
Introduzione alla poesia L’infinito di Leopardi
28 Dicembre 2019
Il tempo narrativo
28 Dicembre 2019Il brano racconta il conflitto tra Achille e Agamennone, un episodio cruciale per lo sviluppo dell’intero poema epico.
TESTO DI OMERO NELLA TRADUZIONE ITALIANA DI ROMAGNOLI:
Queste parole disse di prece. L’udí Febo Apollo,
e dalle vette scese d’Olimpo, col cruccio nel cuore,
e su le spalle l’arco reggeva, e la chiusa faretra;
e mentre egli adirato moveva, sugli omeri a lui
squillavano le frecce: scendeva, pareva una notte.
Lungi ancor dalle navi ristava, lanciava uno strale;
e orrendo si levò clangore dall’arco d’argento.
Prima rivolse la mira sui muli e sui cani veloci,
poi, sugli stessi Achei lanciando amarissimi dardi,
li sterminava; e fitte le pire ardean sempre dei morti.
Ben nove giorni sul campo volaron le frecce del Nume:
a parlamento chiamò nel decimo Achille le genti,
come ispirato lo aveva la Dea dalle candide braccia,
che si crucciò pei Dànai, perché ne vedea tanto scempio.
Ora, poi che fûr tutti chiamati, fûr tutti raccolti,
surse fra loro Achille dai piedi veloci a parlare:
«Atride, ora davvero credo io che di nuovo errabondi
ritorneremo in patria, se pur fuggiremo la morte,
se peste e guerra insieme si accordano contro gli Achivi.
Su, dunque, interroghiamo, se alcun sacerdote o profeta
o interprete di sogni — ché viene anche il sogno da Giove —
dire ci sappia perché contro noi tanto Febo s’adira,
se prece inadempiuta lo cruccia, o se forse ecatombe;
e se l’omento pingue di pecore e capre perfette
voglia gradire, e lungi da noi trattenere la peste».
Dette queste parole, sedeva. E degli àuguri il primo
surse a parlare fra loro, di Tèstore il figlio, Calcante,
che conosceva gli eventi che furono e sono e saranno,
e sino ad Ilio aveva guidate le navi d’Acaia,
mercè dell’arte sua profetica, dono d’Apollo.
Pensando al loro bene, cosí prese questi a parlare:
«Tu mi comandi, Achille diletto ai Celesti, ch’io dica
perché l’ira divampa del Nume che lunge saetta;
ed io te lo dirò; ma tu intendimi, e fa’ giuramento
che pronto aiuto a me darai di parole e di mano:
perché s’adirerà, credo io, l’uom che a tutti gli Argivi
comanda, al cui volere si piegano tutti gli Achivi.
Troppo è possente un re, se contro il più debol si adira:
ché, pur se sul momento perviene a frenare lo sdegno,
serba il rancore poi, sin ch’egli non l’abbia sfogato,
chiuso nel cuore profondo. Tu di’, se salvarmi prometti».
E Achille pie’ veloce rispose con queste parole:
«Fa’ cuore, il vaticinio di’ pur come tu l’hai veduto:
ch’io giuro a fe’ d’Apollo diletto di Giove, a cui preci
levando, tu, Calcante, ai Dànai scopri gli augúri,
niuno, sin ch’io vivrò, sinché terrò aperti questi occhi,
ardirà mai su te gittar vïolente le mani,
niuno fra i Dànai tutti, neppur se Agamènnone dica,
che or d’essere il primo si vanta fra tutti gli Achivi».
Fatto allor cuore, disse cosí l’infallibile vate:
«Non già d’inadempiuta preghiera, non già d’ecatombe:
pel sacerdote, il Nume si lagna: ché il figlio d’Atrèo
l’offese, e non gli sciolse la figlia, né accolse i suoi doni.
Vi diede e vi darà tormenti per questo, l’Arciere;
né dagli Achei lontane terrà la rovina e la peste,
prima che la fanciulla dagli occhi fulgenti, a suo padre
resa non abbiano, senza riscatto né prezzo, ed a Crisa
rechino un’ecatombe. Potremo in tal modo placarlo».
Dunque, cosí parlato, Calcante sedette. E fra loro
surse Agamènnone, figlio d’Atrèo, potentissimo eroe,
pieno di cruccio. L’alma sua negra era colma di furia,
riscintillante fuoco parevano gli occhi. E Calcante
prima guardò biecamente, volgendogli queste parole:
«Profeta di sciagure, tu mai cosa grata al mio cuore
detta non m’hai: ti piace predire mai sempre malanni:
nulla di buono mai né dici né compier sapesti.
Ed anche ora, fra i Dànai cianciando l’oracolo vai
che queste doglie avventa fra loro l’Arciere celeste
perché della figliuola di Crise respinsi il riscatto,
respinsi i doni belli, tener preferii la fanciulla:
ché più di Clitennestra, legittima sposa, io la pregio,
ché non val punto meno di lei, di bellezza, di forme,
d’intelligenza, ed è sperta del pari in ogni opera bella.
Rendere pur tuttavia la voglio, se questo è pel meglio:
ch’io voglio salva, non voglio distrutta veder la mia gente.
Ma un dono tosto a me preparate, ché sol fra gli Argivi
io non rimanga senza compenso: ché ingiusto sarebbe;
perché tutti vedete qual premio a me adesso s’invola».
E a lui cosí rispose Achille dai piedi veloci:
«Avido più che niun altri, famoso figliuolo d’Atrèo,
come tal dono offrirti potranno i magnanimi Achivi?
Noi non sappiamo che ancora ci sian molte prede indivise:
quanto nelle città fu predato, fu tutto spartito,
né tutto accomunare vorranno di nuovo le schiere.
Al Dio tu la fanciulla rendi ora; e compenso gli Achivi
triplice a te daranno, quadruplice, quando la rocca
saccheggeranno, se Giove concederlo voglia, di Troia».
E a lui queste parole rispose Agamènnone prode:
«Non lusingarti, Achille divino, per quanto sei scaltro,
di superarmi in astuzia, di trarmi convinto all’inganno.
Tu, per tenerti il tuo dono, vorresti davvero che privo
io rimanessi del mio, che al padre rendessi la figlia?
Dare mi debbono un altro compenso i magnanimi Achivi,
che le mie brame appaghi, che all’altro sia pari di pregio.
Se poi rifiuteranno di darmelo, andrò da me stesso,
e il dono piglierò d’Aiace, oppur quello d’Ulisse,
oppure, Achille, il tuo: potrà sin che vuole adirarsi
quello a cui toccherà. Ma di ciò parleremo più tardi.
Ora una nave negra si spinga nel mare divino,
e rematori in quella s’accolgano, e dentro si ponga
una ecatombe, e anch’essa la bella figliuola di Criso,
vi salga; e guida sia qualcuno dei duci assennati —
Aiace, Idomenèo, Ulisse divino, o tu stesso,
figliuolo di Pelèo, tremendo fra gli uomini tutti —
ché con le offerte plachi il Nume che lungi saetta».
E Achille pie’ veloce, guatandolo bieco, rispose:
«Ahimè, anima avara, vestita di spudoratezza!
E chi mai degli Achei vorrà di buon grado obbedirti,
sia quando a campo si muove, sia quando si pugna da forti?
Non son venuto già per odio dei prodi Troiani
a questa guerra, io no: ché mai non mi fecero torto,
mai rapito non mi hanno cavalli né mandre di bovi,
non hanno mai distrutte le messi nei solchi di Ftia
fertile, altrice di genti: ché sono fra l’isola e loro
molte montagne ombrose, e il mare dall’eco sonora;
ma, svergognato, per te ti seguimmo, per farti contento,
per vendicar Menelao dall’offesa troiana, e te stesso,
ceffo di cane; ma tu non ci pensi, ma nulla t’importa.
Ed or vai minacciando che vuoi ripigliarmi il mio premio,
che dato m’han gli Achivi, che tanta fatica mi costa!
Pari alla tua non è mai la mia parte, allorché dei Troiani
mettono a sacco qualche città popolosa gli Achivi:
ché anzi, quando infuria la guerra, la parte più dura
la compion queste mani; ma quando si sparte il bottino,
è la tua parte più grossa di molto, piccina è la mia;
e me ne torno, stanco di pugne, con quella a miei legni.
Ma questa volta, a Ftia me ne torno; ché val molto meglio
salir le navi, e in patria tornare: non vo’ senza onore
accumulare qui per te sostanze e ricchezze».
Ed Agamènnone, re di genti, cosí gli rispose:
«Fuggi, se l’animo tuo ti spinge, ché io non ti prego
di rimanere per me. Ci sono a me presso altri molti
che mi faranno onore: c’è, primo, il saggissimo Giove.
Fra i re, di Giove alunni, tu sei l’odioso fra tutti,
ché sempre a te son care le risse le guerre le zuffe.
Se tu sei tanto forte, d’un Nume è pur dono la forza.
Vattene pure a Ftia, con le navi, e ai Mirmídoni imparti
ordini, ai tuoi compagni. Pensiero di te non mi piglio,
né perché tu t’adiri mi cruccio. Ma questo t’avviso:
ora che Febo Apollo mi strappa la figlia di Crise,
io dagli amici miei la farò su le navi condurre;
ma io ti prenderò la bella Brisèide, il tuo premio:
alla tua tenda io stesso verrò, si che tu vegga bene
quanto io sono di te più forte; e sgomenti chiunque
credersi pari a me presuma, ed oppormisi contro».
RIASSUNTO DEGLI EVENTI NARRATI NEL BRANO:
- L’ira di Apollo: Il sacerdote Crise chiede ad Agamennone di restituire sua figlia Criseide in cambio di un riscatto. Agamennone rifiuta, suscitando l’ira di Apollo, che scaglia una pestilenza contro l’esercito acheo.
- L’assemblea degli Achei: Dopo nove giorni di sofferenze, Achille convoca un’assemblea per comprendere la causa della peste. L’indovino Calcante rivela che solo restituendo Criseide senza riscatto e offrendo un sacrificio a Apollo, la furia del dio si placherà.
- L’ira di Agamennone: Agamennone accetta con riluttanza di restituire la fanciulla, ma pretende in cambio un altro premio, non volendo rimanere senza bottino.
- Lo scontro tra Achille e Agamennone: Achille si oppone con veemenza, ritenendo ingiusto che lui e gli altri Achei debbano privarsi del proprio bottino per compensare Agamennone. L’eroe minaccia di lasciare la guerra e tornare in patria.
- La minaccia di Agamennone: Agamennone, offeso dalla ribellione di Achille, afferma che prenderà Briseide, la schiava di Achille, per dimostrare la propria superiorità.
Questa disputa segna l’inizio dell’ira di Achille, tema centrale del poema, che porterà l’eroe a ritirarsi dalla guerra e a scatenare una serie di eventi drammatici.
TEMATICHE PRINCIPALI
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L’ira e il conflitto tra eroi
- L’opposizione tra Achille e Agamennone è il primo grande conflitto interno al campo acheo.
- Achille rappresenta l’eroe guerriero che combatte per la gloria personale e l’onore, mentre Agamennone incarna l’autorità del comando e il potere monarchico.
- L’orgoglio e la sete di riconoscimento spingono entrambi a scontrarsi, mettendo in crisi l’unità dell’esercito.
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Il ruolo degli dèi
- Apollo interviene direttamente nella vicenda per punire l’oltraggio fatto al suo sacerdote.
- Gli dèi nell’Iliade sono personaggi attivi, influenzano il destino degli uomini e spesso riflettono le loro stesse passioni e debolezze.
- Anche Atena, in seguito, interverrà per evitare che Achille uccida Agamennone, mostrando come il volere divino equilibri gli eventi.
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L’onore e il valore personale
- Achille si sente offeso perché Agamennone vuole privarlo del suo bottino di guerra, simbolo del suo valore.
- Nel mondo eroico, il prestigio è legato ai riconoscimenti materiali: perdere Briseide significa perdere prestigio e rispetto.
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Il potere del re e la gerarchia
- Agamennone esige rispetto in quanto re degli Achei, ma il suo atteggiamento tirannico mette in crisi la lealtà dei suoi guerrieri.
- La scena mostra il fragile equilibrio tra autorità e merito personale nel mondo greco.
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Il destino e la volontà umana
- Achille è consapevole della sua mortalità e, nonostante la sua forza, sa di non poter opporsi a certe decisioni divine.
- Il conflitto con Agamennone porterà Achille a compiere scelte che segneranno il suo destino.
COMMENTO
Questo passo è uno dei più importanti dell’Iliade perché stabilisce il motivo scatenante del poema: l’ira di Achille. L’eroe, sentendosi tradito, decide di ritirarsi dalla battaglia, e questo cambierà le sorti della guerra.
L’Iliade non racconta tutta la guerra di Troia, ma solo alcune settimane del decimo anno. Tuttavia, attraverso le azioni dei personaggi e le parole degli dèi, emergono i valori fondamentali del mondo greco antico:
- Il rispetto per gli dèi e le loro volontà.
- L’importanza dell’onore personale e del riconoscimento pubblico.
- Il conflitto tra ambizione personale e doveri verso la comunità.
Il contrasto tra Achille e Agamennone è anche una riflessione sulla natura del comando: è meglio un re autoritario che impone la sua volontà, o un eroe carismatico che segue il proprio senso di giustizia? Questo dilemma sarà centrale per l’intero poema e troverà la sua tragica conclusione solo con la morte di Achille.