Il Convivio di Dante Alighieri – di Carlo Zacco
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3 Agosto 2015Il grande poeta si cimenta nella riflessione politica e difende l’autorità di un unico monarca che domina un impero universale. Dante credeva che la pace fosse realizzabile solo quando un singolo monarca sostituiva principi e re, divisivi e litigiosi. Tuttavia, credeva anche in una separazione dei poteri in quanto l’imperatore aveva giurisdizione sulle questioni temporali, mentre il papa amministrava le cose spirituali.
Premessa
Il convivio. Avevamo detto come, per quanto riguarda la grande opera politica di Dante relativa appunto alla monarchia universale, all’impero, noi possiamo vedere come uno dei temi capitali siano già presenti ma non svolti compiutamente, potremo dire accennati nei loro termini essenziali negli ultimi due trattati del convivio. Il convivio rimane, come più volte ho ricordato, incompiuto; e possiamo dire anche che il grande progetto che Dante aveva annunciato, e così solennemente celebrato alla fine del primo trattato del convivio, per quello che riguarda il convivio stesso, nell’opera non ha compimento: non ce l’ha nella realizzazione dell’autore che la lascia appunto incompiuta; e non l’ha per quello che riguarda l’effetto, l’impatto che avrebbe dovuto avere sul pubblico, anche successivamente per lungo tempo: perché la prima fortuna dell’opera risale ai tempi del Boccaccio, amoroso curatore delle opere di Dante, e poi soprattutto nel 400.
La fortuna e la sfortuna.
– Nel periodo di Dante. Per quello che riguarda il grande trattato politico di Dante, la situazione della fortuna, e anche della sfortuna dell’opera, si pone in termini molto diversi: innanzitutto Dante compie interamente il trattato, che ha una funzione ben precisa al fine di incidere nella pubblicistica del tempo; e perché proprio in questa direzione ebbe un impatto non indifferente, in relazione appunto alle tesi anti-ierocratiche che Dante aveva sostenuto nel suo trattato relativo alla monarchia universale, con grande impegno e vigore polemico. Vedremo subito leggendo come, anche qui, l’intenzione da Parte di Dante è di specificare con forza il proprio impegno, l’utilità che spera derivi dalla sua opera, e al tempo stesso la sottolineatura della novità.
– Dopo Dante. D’altra parte questa sua opera viene ad incidere, dopo la morte di Dante, in situazioni politicamente sensibili, nei rapporti tra papato e impero, e dunque anche in questo senso, tra coloro che sostenevano tesi legate al potere imperiale, e il papato. E anche da questo punto di vista l’opera finisce ad essere al centro di controversie. Possiamo dire che una certa fortuna, proprio per eventi politici del tempo, risale agli anni dopo il 1328, e al tempo stesso anche la persecuzione, diciamo così, che l’opera ha: nel 1329 il cardinale Bertrando del Poggetto condanna l’opera di Dante, che successivamente sarà anche messa all’indice, e viene bruciato sulle piazze anche il testo della commedia Dantesca.
– Tradizione e circolazione. Anche proprio per queste circostanze è stato notato che nella tradizione del testo ci furono problemi non da poco: si può dire che le copie di prima, seconda e terza generazione, non le abbiamo ricevute; e in molti casi noi abbiamo le tracce (i manoscritti sono circa una ventina) anche di una circolazione segreta e sotterranea, è stato notato, e anche recentemente ricordato che molto spesso il trattato di Dante viene nascosto e quasi occultato in codici che apparentemente sono compilati in modo tale da mettere mettere quest’opera non in prima evidenza.
Al tempo stesso ci sono altri che sono compilati in modo tale da mettere in evidenza la volontà di sottolinearne il senso e la portata, ovviamente a seconda che chi intendesse trasmette quest’opera, lo volesse fare in modo segreto (senza esporsi direttamente) o invece intendesse rivendicarne le posizioni.
– La traduzione ficiniana. Teniamo presente che una fortuna singolare ha non tanto il testo di Dante quanto la traduzione che venne fatta in volgare dal Ficino, del 1467, che ebbe una notevole fortuna di diffusione dell’opera. Nel secondo quattrocento, in una condizione del tutto mutata, l’opera poteva assumere nuovamente un peso e un significato.
– Rilancio Quattrocentesco. Questo va detto anche da un punto di vista culturale: nella Firenze del secondo 400, e ancor più sarà tale negli anni in cui pienamente opera e si impone, non solo politicamente ma anche come produttore culturale Lorenzo il Magnifico, ci sarà un recupero, un rilancio in grande stile, anche sul piano dell’alta cultura, cosa che a noi potrebbe sembrare scontato, ma così non è, l’opera di Dante.
– Nella riforma. Opera che torna ad essere di attualità nei contesti di varie controversie, per esempio in relazione a l concilio di Basilea, ma anche controversie successive: non è un caso che la prima edizione a stampa dell’opera latina di Dante, non in traduzione, sia abbia solo nel 1559 a Basilea, città luterana. Quindi anche per quello che riguarda per l’appunto un diverso modo di appropriazione negli ambienti riformati, mentre al tempo stesso, l’opera politica di Dante era messa al bando nell’indice dei libri proibiti. Anche per quella che è stata la fortuna-sfortuna del testo, ne è derivata una serie di problemi per quello che riguarda la trasmissione, dal punto di vista filologico: una trasmissione di non buona, o addirittura cattiva qualità con dunque dei problemi molto grossi di ricostruzione del testo critico: molto lavoro è stato fatto.
La tesi di Nardi. Il testo che noi abbiamo è quello stabilito dal Ricci nei primi del 900; tra gli studiosi che si sono occupati di quest’opera c’è il Nardi che ha nei confronti di essa una sua propria posizione, che vede quest’opera come una evoluzione nella sostanza tra il convivio e la commedia e secondo questa interpretazione, sarebbe la punta più forte di affermazione nella sostanza, anche con qualche aspetto di natura aristotelica più radicale, nell’affermazione della scienza come l’oggetto della felicità mentale. Non quella subordinazione tra filosofia e teologia stabilita da Dante invece nella Commedia. E’ molto discussa questa tesi, la questione affiora anche un po’ nel commento che abbiamo in queste pagine, e in ogni caso è una delle interpretazioni con cui è indispensabile confrontarsi.
Datazione. Ovviamente questo dipende anche dalla datazione, perché per poter operare un discorso di questo genere comunque si giudichi il contenuto filosofico-teologico dell’opera, dovremmo poter essere sicuri che la datazione si collochi tra il convivio e l’evoluzione in progress della commedia, In realtà la datazione della Monarchia di Dante è molto discussa sicché c’è chi la mette in un periodo che è prossimo dopo la composizione del Convivio, c’è invece chi la sposta presso la conclusione dell’opera poetica Dantesca.
Opera poetica Dantesca, la commedia, che è la più alta realizzazione, con cui Dante compie quel progetto che era stato impostato e celebrato nel convivio: il convivio come opera in volgare esercita il ruolo che Dante voleva, ma ad un grado molto più alto e fondamentale, Dante anche in termini di felicità poetica, vi è appunto la grande Commedia.
La tesi di fondo: legittimazione del potere imperiale. Quando noi pariamo di questa nostra opera in latino, il trattato sulla monarchia universale, ci troviamo di fronte appunto ad una scelta diversa: diversa per quello che riguarda la lingua, scelta diversa per quello che riguarda il pubblico: la lingua per un opera come questa non poteva essere altro che il latino, perché qui Dante non vuole fare un’opera che può puntare ad una divulgazione ma un opera che rifondi il pensiero politico stesso e pubblicistico, in relazione a ciò che significa il potere imperiale e ne fondi la legittimità come derivata direttamente da Dio e quindi non sottoposta a quello che è una subordinazione in quanto conferita mediante il potere della chiesa.
– La crux interpretativa finale. Un interpretazione complessiva del trattato nelle sue linee principali è abbastanza chiara, ci sono tutta una serie di nodi interpretativi nei singoli punti naturalmente, e c’è un problema interpretativo non da poco in relazione alla conclusione, dove sembra che nel terzo libro, dopo aver acclamato con forza appunto l’origine e la finalità dei due poteri entrambi derivati direttamente da Dio, l’opera si conclude dicendo che in una qualche misura il potere imperiale in qualche modo è soggetto alla chiesa nella reverenza che il figlio deve al padre; una conclusione molto discussa e che costituisce una nelle croci interpretative non da poco sul piano generale.
L’impostazione generale. Quello che noi vediamo insieme è l’impostazione che Dante dà al suo trattato. Vediamo parallelamente in questo modo un andamento molto stringente logicamente stringente del modo di procedere di Dante, tutto è trattato come una quaestio, che ha una sua unità nella tematica e che è tripartita in tre libri anche qui c’è il rapporto ontologico tra il numero delle parti e quello che il numero significa, con un evidente significato Simbolico del carattere trinitario (nell’unità del trattato una tripartizione in tre libri) proposta proprio in tre quaestiones che vi sono esaminate ciascuna in un libro, fino alla conclusione.
– Procedimento per accumulazione. Il metodo ancora una volta è quello logico-espositivo della filosofia scolastica. Qui Dante procede, è stato giustamente notato, sia da un punto di vista stringente nel modo in cui sono svolte le argomentazioni sia anche attraverso una serie di accumulazioni di prove, di prove relative a quello che egli sostiene e per rifiutare, respingere quello a cui si oppone, prove in questo caso non concatenate reciprocamente ma accumulate ad abundantiam in modo tale da dare assoluta evidenza, proprio anche nel numero delle prove date nella loro qualità delle conclusioni delle tesi sostenute.
Pubblico / modi di esposizione. Tutto questo non lo vediamo, qui prendiamo in considerazione solo la parte proemiale e l’inizio del trattato. Il pubblico diverso a cui è destinata l’opera implica anche un modo di esposizione diversa: non è necessario operare con tutta una serie di partizioni e spiegazioni più minute, più che altro qui si intende provare e dimostrare, anche con un taglio che giustamente è stato definito più aggressivo, rispetto al dettato del convivio, per l’appunto si intende provare, dimostrare attraverso la dimostrazione, affermare le tesi sostenuta.
Doppio stile: dimostrativo / ornato. D’altro canto è stato osservato che soprattutto per quello che riguarda la scrittura nelle parti proemiali in particolare, cioè negli inizi, dei tre libri, c’è anche da parte di Dante una volontà di sottolineare anche con grande efficacia retorica l’altezza del suo discorso, cioè è stato detto che in un certo senso si avvale di due modi diversi nell’uso del latino: più legato ad aspetti di carattere analitico dimostrativo logico per quello che riguarda lo svolgimento delle quaestiones, e invece molto più stilisticamente ornato, puntando anche all’ornatus difficilis, per quello che riguarda le parti proemiali.
Tirata finale. Un altro aspetto interessante da considerare è quello dello stile peculiare dell’ultimo libro: dove di fatto lo stile Dantesco assume un piglio molto efficace anche sotto il profilo polemico: Anche da un punto di vista espressivo, nel respingere le tesi degli avversari in modo estremamente incalzante: uno dei capitoli più interessanti a questo proposito a mio avviso è nella parte appunto terza, libro terzo, capitolo X che tratta della donazione costantiniana, e della discussione che Dante fa per respingere punto su puntole tesi che venivano sostenute in relazione alla donazione costantiniana e a quanto della donazione costantiniana dovrebbe derivare (le tesi ierocratiche) mentre Dante ne respinge totalmente la legittimità: come sappiamo Dante non sapeva che si trattasse di un falso, ma lo riteneva giuridicamente illegittimo. Ciò premesso veniamo, rispetto al convivio, anche se qui leggiamo una traduzione, il piglio risulta nella sostanza molto più energico in termini assertivi per quanto riguarda anche la propria opera, la propria posizione come scrittore. Ci sono naturalmente una serie di aspetti comuni: il primo che si coglie immediatamente come aspetto comune è l’enunciazione iniziale, che non casualmente il nostro commentatore richiama a quella che è l’enunciazione iniziale del convivio in relazione a quello che è il principio che si richiama alla metafisica aristotelica.
I Primo Libro
1. Amare il vero: cioè il desiderio di conoscere
questo … sforzi: qui Dante sottolinea fortemente il concetto, già aristotelico per la verità, quella che è il dovere stesso dell’uomo di cultura che è quello di ricevere la testimonianza di chi appunto si è impegnato nella ricerca filosofica degli antichi, per proseguire sulla loro strada arricchendo appunto i loro sforzi. Tanto che egli stesso ne ha fatto frutto. Quindi il legame è duplice: da un lato gli antichi che stanno alle spalle, dall’altro la posterità che sta davanti al futuro dello scrittore, e la spiegazione viene immediatamente data subito dopo.
2. Comune benessere: qui la traduzione potremmo anche renderla diversamente per la verità, perché il testo latino ci dà: ad rem publicam quindi -comune bene’ potrebbe sembrare un po’ riduttivo.
Costui … ingoiato: qui comincia la prima citazione autoritativa che è una citazione appunto che viene in questo caso a un salmo. Vuol dire: che non opera per il bene comune. Anche per questo come per altri, c’è un sottile reticolo di fonti, che sono scritturali ma anche fonti classiche, filosofiche e non.
3. La figura dello scrittore viene ora messa in primo piano, lo scrittore che riflette e pensa sulla base dell’eredità ricevuta e si dispone ad operare per il bene comune.
Talento sotterrato: riferimento alla parabola di Matteo e Luca
Germogliare: dal seme che ha ricevuto, cioè crescere nella cultura.
Mai da altri tentate: quello che qui viene ad essere dichiarato è la novità della propria opera che è relativa innanzitutto a verità mai da altri tentate. E’ stato giustamente osservato che uno dei motivi ricorrenti nelle parti proemiali è quello di sostenere la novità del proprio lavoro. Potremmo dire che anche questo è un principio retorico; va anche però detto che l’insistenza che qui Dante ha cosi fortemente sottolineato, nonostante vi siano molte opere precedenti della pubblicistica relativa allo stesso argomento, Dante ha tutto un cammino dietro alle sue spalle, possa essere giustificata dal fatto che Dante voglia mettere su un’impostazione diversa, rispetto anche all’impostazione sostanzialmente giuridica su cui era impostata appunto la pubblicistica anti-ierocratica, la sua opera stessa, fondando i principi del suo discorso ed è quello che intende fare proprio in questo suo primo libro. Fondando i principi del suo discorso e svolgendoli innanzitutto in una chiave filosofica.
4. La novità è nel palesare verità mai da altri tentate perché infatti qui segue una serie di domande retoriche per cui dice -quale vantaggio ci sarebbe mai se si dicessero di nuovo cose già note, e questi esempi sono tratti dalla geometria, oppure dalla stessa filosofia etica, in relazione ad Aristotele, oppure per quanto riguarda, più generalmente parlando per quello che possiamo definire trattati di filosofia morale e di costume, trattare di vecchiaia come il De senectute di Cicerone. Non sono argomenti già noti quelli che possono dare utilità, anzi, riprendere in mano cose che sono secondo Dante già state svolte compiutamente (guardate bene che sono messe qui con queste tre domande retoriche sullo stesso piano questioni tra loro molto diverse: non casualmente si parte da una definizione che riguarda un tema di carattere matematico geometrico) sarebbe cosa noiosa e superflua trattare di cose già note, allora qual è lo studio che vuole fare- Quali sono le verità che vuole mostrare- Qual è l’argomento-
5. ..da nessuno tentata: è chiaro che c’è un iperbole in questo.
Nessun guadagno: è qui sottesa la polemica che abbiamo visto nell’invettiva del Convivio a chi si occupa delle litterae per ricavarne denaro.
All’umanità: il discorso che qui Dante vuole svolgere, non riguarda uno scopo di questo singolo scritto ma un utilità di carattere generale: il bene comune, quindi lo scopo più alto in questo senso.
Gloria: si collega con quanto egli ha tentato. C0è anche una sorta di solennità sottolineata retoricamente tramite un crescendo a climax in questo.
6. D’altra parte potrebbe sorgere il biasimo nei confronti di un auto-esaltazione e quindi di una superbia da parte dell’autore, è indispensabile quindi anche mettere in evidenza che non sono tanto le sua capacità, quanto cio che gli può derivare dalla luce divina.
In un certo senso, facendo le debite proporzioni, cambiando quello che è da cambiare, potremmo vedere qui una sorta di analogia per quello che riguarda la consapevolezza circa l’altezza della sua opera e la necessità che ha di un’ispirazione dall’alto, pensiamo all’invocazione ad Apollo nella Commedia. Abbiamo visto una consapevolezza di come lo scrittore vuole affrontare per una ragione di utilità comune, quindi in questo senso pure facendone un dono agli altri, operando mediante i talenti ricevuti da Dio e operando in modo tale da poter ottenere i risultati intermini di novità e potendo incidere ottenendo lo scopo che la sua opera si prefigge.
II Secondo libro
1. La correlazione come sempre ci viene data in modo stringente all’inizio del capitolo: si pone innanzi tutto quello che è da considerare, se noi vediamo il testo latino possiamo anche riscontrare in questo come ricordando alcune delle formule di collegamento e di passaggio nel convivio ci sia una similarità di formule: primum quidem igitur videndum quid est quod; pertanto è da vedere anzitutto che cos’è così all’ingrosso. La parola typo viene tradotta all’ingrosso’ per intendere una descrizione sommaria.
2. La trattazione inizia con una definizione: che cosa viene ad essere definita la monarchia temporale, quindi in primo luogo pone il problema nella sua parte più generale partendo dalla sua definizione. Dunque, prima di tutto ala definizione e poi immediatamente le tre questioni che si pongono in relazione alla monarchia temporale così definita.
3. Le tre questioni così poste sono svolte ciascuna rispettivamente nel primo, nel secondo e nel terzo libro. [44:01] Ed è proprio evidente come la diciamo questione più scottante da discutere che richieda un impegno forte anche come polemista da parte di Dante sia proprio quella del terzo libro, se l’autorità del monarca dipenda direttamente da Dio oppure da altri, ministri o vicari di Dio. Allora, si tratta, dopo aver spiegato nella definizione che cosa sia monarchia universale e quali sono le questioni che si pongono ad essa e cioè, quello che è lo scopo che vuole raggiungere nel suo libro e il modo in cui l’argomento verrà svolto nelle tre questioni, quello che vuole porre è il principio su cui basare tutto il suo discorso e ala sua dimostrazione. Quel principio che non era secondo lui ancora stato trattato da altri in modo tale che senza aver posto questo non si possa giungere alla verità.
4. Ma siccome…dipoi. E un principio anche dal punto di vista logico che deriva dalla Analitica di Aristotele.
5. Qui deve operare una distinzione tra le cose che si possono conoscere ma non fare, e invece le cose che sono relative al fare. Come sono le cose che si possono solo conoscere ma le cose della non fare: matematica, le cose naturali e le cose divine.
Cambia il fine e cambiano i livelli su cui ci si pone: ha posto questa fondamentale distinzione, ed è il secondo corno della questione che gli interessa qui, perché qui interessa appunto quello che siamo in grado non solo di conoscere ma di fare, e naturalmente di conseguenza il fatto che in questo caso c’è un rapporto tale per cui non è il fare ordinato al conoscere ma il conoscere ordinato al fare. Il fine, e deve essere ben chiaro e ben definito è l’operare. Infatti noi siamo qui in un ambito di un discorso sull’operare in ambito civile.
6. Il discorso di Dante qui risale alla definizione di carattere generale di tutto, il discorso sui principi è fondamentale in un impostazione di questo genere.
7. Come potete notare, e ce lo spiega bene la nota del commentatore, tale dottrina della priorità della causa finale sulla causa efficiente è di tutti gli aristotelici. Dante arriva passo passo all’affermare in modo stringente quali sono i termini della dimostrazione che egli sta facendo.
Ne segue … fine stesso: qui c’è una spiegazione di questo che altro è il modo di tagliare il legno per fabbricare una casa altro per costruire una nave che nel testo latino dovrebbe essere ratio questo modo.
8. Dunque la sua ricerca quale dovrebbe essere- Dovrebbe essere quale sia il fine di tutta quanta la società umana, e proprio sotto questo profilo è organizzato tutto il discorso del terzo capitolo, che è piuttosto complesso in tutti i suoi diversi passaggi [è da leggere, con l’ausilio delle note]
III. terzo libro
Capire qual è il fine del genere umano. E’ da leggere con l’ausilio delle note, per comprendere il modo di procedere che è per esempi. Il primo esempio che mostra per chiarire il problema che ci siamo posti è quello del rapporto tra le singole parti e il tutto; naturalmente parte da quello che è ordinato dalla natura: la natura a sua volta secondo Dante è direttamente voluta da Dio, quindi se cominciamo ad esaminare da una piccola parte del corpo umano, per esempio da pollice, ci dice Dante, progressivamente vediamo che pollice è ordinato ad un fine, ed ad un fine distinto da quello per cui la natura ha prodotto la mano, e cosi via per tutte le parti del corpo si viene ad arrivare a tutto il corpo dell’uomo, quindi se questo è per quello che riguarda dal fine per cui la natura ha ordinato il pollice in relazione via via a diversi fini crescendo dal piccolo per arrivare al tutto, lo stesso vale dimostrativamente per quello che riguarda come è ordinato il fine del singolo uomo e via via procedendo per quello che riguarda la comunità domestica, il villaggio, la città il regno, finché l’ottimo fine è quello per il quale il Dio eterno con l’arte sua che è la natura trae all’esistenza tutto quanto il genere umano. Ed è questo che qui viene ad essere sottolineato [paragrafo due, alla fine]: E questo .. indagine: quale sia il fine a cui è ordinato da parte di Dio tutto il genere umano, e da qui comincia il seguito della dimostrazione per cui è stabilito il principio direttivo dell’indagine, che si svolge in termini filosofici, si conclude come prima parte in questo capitolo e si parte poi come conclusione data all’inizio del capitolo successivo.
Necessità della monarchia universale. Una volta stabilito il principio direttivo poi procederà con tutta una serie di prove che giungeranno a dimostrare che è indispensabile perché si attui il fine proprio dell’uomo, che questo che sia lo sviluppo in atto delle facoltà che sono insite, quelle del cosiddetto intelletto possibile che l’uomo ha, che siano in atto sia dal punto di vista speculativo che poi a seguito di questo nelle operazioni umane, perché appunto si realizzi questo è indispensabile che ci sia la pace uni versale: quindi si fonda la necessità della monarchia universale; questo è quello che il primo libro dimostra.
Quindi, è un procedimento che viene fatto come abbiamo visto enunciando principi di carattere generale puntando innanzitutto a definire in termini generali quale sia l’oggetto del discorso istituendo, come abbiamo visto anche se in forme diverse nel convivio, quello che è il piano del discorso e svolgendolo attraverso le dimostrazioni che ci vengono date in un organismo che è fortemente stringente, dal punto di vista logico dimostrativo: in questa parte non c’è dato campo a obiezioni proprio perché secondo Dante questo modo di mostrare, basato sul procedimento sillogistico-deduttivo, ma Dante non rinuncia ad uno spostamento di piani partendo dal piccolo per arrivare al grande e procedimento inverso, Dante appunto ritiene che non si possa altro che giungere di necessità alle conclusioni cui giunge.
Se poi andiamo a vedere i punti di passaggio troviamo come avevo già accennato anche ieri, alcune delle formule che sono proprie dei moduli espressivi che sono propri (ripresi naturalmente dal latino) del Convivio: come per l’affermazione che riprende il discorso «dico pertanto che» (dico igitur quod) ecc. le varie formule iniziali che mettono in evidenza in modo perentorio quelli che sono i gangli di collegamento del discorso e della sua ripresa. Un’altra tecnica che nel convivio emulava quella del trattato latino era quella della ripresa: in più punti compariva all’inizio di frase la parola ancora, nella punteggiatura dell’editore moderno c’è un «ancora: » oppure «ancora, », ecco, anche qui, con formule diverse, ci può essere adhuc, rursus, e cosi via. Queste sono le stesse formule che nel Convivio Dante ha tradotto per fondare la nuova prosa volgare.
Questa è la ragione per cui abbiamo analizzato alcuni passi del convivio parallelamente ad alcuni passi della monarchia, della quale non ho scelto casualmente l’inizio del testo perché, è una scelta costante in tutte le letture antologiche: in questo modo, proprio in ciò che le parti proemiali ci mostrano, è più agevole poter operare de confronti in questo senso.