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28 Dicembre 2019I versi 80-101 del primo libro del De rerum natura di Lucrezio trattano uno dei temi cardine dell’opera: la critica alla religione superstiziosa, che viene vista come fonte di crimini e atrocità.
Qui Lucrezio racconta un episodio tratto dal mito greco, ovvero il sacrificio della giovane Ifigenia da parte del padre Agamennone per placare la dea Diana (Trivia), così da permettere alla flotta greca di partire per Troia. Questo sacrificio, per Lucrezio, rappresenta un esempio emblematico di come la religione possa portare a compiere atti crudeli e irrazionali.
Analisi dettagliata dei versi
Versi 80-83: Introduzione della critica alla religione
Illud in his rebus vereor, ne forte rearis
impia te rationis inire elementa viamque
indugredi sceleris. quod contra saepius illa
religio peperit scelerosa atque impia facta.
In questi versi iniziali, Lucrezio esprime la preoccupazione che il lettore possa pensare che aderire alla filosofia epicurea (basata sulla razionalità e sulla spiegazione naturale dei fenomeni) sia un atto empio e che conduca al crimine. L’autore però ribalta questo ragionamento affermando che è la religione stessa, e non la filosofia, a essere spesso causa di crimini e atti malvagi. Il termine “religio” in Lucrezio ha un’accezione negativa, riferendosi alla superstizione e all’oscurantismo religioso.
Versi 84-85: L’episodio di Ifigenia
Aulide quo pacto Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede
Lucrezio introduce l’episodio mitico accaduto ad Aulide, dove i capi greci, per placare la dea Trivia (altro nome di Diana), decisero di sacrificare Ifigenia (“Iphianassa” è un altro nome per Ifigenia). La parola “foede” (in modo orribile) sottolinea la brutalità del sacrificio, il cui scopo è quello di ottenere il favore divino per la spedizione contro Troia.
Versi 86-90: La descrizione del sacrificio
ductores Danaum delecti, prima virorum.
cui simul infula virgineos circumdata comptus
ex utraque pari malarum parte profusast,
et maestum simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros
Ifigenia viene descritta come una giovane innocente, ornata con la infula, la fascia sacra posta intorno ai suoi capelli. Assiste alla scena del padre, Agamennone, in piedi davanti all’altare, triste, sapendo che gli assistenti nascondono il coltello per il sacrificio. Qui Lucrezio evidenzia il pathos della scena, ponendo l’accento sull’innocenza della vittima e sul dolore del padre, schiacciato dal dovere imposto dalla religione.
Versi 91-95: La disperazione di Ifigenia
aspectuque suo lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.
nec miserae prodesse in tali tempore quibat,
quod patrio princeps donarat nomine regem;
nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras
Ifigenia, terrorizzata, si inginocchia in silenzio a terra, comprendendo il proprio destino. La sua posizione di “figlia di re” non la protegge dal sacrificio. La scena è carica di tensione: l’immagine di Ifigenia portata a forza verso l’altare (sublata virum manibus – sollevata dalle mani degli uomini) è drammatica e accentua la sua vulnerabilità.
Versi 96-100: L’atto sacrilego
deductast, non ut sollemni more sacrorum
perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
sed casta inceste nubendi tempore in ipso
hostia concideret mactatu maesta parentis,
exitus ut classi felix faustusque daretur.
Qui Lucrezio sottolinea l’ironia tragica della situazione: Ifigenia non viene condotta all’altare per un matrimonio (la celebrazione di unione e vita, rappresentata dal canto nuziale, Hymenaeus), bensì come vittima sacrificale (hostia), proprio nel momento in cui avrebbe dovuto essere casta sposa. Il suo sacrificio è compiuto dal padre stesso, affinché la flotta greca ottenga un esito felice per la spedizione, un risultato ottenuto al prezzo di un crimine contro natura e morale.
Verso 101: Conclusione e condanna della religione
tantum religio potuit suadere malorum.
Questo verso conclusivo esprime la condanna definitiva della religione. La parola tantum rafforza l’idea dell’enorme potere della religione nel persuadere le persone a commettere atti malvagi. Lucrezio vede in questo episodio una rappresentazione esemplare del male che la superstizione religiosa può causare, manipolando la volontà umana verso azioni innaturali e crudeli.
Commento generale
Lucrezio, epicureo convinto, utilizza questo mito come simbolo del potere distruttivo della religione. La sua descrizione è volutamente cruda e drammatica, proprio per colpire il lettore e fargli comprendere l’orrore di ciò che viene perpetrato in nome della fede. Il messaggio di fondo è che la vera empietà non sta nel rifiuto della religione (come potrebbe pensare il lettore inizialmente), ma negli atti orribili che essa può indurre a compiere.
La religione viene dunque presentata come una forza che perverte la natura umana e corrompe la giustizia, portando persino i padri a sacrificare i propri figli. Al contrario, la ragione e la filosofia epicurea offrono un’alternativa morale, una via che cerca di liberare l’uomo dalle catene della superstizione e dell’irrazionalità.
Testo e Traduzione:
Testo originario latino:
Illud in his rebus vereor, ne forte rearis 80 |
Traduzione:
Temo che in questi argomenti tu possa credere, |
Audio Lezioni su Lucrezio del prof. Gaudio