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di Chiara Frugoni
2001
Do volentieri atto al ministro De Mauro di avere con grande sensibilità ascoltato le proteste che da tante parti si sono levate sull’insegnamento della storia come delineata dalla nuova riforma, perché ha da pochi giorni allargato la commissione – in cui fino ad oggi sono stati attivi, si può dire, esclusivamente esperti di pedagogia e di didattica della storia – a tre storici di grande prestigio: Girolamo Arnaldi, Massimo Firpo e Giovanni Vitolo. L’augurio è che nel ristrettissimo tempo a disposizione si possa mettere a punto un nuovo documento che tenga conto anche – non soltanto, ovviamente – della opinione dei membri aggiunti e dei rilievi espressi dalla comunità scientifica e degli insegnanti; in subordine, che si imponga una pausa di riflessione e che non si faccia partire, da subito, tutta la riforma.
Siamo a marzo e gli editori non sanno ancora che libri stampare, che libri far scrivere perché siano pronti per il prossimo settembre, quando inizieranno i nuovi cicli.
Pare invece più che probabile che con pochi ritocchi il libro di Antonio Brusa, Le storie del mondo, pubblicato da Bruno Mondadori, che anche nell’enunciazione degli argomenti si mostra vicinissimo alle linee guida della commissione, possa presentarsi ad autunno come il primo libro della riforma e dunque diventare nei prossimi anni il libro canonico di riferimento.
Poiché Antonio Brusa è stato uno degli animatori del progetto della commissione mi pare importante soffermarmi sul suo libro, molto ambizioso, che si presenta come la proposta di «una nuova storia», una storia globale.
Voglio subito chiarire la mia posizione. Sono del tutto d’accordo a non mantenere lo sguardo ristretto alla nostra storia italiana ed europea. E’ più che giusto che il giovane studente sappia anche quello che parallelamente succedeva e succede nel resto del mondo. Bisogna però tenere conto, a mio parere, di alcuni punti: innanzi tutto delle capacità cognitive di un giovane che quando comincia a studiare la preistoria ha dieci anni; bisogna tenere presente che quello che viene detto deve essere contenuto in un libro di non troppe pagine e che l’insegnamento della storia è contenuto in un numero di ore ben definito.
Non si deve perciò strizzare un’enciclopedia in un compendio che dica mezza pagina di tutto. Lo studente non capirà nulla e non si ricorderà nulla.
Metterei invece in campo il principio del gradiente. Darei la preminenza a quello che è il nostro passato perché lì sono le nostre radici e non bisogna rinunciare alla propria identità culturale. Degli altri popoli e delle altre civiltà va attuata una presentazione gerarchizzata: più approfondita a seconda del punto di tangenza con la nostra.
Il giovane studente vive ormai in un mondo multietnico ed è importante che sia messo in grado di conoscere, e perciò di apprezzare, i valori delle civiltà di cui è portatore il compagno di banco, che magari viene da molto lontano. Solo in questo modo si può impedire il crescere del razzismo ed invece avviare ad una feconda interazione. Ma è utopistico pensare che si possa parlare di ogni popolo e in ogni tempo, a meno di non parlare per spot.
Non la pensa così Antonio Brusa; la sua nuova storia è globale, con il risultato di dire così poco che equivale a non dire nulla; la storia italiana ed europea vengono per così dire «l’iofilizzate» in modo da fare stare in poche pagine quella, altrettanto «l’iofilizzata», di tutto il mondo. Ma la storia di Antonio Brusa è nuova anche per la quantità di errori e sorprendenti enunciazioni che troviamo. Con questo libro, spiega l’autore, «il lettore può andare al cuore dei processi, rapidamente, senza perdersi nella sequenza dei popoli, delle battaglie, delle cause e degli effetti di eventi che – nel lunghissimo tempo della storia umana – appaiono marginali. A queste condizioni, la storia torna ad interessare». Devo dire che mi sento davvero presa dallo sconforto e non so da dove cominciare per commentare un simile principio teorico, e penso con profonda amarezza in che mani sono messe generazioni di scolari!
In effetti qualsiasi principio di correlazione fra gli avvenimenti nel libro è distrutto. Mi chiedo che idea si possa fare un ragazzo di un passato senza alcuna scansione cronologica! Ad esempio dopo avere parlato a pag. 52 delle tecniche agricole ed epidemie medioevali – ma la peste non la portano i pidocchi! – ci ritroviamo a pag. 134 nella preistoria, ma la pagina precedente «un mondo di stati» ci mostra Clinton e Chirac all’opera. Si salta in continuazione da un periodo all’altro, distante migliaia di secoli. Basti il titolo: Due modelli: civiltà neolitica e civiltà industriale, con questa «perla»: «Ma, come accadde durante il Neolitico, non tutte le civiltà adottarono il modello inglese» (pag. 55). Che idea si deve fare lo studente degli istituti industriali dell’attività diplomatica? Questa, e unicamente questa: «L’ambasciatore italiano si lamenta con il governo inglese perché uno spot pubblicitario britannico presenta gli italiani “pizza e spaghetti”; l’ambasciatore bulgaro protesta con il governo italiano perché sui nostri giornali “bulgaro” è un aggettivo che indica mancanza di libertà e così via».
Al grave problema degli stereotipi – «così temuti che si fanno trattati internazionali per eliminarli vicendevolmente dai libri e dai mezzi di comunicazione di massa» sono dedicate quattro pagine, mentre meno di due bastano perché lo studente capisca come dalla caduta dell’impero assiro e attraverso Alessandro Magno si arrivi all’unificazione di tutto il Mediterraneo compiuto da Roma. Come risolvere il grave problema degli stereotipi?
Cambiare prospettiva, la storia mondiale! Studiare la storia di tutti «uomini e donne della Terra, senza esaltare o deprezzare nessuno», cioè dedicare una pagina a qualsiasi cosa, a qualsiasi argomento, cioè rinunciare a ragionare per dare soltanto spot, «senza perdersi nelle cause e degli effetti degli eventi». I bambini Turchi – come spiega sempre Antonio Brusa – devono smetterla una buona volta di credere di essere l’ombelico del mondo. Quando avranno capito questo della storia, avranno davvero capito tutto.
Molte cose sono diventate marginali in questo libro. Mi limito al campo medioevale che mi è famigliare e a qualche esempio; marginale è l’esattezza di quello che si afferma (sarebbe stato Federico II ad ideare l’inquisizione), marginale possedere proprietà concettuale e terminologica (si veda la confusione totale di termini e di concetti per spiegare «il sistema feudale»). Che idea si farà lo studente del monachesimo occidentale se tutto quello che si dice in proposito è che «i libri della civiltà ellenistica – sottolineo ellenistica – sarebbero andati perduti» se Benedetto non avesse dato vita «ad un ordine religioso il cui compito era quello di pregare e copiare i manoscritti», anche se i monaci copiarono però «soltanto quelli che non erano contrari alla fede»? (Di san Benedetto e dei monaci in generale non è dato sapere di più).
Infine un esempio per un libro che, come sottolinea l’autore, non ha bisogno di essere spiegato perché «il testo si autosostenta» né necessita «di ricerche linguistiche o glossari esplicativi» perché «ha dentro di sé tutte le spiegazioni che occorrono». Saltando, come al solito, dal 500 a.C al Mille d.C in una stessa frase, per descrivere i miglioramenti decisivi della tecnologia agricola l’autore menziona, quanto al Medioevo, l’aratro pesante e il collare rigido. Non spiega mai in cosa consista né l’uno né l’altro.
La stessa disinvoltura è per le immagini, sulla cui funzione si insiste molto. E sarei totalmente d’accordo, se anche qui non abbondassero gli strafalcioni: saranno veramente monaci intenti a cantare nel secolo X il canto gregoriano i religiosi della figura di pag. 202 se fra loro è un frate francescano (s.Francesco è morto nel 1226)?