
Scontro fra Tersite e Ulisse
1 Novembre 2015
Il duello tra Paride e Menelao Iliade, III, vv. 314-382
1 Novembre 2015L’episodio narrato nei versi 421-450 del Canto III dell’Iliade di Omero, rappresenta uno dei momenti più celebri del poema epico.
Viene descritto qui infatti l’incontro tra Elena e Paride (Alessandro) , mediato dalla dea Afrodite , dopo il duello tra Paride e Menelao. L’episodio è ricco di temi simbolici e narrativi, che riflettono la complessità delle relazioni umane e divine nell’universo omerico.
Analisi del Passo
1. La Mediazione Divina: Afrodite e il Salvataggio di Paride
- Dopo il duello tra Paride e Menelao, Paride rischia di essere ucciso. Tuttavia, Afrodite , protettrice di Paride, interviene per salvarlo. Spezzando la coreggia dell’elmo di Paride, lo rende indifeso e lo trasporta magicamente dal campo di battaglia al suo talamo profumato.
- Questo intervento divino evidenzia come gli dei siano i veri artefici degli eventi umani. Afrodite non agisce per giustizia o moralità, ma per amore verso Paride, dimostrando la parzialità e l’arbitrarietà delle divinità omeriche.
- Il salvataggio di Paride è anche un chiaro esempio di come gli eroi siano spesso strumenti nelle mani degli dei, privi di pieno controllo sul proprio destino.
2. Elena e Afrodite: Un Dialogo Carico di Tensione
- Quando Afrodite appare ad Elena sotto le sembianze di una vecchia tessitrice, il dialogo tra le due figure è denso di significati:
- Afrodite usa il suo potere seduttivo per convincere Elena a tornare da Paride, descrivendolo come bello e desiderabile, quasi irriconoscibile dopo la battaglia.
- Elena , tuttavia, reagisce con rabbia e disprezzo. Si sente manipolata dagli dei e dalla sua stessa bellezza, che ha causato tante sofferenze. Le sue parole riflettono un senso di colpa e vergogna per il ruolo che ha avuto nella guerra di Troia.
- Quando Afrodite minaccia Elena di abbandonarla e di suscitare lutti su entrambi i fronti (Troiani e Achei), Elena cede, dimostrando quanto sia impotente di fronte alla volontà divina.
3. L’Incontro tra Elena e Paride
- Una volta riuniti nel talamo, Elena rimprovera Paride per la sua debolezza e per aver scampato la morte grazie all’intervento divino. Lo accusa di non essere all’altezza di Menelao e di non meritare il suo amore.
- Paride, invece, si mostra indifferente alle critiche di Elena. Egli è completamente assorbito dal desiderio fisico per lei, dichiarando che mai come in quel momento ha sentito una tale passione. Questo contrasto tra i due personaggi evidenzia la loro diversa percezione della situazione:
- Elena è tormentata dai sensi di colpa e dalla consapevolezza delle conseguenze delle sue azioni.
- Paride è guidato dall’amore sensuale e dalla sua natura egoista, incapace di comprendere la gravità del contesto.
4. Il Tema dell’Amore e della Guerra
- L’episodio mette in luce il conflitto tra amore e guerra , due forze opposte che permeano l’intero poema:
- Da un lato, l’amore tra Elena e Paride è l’origine del conflitto troiano. È un amore passionale, ma anche distruttivo, che causa sofferenze immense.
- Dall’altro, la guerra rappresenta la violenza e la brutalità umana, alimentata dagli interessi personali e dalle rivalità eroiche.
- La scena finale, in cui Elena e Paride si ritirano nel talamo mentre il sonno li avvolge, simboleggia una temporanea sospensione della guerra, ma anche l’illusione che l’amore possa risolvere i conflitti.
Temi Principali
- Il Ruolo degli Dei
- Gli dei sono onnipresenti nell’Iliade, influenzando gli eventi umani secondo i loro capricci. Afrodite rappresenta l’amore e la seduzione, ma anche la manipolazione e l’arbitrarietà divina.
- La Fragilità Umana
- Sia Elena che Paride sono personaggi complessi, segnati dalla loro fragilità emotiva e morale. Elena è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, ma incapace di ribellarsi agli dei. Paride, invece, è dominato dai suoi impulsi e dalla sua vanità.
- L’Amore Sensuale vs. L’Amore Ideale
- L’amore tra Elena e Paride è descritto come puramente fisico e passionale, in contrasto con l’idea di un amore nobile o ideale. Questo tipo di amore è presentato come fonte di discordia e distruzione.
- Il Conflitto tra Destino e Libero Arbitrio
- I personaggi umani appaiono spesso schiavi del destino e della volontà divina. Elena, ad esempio, vorrebbe resistere ad Afrodite, ma finisce per cedere, dimostrando quanto sia limitata la libertà umana nell’universo omerico.
Simbolismo e Immagini
- Il Talamo Profumato
- Il talamo di Paride è un luogo simbolico che rappresenta l’amore sensuale e il rifugio dalla guerra. Tuttavia, è anche un luogo di illusione, poiché non può cancellare le conseguenze delle azioni dei due amanti.
- La Nebbia Divina
- La nebbia creata da Afrodite per nascondere Elena è un simbolo del potere divino di alterare la realtà e manipolare gli eventi umani.
- Il Sonno
- Il sonno che avvolge Elena e Paride alla fine del passo simboleggia una pausa temporanea nel conflitto, ma anche l’incapacità dei due personaggi di affrontare le conseguenze delle loro azioni.
Conclusione
Questo episodio dell’Iliade è un esempio magistrale di come Omero intrecci temi universali come l’amore, la guerra, il destino e la fragilità umana. Attraverso i personaggi di Elena e Paride, l’autore esplora le contraddizioni della natura umana e il ruolo degli dei nel determinare il corso degli eventi. La scena finale, con i due amanti addormentati nel talamo, lascia il lettore con un senso di ambiguità: l’amore può essere una forza potente, ma anche una fonte di distruzione.
Testo originale del brano di Omero
se non l’avesse a tempo veduto la Diva Afrodite:
essa spezzò la coreggia di solido cuoio di bove.
Vuoto cosí l’elmetto restò nella valida mano:
l’eroe lo roteò, lo scagliò fra gli Achivi guerrieri,
poi sul nemico balzò di nuovo, per dargli la morte,
con la sua spada; ma intanto sottratto lo aveva Afrodite,
senza fatica, ché tanto poteva una Diva, e, nascosto
dentro una fítta nebbia, recato nel talamo aulente,
tutto profumi: ed ella si mise poi d’Elena in cerca.
Stese la mano alla veste nettàrea, la scosse la Diva,
che le sembianze assunte avea d’una vecchia cadente,
sperta a filare la lana, che quando ella a Sparta abitava,
compieva opere belle: diletta era molto al suo cuore.
Tali sembianze assunte, cosí disse dunque Afrodite:
«Vieni con me: ti chiama, ché a casa tu torni, Alessandro:
egli nel talamo già t’aspetta, sul letto tornito,
fulgido di beltà, coperto di splendide vesti.
Niuno direbbe ch’ei torni da un’aspra tenzone: diresti
che muova al ballo, o sia dal ballo tornato pur ora».
Cosí disse; e ispirò nel cuor della donna la brama.
E come vide poi della Diva il bellissimo collo,
il soavissimo seno, fulgenti di luce gli sguardi,
allora sbigotti, parlò, disse queste parole:
«O trista Diva, perché desideri trarmi in inganno?
Piú lunge, in qualche bella città popolosa vuoi forse
condurmi, o della Frigia, o della ridente Meonia,
se forse anche lí vive qualche uomo diletto al tuo cuore?
Ora che Menelao, prostrato il divino Alessandro,
vuole me, svergognata ch’io sono, alla patria condurre,
tu sei venuta qui, per tendermi ancora l’insidia?
Va’, rimani con lui, del cielo abbandona le sedi,
i piedi tuoi mai piú non battan le vie dell’Olimpo,
sin ch’egli non ti faccia sua sposa, ti faccia sua schiava.
Io non andrò da lui: sarebbe per me vergognoso
apparecchiargli il letto: coperta d’obbrobrio sarei
dalle Troiane: e infinite già sono le pene ch’io soffro».
E a lei cosí rispose, crucciata, la Diva Afrodite:
«Non provocarmi, ch’io, sciagurata, non debba ritrarmi,
e abbandonarti, e quanto finora t’ho amata, odiarti,
e fra i Troiani e i Dànai non susciti lutti ad entrambi,
funesti, e tu perire ne debba di misera morte!».
Disse. Terrore invase la bella figliuola di Giove;
e mosse, ascoso il volto nel fulgido velo; né alcuna
delle Troiane la scorse; perché la guidava Afrodite.
Come poi d’Alessandro fûr giunte a la bella dimora,
súbito qui le ancelle tornarono ai loro lavori,
ed Elena, la donna divina, nel talamo ascese.
E, per lei tolto un seggio, la Diva del riso, Afrodite,
la prese, la recò dinanzi al suo sposo Alessandro.
Quivi sede’ la figlia del Nume che l’ègida regge;
e, volti gli occhi altrove, cosí rampognava lo sposo:
«Tu dalla pugna giungi! Cosí fossi quivi caduto
sotto le mani dell’uomo che prima di te mi fu sposo!
Tu ti vantavi, prima, che tu Menelao superavi,
ch’era piú forte il tuo braccio, che meglio scagliavi la lancia!
Invita ancora, su’, Menelao prediletto di Marte,
che voglia a faccia a faccia combattere teco; ma io
a non tentarlo piú, t’esorto, a non piú misurarti
con Menelao, né a stargli di fronte, con folle ardimento,
ché sotto la sua lancia tu presto non cada prostrato!».
Ed Alessandro a lei rispose con queste parole:
«Non voler battere, o donna, con dure parole il mio cuore.
Di Menelao, mercè d’Atena, fu or la vittoria:
un’altra volta, mia sarà: me pure amano i Numi.
Ma ora al nostro letto moviamo, ed all’opre d’amore:
ché mai, mai tanta brama di te non invase il mio seno,
neppur la prima volta, quando io ti rapii da la bella
Sparta, e con te fuggii per mare, su l’agili navi,
e il talamo d’amore nell’isola Crànae ci accolse,
come ardo ora per te, come brama soave m’invade!».
Disse, ed al letto mosse: la sposa fu dietro ai suoi passi.
Cosí li colse entrambi sul letto bellissimo il sonno.