Grazia del ciel,
come soavemente ti miri ne la terra
abbeverata, anima fatta bella dal
suo pianto! O in mille e mille
specchi sorridente grazia, che da la
nuvola sei nata come la voluttà
nasce dal pianto, musica nel mio
canto ora t’effondi, che non
è fugace, per me trasfigurata in
alta pace a chi l’ascolti.
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Il cielo
– rivolge al cielo che
si specchia nella terra che è stata abbeverata dalla pioggia, cioè nelle pozzanghere; – la dolcezza del cielo, dopo la
pioggia, è paragonata a quella che si prova dopo un pianto liberatore, quando l’anima si sente purificata, dopo aver sfogato la sua pena; – gli specchi sono le
pozze lasciate dalla pioggia; – la luminosità del cielo è paragonata
a un sorriso; – la grazia nasce dalla
pioggia così come il piacere segue il dolore; – questa grazia si esprime anche
attraverso le parole del poeta, che tramite l’armonia dei suoi versi, ne riproduce la sensazione; e fissa (non è fugace) nella poesia ciò che è durevole; – ascoltando i versi del poeta si prova
una pace profonda, in quanto questi evocano la bellezza della natura. Grazia: si nomina la caratteristica della cosa, non la cosa, secondo un procedimento impressionistico tipicamente simbolista; Musica del mio canto: predicativo, sempre riferito a Grazia; |
Nascente Luna,
in cielo esigua come il sopracciglio de la
giovinetta e la midolla de la nova
canna, sì che il più lieve
ramo ti nasconde e l’occhio mio, se ti
smarrisce, a pena ti ritrova, pe ‘l sogno
che l’appanna, Luna, il rio che
s’avvalla senza parola erboso
anche ti vide; e per ogni fil d’erba
ti sorride, solo a te sola.
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La luna
– la luna nascente è
sottilissima ed è paragonata sia al sottile sopracciglio arcuato di una giovinetta, sia alla polpa (midolla) della canna appena cresciuta; – la luna è talmente sottile che può
essere nascosta da un ramo, e l’occhio del poeta (che è un po’ annebbiato dal sogno) fatica a ritrovarlo, se per un attimo la perde di vista; – il fiume, che scorre silenziosamente
(senza parola) verso valle (s’avvalla) tra due rive erbose, rispecchia la luna (ti vide); – il luccichio prodotto dalla luce
lunare sull’acqua che scorre è come un sorriso che il fiume stesso rivolge alla luna; – e c’è una specie di dialogo
silenzioso ed esclusivo tra l’uno e l’altra (solo a te sola); L’occhio del poeta: offuscato dal sogno, ovvero dalla contemplazione di questa scena; Luna: è scritta con la maiuscola, in quanto personificata; |
O nere e bianche
rondini, tra notte e alba, tra vespro e
notte, o bianche e nere ospiti lungo l’Affrico
notturno! Volan elle sì basso che
la molle erba sfioran coi petti,
e dal piacere il loro volo sembra
fatto azzurro. Sopra non ha sussurro
l’arbore grande, se ben
trema sempre. Non tesse il volo
intorno a le mie tempie fresche ghirlande?
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Le Rondini
– siamo già di notte: le rondini,
nere sul dorso e bianche sul petto, volano in prossimità del fiume (ospiti) nei momenti che vanno tra il crepuscolo (vespro) e la notte, e tra la notte l’alba; – le rondini inoltre volano così
rasenti al terreno da sfiorare l’erba bagnata (dalla pioggia) coi loro petti; – ed è tanta la gioia del volo, che
questo sembra fondersi con l’azzurro del cielo; – la chioma del grande albero si muove
senza far rumore, perché è mossa da un vento leggero; – al poeta che guarda la scena il volo
delle rondini sembra una corona che cinge il suo capo; Fatto azzurro: il poeta ipotizza una specie di fusione panica tra il volo delle rondini, e l’azzurro scuro del cielo notturno: questa segreta analogia è espressa dalla sinestesia, che mette insieme movimento e colore; Corona: questa corona sembra un’incoronazione poetica all’arte del poeta, cioè alla sua capacità di osservare, e trasformare le immagini in suoni. E’ come se la poesia fosse una
trasposizione tra due codici diversi: visivo > acustico. |
E non promette ogni lor
breve grido un ben che forse il
cuore ignora e forse indovina se udendo ne
trasale? S’attardan quasi
immemori del nido, e sul margine dove son
trascorse par si prolunghi il
fremito dell’ale. Tutta la terra pare
argilla offerta
all’opera d’amore, un nunzio il grido, e
il vespero che muore un’alba certa.
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– il poeta ascolta il verso delle
rondini, e il loro grido gli sembra la promessa di una felicità ignota, che il cuore può indovinare perché, ascoltandolo, trasale; – le rondini stesse, inebriate
dall’euforia del loro volo, si sono dimenticate del nido che le attende; – e una volta tornate a questo nido, le
erbe e il fiume che sono stati sfiorati, ancora sembrano vibrare del fremito che hanno ricevuto dal loro volo; – la terra sembra argilla pronta ad
essere plasmata dall’amore del poeta, che può trasformarla in semplice prodotto della sua arte; – il grido delle rondini annuncia ora
il giorno, e grazie al grido delle rondini il tramonto si trasforma in un’alba. |