Il buon nome di Dino Buzzati
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28 Dicembre 2019“Il pacchetto” di Dino Buzzati è un racconto che narra l’esperienza inquietante di un uomo che vive a Milano e trova ripetutamente dei pacchetti disgustosi all’interno della sua auto, anche se la chiude sempre.
Questi pacchetti sono avvolti in carta di giornale e trasudano un liquido di colore sgradevole, apparentemente simile al sangue. Pur non avendo il coraggio di aprirli per scoprire cosa contengono, il protagonista si sente sempre più turbato e intimorito da questi misteriosi pacchetti, che sembrano seguirlo anche quando cambia casa.
Nel finale, aperto, del racconto, il protagonista confessa di non voler informare la polizia per paura, senza riuscire a spiegare esattamente il motivo di questa paura. Pertanto, il racconto si conclude lasciando il lettore con una sensazione di angoscia e mistero.
Testo del racconto
Per un certo numero di anni, qui a Milano, ho abitato in piazza Castello, all’estremità dei numeri pari. Di notte lasciavo la mia auto, allora una giardinetta Fiat, posteggiata lungo il marciapiedi. E spesso mi dimenticavo di chiuderla a chiave.
Una mattina, aperta la portiera ho fatto per sedermi, quando ho notato che sul sedile a destra c’ era un pacchetto. Era un rozzo involto fatto con carta di giornali e legato con uno spago, che trasudava un liquido, qua rossastro, là tendente al giallo: una cosa schifosa. Tanto repellente che non pensai neppure per un istante di aprirlo. Proteggendomi le mani con uno straccetto, lo sollevai e lo buttai fuori, sulla strada. Era relativamente soffice e pesante, come se contenesse, poniamo, della carne. Uno scherzo di cattivo gusto, pensai.
E alla sera badai che i vetri e portiere fossero ben chiusi.
Senonché, a distanza di circa dieci giorni, il fatto si ripeté. Ancora un pacchetto trasudante materia liquida di colore abbietto. E pure stavolta mi guardai dall’ aprirlo. Lo avvolsi alla bell’e meglio con un vecchio giornale e lo deposi accanto al marciapiedi. Ma come avevano fatto a introdurlo nella macchina, ermeticamente chiusa? Rimasi, lo confesso, turbato.
Passarono, penso, due mesi, ed ecco che un altro misterioso pacchetto di aspetto ripugnate. La curiosità avrebbe voluto che io, con le debite precauzioni, lo aprissi per vedere cosa contenesse, ma un sentimento difficile a descrivere, di oscuro sbigottimento, mi trattenne, come se l’involto celasse qualcosa che riguardava personalmente me; ed era meglio non vedesse la luce.
A intervalli irregolari, anche di sei, sette mesi, lo sgradevole incidente si è ripetuto con le stesse modalità. Ho cambiato di casa due volte, e non è servito. Stamattina l’obbrobrioso pacchetto mi sembrava non più grosso ma più pesante del solito. Voi direte: perché, se non hai il coraggio di aprirlo, non informi la questura? La risposta suonerà assurda: perché io ho paura; non so dire il motivo, ma ho paura.
Una mattina, aperta la portiera ho fatto per sedermi, quando ho notato che sul sedile a destra c’ era un pacchetto. Era un rozzo involto fatto con carta di giornali e legato con uno spago, che trasudava un liquido, qua rossastro, là tendente al giallo: una cosa schifosa. Tanto repellente che non pensai neppure per un istante di aprirlo. Proteggendomi le mani con uno straccetto, lo sollevai e lo buttai fuori, sulla strada. Era relativamente soffice e pesante, come se contenesse, poniamo, della carne. Uno scherzo di cattivo gusto, pensai.
E alla sera badai che i vetri e portiere fossero ben chiusi.
Senonché, a distanza di circa dieci giorni, il fatto si ripeté. Ancora un pacchetto trasudante materia liquida di colore abbietto. E pure stavolta mi guardai dall’ aprirlo. Lo avvolsi alla bell’e meglio con un vecchio giornale e lo deposi accanto al marciapiedi. Ma come avevano fatto a introdurlo nella macchina, ermeticamente chiusa? Rimasi, lo confesso, turbato.
Passarono, penso, due mesi, ed ecco che un altro misterioso pacchetto di aspetto ripugnate. La curiosità avrebbe voluto che io, con le debite precauzioni, lo aprissi per vedere cosa contenesse, ma un sentimento difficile a descrivere, di oscuro sbigottimento, mi trattenne, come se l’involto celasse qualcosa che riguardava personalmente me; ed era meglio non vedesse la luce.
A intervalli irregolari, anche di sei, sette mesi, lo sgradevole incidente si è ripetuto con le stesse modalità. Ho cambiato di casa due volte, e non è servito. Stamattina l’obbrobrioso pacchetto mi sembrava non più grosso ma più pesante del solito. Voi direte: perché, se non hai il coraggio di aprirlo, non informi la questura? La risposta suonerà assurda: perché io ho paura; non so dire il motivo, ma ho paura.