Il ponte di Giovanni Pascoli
1 Agosto 2019I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij
1 Agosto 2019L’ipotesi di Guido Gozzano
I. Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,
se già la Signora vestita di nulla non fosse per via…
E penso pur quale Signora m’avrei dalla sorte per moglie,
se quella tutt’altra Signora non già s’affacciasse alle soglie
[…]
III. Quest’oggi il mio sogno mi canta figure, parvenze tranquille d’un giorno d’estate, nel mille e… novecento… quaranta.
(Adoro le date. Le date: incanto che non so dire,
ma pur che da molto passate o molto di là da venire.)
Sfioriti sarebbero tutti i sogni del tempo già lieto
(ma sempre l’antico frutteto darebbe i medesimi frutti).
Sopita quell’ansia dei venti anni, sopito l’orgoglio
(ma sempre i balconi ridenti sarebbero di caprifoglio).
Lontano i figli che crebbero, compiuti i nostri destini
(ma sempre le stanze sarebbero canore di canarini).
Vivremo pacifici in molto agiata semplicità;
riceveremmo talvolta notizie della città…
[…]
V. Verreste voi pure di spesso, da lungi a trovarmi, o non vinti ma calvi grigi ritinti superstiti amici d’adesso…
E tutta sarebbe per voi la casa ricca e modesta;
si ridesterebbero a festa le sale ed i corridoi…
Verreste, amici d’adesso, per ritrovare me stesso,
ma chi sa quanti me stesso sarebbero morti in me stesso!
Che importa! Perita gran parte di noi, calate le vele, raccoglieremmo le sarte intorno alla mensa fedele.
Però che compita la favola umana, la Vita concilia
la breve tanto vigilia dei nostri sensi alla tavola.
[…]
VI. Ma a sera, se fosse deserto il cielo e l’aria tranquilla
si cenerebbe all’aperto, tra i fiori, dinnanzi alla villa.
Non villa. Ma un vasto edifizio modesto dai piccoli e tristi balconi settecentisti fra il rustico ed il gentilizio…
Si cenerebbe tranquilli dinnanzi alla casa modesta
nell’ora che trillano i grilli, che l’ago solare s’arresta
tra i primi guizzi selvaggi dei pipistrelli all’assalto
e l’ultime rondini in alto, garrenti negli ultimi raggi.
[…]
E sotto la volta trapunta di stelle timide e rare
oh! dolce resuscitare la giovinezza defunta!
Parlare dei nostri destini, parlare di amici scomparsi (udremmo le sfingi librarsi sui cespi di gelsomini…)
Parlare d’amore, di belle d’un tempo… Oh! breve la vita!
(la mensa ancora imbandita biancheggierebbe alle stelle).
Parlare di letteratura, di versi del secolo prima:
“Mah! Come un libro di rima dilegua, passa, non dura!”
“Mah! Come son muti gli eroi più cari e i suoni diversi!
E’ triste pensare che i versi invecchiano prima di noi!”
“Mah! Come sembra lontano quel tempo e il coro febeo
con tutto l’arredo pagano, col Re-di-Tempeste Odisseo…”
Or mentre che il dialogo ferve mia moglie, donnina che pensa, per dare una mano alle serve sparecchierebbe la mensa.
Pur nelle bisogna modeste ascolterebbe curiosa;
“Che cosa vuol dire, che cosa faceva quel Re-di-Tempeste?”
Allora, tra un riso confuso (con pace d’Omero e di Dante) diremmo la favola ad uso della consorte ignorante.
Il Re di Tempeste era un tale
che diede col vivere scempio
un bel deplorevole esempio
d’infedeltà maritale,
che visse a bordo d’un yacht
toccando tra liete brigate
le spiaggie più frequentate
dalle famose cocottes…
Già vecchio, rivolte le vele
al tetto un giorno lasciato,
fu accolto e fu perdonato
dalla consorte fedele…
Poteva trascorrere i suoi
ultimi giorni sereni,
contento degli ultimi beni
come si vive tra noi…
Ma né dolcezza di figlio,
né lagrime, né pietà del padre,
né il debito amore
per la sua dolce metà
gli spensero dentro l’ardore
della speranza chimerica
e volse coi tardi compagni
cercando fortuna in America…
– Non si può vivere senza
danari, molti danari…
Considerate, miei cari
compagni, la vostra semenza!
– Vïaggia vïaggia vïaggia
vïaggia nel folle volo
vedevano già scintillare
le stelle dell’altro polo…
vïaggia vïaggia vïaggia
vïaggia per l’alto mare:
si videro innanzi levare
un’alta montagna selvaggia…
Non era quel porto illusorio
la California o il Perù,
ma il monte del Purgatorio
che trasse la nave all’in giù.
E il mare sovra la prora
si fu rinchiuso in eterno.
E Ulisse piombò nell’Inferno
dove ci resta tuttora…
Guido Gozzano, Poesie sparse