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28 Dicembre 2019“Del Principe e delle lettere”. Alfieri saggista
28 Dicembre 2019Vittorio Alfieri, celebre poeta e drammaturgo del XVIII secolo, fu anche un importante saggista e intellettuale politico.
Nel secondo atto, scena prima della tragedia “Saul” di Vittorio Alfieri, emerge in modo evidente la profonda perplessità del protagonista, che oscilla tra il senso di colpa, la paura dell’abbandono e la gelosia per Davide. In questa scena, Saul è preda di un conflitto interiore che si manifesta in una crisi di dubbio e incertezza; la sua mente è divisa tra un desiderio di riconciliazione con Dio e il sospetto che lo rende ossessionato dalla figura di Davide.
Contesto della scena
Saul si trova tormentato dall’idea di essere stato abbandonato da Dio, che in precedenza aveva scelto Davide come futuro re. Questo lo porta a uno stato di angoscia crescente e di continua perplessità: la possibilità di perdere il favore divino lo getta in un vortice di paure, sospetti e odio, specialmente verso Davide, che sente come un rivale e una minaccia alla propria autorità e al proprio onore.
Analisi e citazioni
Saul esprime la sua inquietudine con parole forti e drammatiche, a testimonianza del suo dissidio interiore. La scena si apre con un monologo in cui il re si lamenta dell’ineluttabilità del suo destino e della sua impossibilità di trovare pace:
“Misero me! Che mai sarà di questo
già travagliato e irrequieto petto?”
Con queste parole, Saul rivela la propria sofferenza e la sua angoscia, preda di una condizione che non sa come risolvere. Il tormento interiore di Saul è alimentato dal dubbio: teme che Dio abbia davvero voltato le spalle a lui e scelto Davide come suo successore, cosa che rende la sua esistenza un vero e proprio supplizio.
Saul si interroga quindi su Davide e sulla minaccia che il giovane rappresenta. La sua mente vacilla, alternando sentimenti di ammirazione e odio verso il ragazzo. Esprime questa ambivalenza in modo intenso:
“E tu, pietà! M’abbandoni tu pure?
Davide il mio nemico è? Oh, misero!”
Saul è diviso tra il desiderio di essere compassionevole e la paura che Davide sia davvero il suo nemico. Questa ambiguità lo consuma, gettandolo in uno stato di perenne perplessità. Egli non sa se fidarsi del giovane o se temerlo come una minaccia reale.
La sfiducia che prova nei confronti di Dio si mescola a quella verso Davide, provocando in lui una reazione rabbiosa:
“Chi dunque è quel che mi minaccia?
Un fanciullo, un servo, un nemico già.”
In queste parole Saul esterna il suo senso di inadeguatezza e impotenza, sottolineando come Davide, seppur un giovane, rappresenti per lui un pericolo. La paura di perdere il trono e l’onore lo tormenta, ma allo stesso tempo il dubbio sull’effettiva minaccia del ragazzo lo rende insicuro e indeciso.
In un altro momento del monologo, Saul riflette sulla propria solitudine e sulla consapevolezza di essere abbandonato non solo da Dio, ma anche dal suo stesso popolo. Questo senso di isolamento è accentuato dalle sue parole:
“Dio mi ha lasciato, e abbandonato al nulla
quest’anima di re, fatta a l’invincibile.”
Questa dichiarazione è carica di tragicità: Saul non è più l’uomo forte e invincibile che si immaginava, ma si sente ridotto a nulla. Il dramma di Saul in questa scena risiede nel riconoscere la propria caduta e nel sentirsi impotente di fronte al proprio destino.
Infine, la scena termina con Saul che, sopraffatto dalla disperazione e dal dubbio, si abbandona al tormento, incapace di risolvere il conflitto interiore che lo divora. La perplessità che lo domina è palpabile e lo conduce verso una spirale di disperazione sempre più profonda.
Conclusione
La perplessità di Saul nella scena prima del secondo atto è una rappresentazione potente della sua angoscia e della sua debolezza. Alfieri costruisce un personaggio consumato dal sospetto, dalla gelosia e dal senso di abbandono. La scena rappresenta un momento chiave in cui la grandezza del re si sgretola, lasciando emergere la sua profonda vulnerabilità. In Saul vediamo un uomo che, pur essendo stato potente, si trova ora completamente smarrito di fronte alla propria umanità e ai propri limiti.