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Negli ultimi capitoli de “Il Principe” di Machiavelli si raggiunge il cuore del pensiero politico machiavelliano: il cinismo, la disillusione, ma anche l’appello alla grandezza.
Dal capitolo XVIII in poi, Machiavelli abbandona ogni sottile teorizzazione per passare a una riflessione più concreta e spietata su come un principe deve comportarsi per mantenere il potere. Analizziamo i capitoli uno per uno, nonostante il fatto che questi concetti potrebbero sembrare eccessivi per chi non è preparato.
Capitolo XVIII: “In che modo i principi devono mantenere la fede”
Questo capitolo contiene uno dei passaggi più famosi (e famigerati) dell’opera di Machiavelli. Il titolo stesso è ironico: non si tratta infatti di spiegare come i principi devono rispettare la fede (cioè, la parola data), ma piuttosto di chiarire che spesso non devono farlo. Machiavelli afferma che un principe, per essere efficace, deve sapere quando rispettare la parola data e quando romperla, se ciò risulta più vantaggioso.
“Un principe saggio non può né deve mantenere la fede quando tale osservanza gli si volga contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere.”
In altre parole, un principe non deve essere ingenuo: deve essere come un centauro, capace di usare sia la forza (rappresentata dalla bestia) che l’astuzia (rappresentata dall’uomo). L’immagine del principe che deve saper “essere volpe e leone” è memorabile:
“Bisogna adunque essere volpe per conoscere i lacci, e leone per spaventare i lupi.”
Capitolo XIX: “Di come si debba fuggire essere disprezzato e odiato”
Qui, Machiavelli discute i pericoli più grandi per un principe: essere disprezzato o odiato. Egli consiglia al principe di evitare in ogni modo di commettere azioni che possano renderlo odioso al popolo, come la confisca dei beni o la violazione delle proprietà e delle donne.
“Debbe, sopra tutto, uno principe guardarsi da essere disprezzato e odiato; e la liberalità, usata in modo che tu sia tenuto liberale, ti nuoce.”
Il punto è chiaro: la percezione pubblica è essenziale. Un principe può commettere azioni moralmente discutibili, ma deve farle in modo tale che la maggior parte dei sudditi non lo odi per questo. È un esempio del pragmatico realismo politico che domina l’opera.
Capitolo XX: “Se le fortezze e molte altre cose che spesso i principi fanno siano utili o no”
In questo capitolo, Machiavelli si concentra su strumenti concreti di controllo del potere, come la costruzione di fortezze. La sua opinione è che, sebbene costruire fortezze possa sembrare una buona idea, queste possono essere inutili o addirittura controproducenti se il principe non ha il favore del popolo.
“Pertanto il migliore baluardo che sia, è non essere odiato dal popolo.”
Quindi, più che fortificazioni materiali, il principe deve costruire una base solida di consenso tra i sudditi.
Capitolo XXI: “Che si debba fare per essere stimato”
Nel capitolo XXI, Machiavelli fornisce consigli su come un principe possa acquistare prestigio e rispetto. Per essere ammirato e rispettato, il principe deve agire in modo da far parlare di sé con grandezza e gloria. Una delle vie principali è partecipare attivamente alla vita politica e militare, prendendo decisioni coraggiose e visibili. È fondamentale anche scegliere alleati con cura e sostenere cause giuste.
“Un principe è stimato quando è vero amico o vero inimico, cioè quando senza rispetto alcuno si dichiara per l’una parte contra l’altra.”
Questo capitolo sottolinea il valore dell’azione risoluta e della capacità di crearsi una reputazione salda.
Capitolo XXII: “Dei secretarî che i principi tengono appresso di loro”
Machiavelli offre qui un’analisi del ruolo dei consiglieri e dei ministri. Un principe, dice, si giudica anche dalla qualità dei suoi consiglieri, e deve saper scegliere uomini fedeli e capaci. Per evitare che questi diventino troppo potenti, il principe deve anche saper mantenere il controllo e diffidare di chi sembra troppo ambizioso.
“Tre spezie d’ingegni sono: l’uno intende per sé, l’altro discerne quello che gli altri intendono, il terzo non intende né per sé né per altri.”
Chiaramente, il principe deve circondarsi di persone che appartengano almeno al secondo gruppo, se non al primo.
Capitolo XXIII: “In che modo fuggire i piaggiatori”
In questo breve capitolo, Machiavelli mette in guardia contro i piaggiatori (adulatori), coloro che dicono solo ciò che il principe vuole sentire. Egli consiglia al principe di scegliere pochi consiglieri fidati che abbiano la libertà di parlare francamente, ma solo quando richiesto. Altrimenti, troppi pareri potrebbero indebolire il potere decisionale del principe.
“Non è, pertanto, modo più certo per spegnere l’adulazione, che far intendere a’ uomini che non t’offendono a dirti la verità.”
Capitolo XXIV: “Perché i principi d’Italia abbiano perduto i loro stati”
In questo capitolo Machiavelli riflette sui fallimenti dei principi italiani. Egli attribuisce le loro sconfitte all’incapacità di adattarsi ai tempi e alle circostanze, alla mancanza di virtù e alla dipendenza dalla fortuna e dalle forze esterne. I principi italiani, secondo Machiavelli, non seppero prepararsi alle sfide e furono troppo deboli per affrontare le potenze straniere.
“Le cagioni universali del perdere lo stato sono o esser male armati o avere inimicizie intra i sudditi.”
Capitolo XXV: “Quanto possa la fortuna nelle cose umane, e in che modo se le debba resistere”
Questo capitolo sviluppa una delle idee centrali del pensiero machiavelliano: il rapporto tra fortuna e virtù. Machiavelli riconosce che la fortuna ha un’influenza sulle vicende umane, ma insiste sul fatto che un principe deve saper resistere ai capricci della fortuna attraverso la propria virtù e preparazione. Usa la famosa metafora della fortuna come un fiume impetuoso che, quando non controllato, causa disastri, ma che può essere canalizzato e domato se si è previdenti.
“La fortuna è donna; ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla.”
Capitolo XXVI: “Esortazione a prendere l’Italia e liberarla dalle mani de’ barbari”
L’ultimo capitolo del libro è un appello patriottico. Machiavelli esorta un principe italiano a farsi avanti e liberare l’Italia dall’oppressione straniera. Fa riferimento a Lorenzo de’ Medici come potenziale liberatore, esprimendo la sua speranza che un leader capace possa finalmente unificare l’Italia.
“Questa occasione dunque fa l’Italia con molta reverenza gridare che non si lasci passare.”
Conclusione
Questi ultimi capitoli de “Il Principe” rappresentano l’apice del realismo machiavelliano. Da un lato, abbiamo il cinismo politico: la rottura con la morale tradizionale, la centralità del potere e della reputazione. Dall’altro, un appello idealistico e patriottico per l’unificazione dell’Italia, quasi contraddicendo il pragmatismo che permea il resto del libro. Machiavelli si dimostra ancora una volta un pensatore complesso, difficile da catalogare, ma indispensabile per chiunque voglia comprendere il potere.
Fonti:
- Machiavelli, Niccolò. Il Principe, Capitoli XVIII-XXVI.
- Strauss, Leo. Thoughts on Machiavelli (1958).