superbi espianti portano pietre pesanti sulle spalle per simbolizzare il peso del loro peccato. La gloria umana, che in vita sembrava un valore così importante, si rivela qui come un’illusione destinata a svanire rapidamente. Oderisi parla della fama non solo nel campo artistico, ma anche nella politica e nella poesia. Le citazioni di Cimabue, Giotto, i Guidi e Provenzan Salvani sono emblematiche della rapidità con cui i nomi illustri possono essere dimenticati o superati.
Un punto particolarmente interessante è la profezia che qualcuno, in futuro, potrebbe superare sia Guido Guinizzelli che Guido Cavalcanti nella poesia: una possibile allusione a Dante stesso, che qui sembra proiettare la propria ambizione e speranza di essere riconosciuto come il più grande poeta della sua epoca.
Questo canto è una meditazione universale sul carattere fugace della gloria umana, un tema caro a Dante, che ritroveremo in molti altri momenti della Commedia. L’invito è a non fare affidamento sulla fama e sul riconoscimento terreni, ma a cercare valori più duraturi, che risiedono nell’umiltà e nella virtù.
Parafrasi
“Oh!”, diss’io lui, “non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?”.
“Ah!” dissi a lui, “non sei tu Oderisi, l’onore di Gubbio e di quell’arte (la miniatura) che a Parigi chiamano illustrazione?”
“Frate”, diss’elli, “più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
“Fratello,” rispose, “oggi le pagine illuminate da Franco Bolognese sono più apprezzate; l’onore è tutto suo, e solo in parte mio.
Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.
In vita non sarei stato così generoso, poiché ero mosso dal grande desiderio di eccellere, che occupava tutto il mio cuore.
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Di questa superbia si sconta la pena qui; e non sarei nemmeno qui, se, potendo ancora peccare, non mi fossi rivolto a Dio.
Oh vana gloria de l’umane posse!
com’ poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse!
Oh vana gloria delle capacità umane! Quanto poco dura il verde (la fama) in cima, se non è nutrita da lunghi anni!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.
Cimabue pensava di essere il dominatore della pittura, ma ora è Giotto ad avere la fama, tanto che il nome del primo è ormai oscurato.
Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.
Allo stesso modo, uno dei due Guidi ha tolto all’altro la gloria poetica; e forse è già nato qualcuno che scaccerà entrambi dal loro nido.
Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.
La fama terrena non è altro che un soffio di vento, che va ora in una direzione, ora in un’altra, e cambia nome a seconda di come soffia.
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’,
Che voce avrai tu, una volta morto e separato dal corpo vecchio, se non ne avrai più di quanta ne avresti avuta se fossi morto prima ancora di lasciare il pappo (cibo dei bambini) e il dindi (giocattoli)?
pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.
Che saranno mille anni? Sono più brevi, rispetto all’eternità, di un batter di ciglia rispetto al movimento più lento dei cieli.
Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
Colui che cammina così lentamente davanti a me (Provenzan Salvani) era celebre in tutta la Toscana; ora si parla a malapena di lui a Siena.
ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com’ora è putta.
Era lui a dominare quando fu distrutta la superbia fiorentina, che allora era arrogante come ora è miserabile.
La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba”.
La vostra fama è come il colore dell’erba, che cresce e svanisce, e viene scolorita da colui che la fa nascere dalla terra acerba.
E io a lui: “Tuo vero dir m’incora
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?”.
E io a lui: “Le tue parole di verità mi ispirano buona umiltà e ridimensionano il mio orgoglio; ma chi è quello di cui parlavi poco fa?”
“Quelli è”, rispuose, “Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
“Quello è Provenzan Salvani,” rispose, “e si trova qui perché fu presuntuoso nel voler portare Siena tutta sotto il suo controllo.
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso”.
Cammina così, senza riposo, da quando è morto; paga questa moneta per soddisfare la superbia di chi, in vita, fu troppo audace.
E io: “Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,
E io: “Se un’anima che attende di pentirsi fino all’ultimo non può salire qui, ma rimane giù nel limbo,
se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?”.
a meno che una buona preghiera non lo aiuti prima che passi un tempo uguale a quello vissuto, come ha fatto lui a ottenere di venire qui?
“Quando vivea più glorïoso”, disse,
“liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s’affisse;
“Quando era al culmine della sua gloria,” disse, “si umiliò pubblicamente nella piazza di Siena, abbandonando ogni vergogna;
e lì, per trar l’amico suo di pena,
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.
e lì, per liberare un amico dalla pena che subiva nella prigione di Carlo, si umiliò fino a tremare in tutto il corpo.
Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.
Non dirò altro, e so che ti sembrerò oscuro; ma non passerà molto tempo prima che i tuoi concittadini facciano qualcosa che ti aiuterà a comprendere.
Quest’opera li tolse quei confini”.
Questo atto gli ha permesso di abbreviare la sua attesa qui nell’Antipurgatorio.
Conclusione
Questo passaggio è una riflessione sublime sulla vanità della fama e sull’importanza dell’umiltà.
Solo testo dei versi 79-142 dell’undicesimo canto del Purgatorio di Dante
“Oh!”, diss’io lui, “non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?”.81
“Frate”, diss’elli, “più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.84
Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.87
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.90
Oh vana gloria de l’umane posse!
com’ poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse!93
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.96
Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.99
Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.102
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’,105
pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.108
Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,111
ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com’ora è putta.114
La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba”.117
E io a lui: “Tuo vero dir m’incora
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?”.120
“Quelli è”, rispuose, “Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.123
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso”.126
E io: “Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,129
se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?”.132
“Quando vivea più glorïoso”, disse,
“liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s’affisse;135
e lì, per trar l’amico suo di pena,
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.138
Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.141
Quest’opera li tolse quei confini”.