La svolta nicciana di D’Annunzio e la Sera Fiesolana
28 Dicembre 2019Il piacere di D’Annunzio
28 Dicembre 2019“Lungo l’Affrico nella sera di giugno dopo la pioggia” di Gabriele D’Annunzio è un componimento lirico che appartiene alla raccolta Alcyone (1903), una delle opere più significative del poeta.
Qui, D’Annunzio esplora il tema della fusione tra uomo e natura, utilizzando un linguaggio raffinato e ricco di immagini evocative per descrivere una scena naturale che diventa lo specchio di sentimenti profondi.
Testo della poesia “Lungo l’Affrico nella sera di giugno dopo la pioggia” di D’Annunzio
Grazia del ciel, come soavemente
ti miri ne la terra abbeverata,
anima fatta bella dal suo pianto!
O in mille e mille specchi sorridente
grazia, che da la nuvola sei nata
come la voluttà nasce dal pianto,
musica nel mio canto
ora t’effondi, che non è fugace,
per me trasfigurata in alta pace
a chi l’ascolti.
Nascente Luna, in cielo esigua come
il sopracciglio de la giovinetta
e la midolla de la nova canna,
sì che il più lieve ramo ti nasconde
e l’occhio mio, se ti smarrisce, a pena
ti ritrova, pe’l sogno che l’appanna,
Luna, il rio che s’avvalla
senza parola erboso anche ti vide;
e per ogni fil d’erba ti sorride,
solo a te sola.
O nere e bianche rondini, tra notte
e alba, tra vespro e notte, o bianche e nere
ospiti lungo l’Affrico notturno!
Volan elle sì basso che la molle
erba sfioran coi petti, e dal piacere
il loro volo sembra fatto azzurro.
Sopra non ha susurro
l’arbore grande, se ben trema sempre.
Non tesse il volo intorno a le mie tempie
fresche ghirlande?
E non promette ogni lor breve grido
un ben che forse il cuore ignora e forse
indovina se udendo ne trasale?
S’attardan quasi immemori del nido,
e sul margine dove son trascorse
par si prolunghi il fremito dell’ale.
Tutta la terra pare
argilla offerta all’opera d’amore,
un nunzio il grido, e il vespero che muore
un’alba certa.
Analisi del testo
1. Il paesaggio come riflesso dell’anima
La poesia inizia con una descrizione della natura dopo la pioggia, in cui la grazia del cielo si riflette sulla “terra abbeverata”. Questo riflette uno dei temi centrali della poesia dannunziana: la fusione tra l’anima del poeta e il paesaggio naturale.
Il paesaggio descritto da D’Annunzio non è solo un elemento esterno, ma un riflesso dell’anima del poeta, che, purificata dal dolore (il “pianto”), si ritrova in pace. La “terra abbeverata” diventa un’immagine che richiama l’idea di rigenerazione, mentre la “grazia” nata dalla “nuvola” è paragonata alla voluttà che emerge dal pianto, in un ciclo di sofferenza e bellezza che trova pace nella natura e nell’arte (la “musica nel mio canto”). Questo passaggio esprime l’idea della trasfigurazione: dal dolore nasce la bellezza, dall’instabilità dell’emozione si genera una profonda serenità.
2. La Luna nascente
Il secondo blocco della poesia è dedicato alla Luna, che appare esile come il “sopracciglio di una giovinetta” o come la “midolla della nova canna”, due immagini delicate e sottili. La luna, quasi invisibile e nascosta dai rami, è un simbolo di purezza e fragilità. D’Annunzio enfatizza la difficoltà nel percepirla, con l’occhio che fatica a ritrovarla “pe’l sogno che l’appanna”, suggerendo un legame tra il sogno, la natura e la contemplazione poetica.
Questa luna appena visibile richiama anche l’introspezione e il pensiero profondo: il paesaggio naturale si fonde con l’esperienza interiore del poeta, in cui il sogno offusca la chiarezza della percezione. La luna diventa una presenza silenziosa, ma essenziale, nel paesaggio: persino il fiume che scorre senza parola e “erboso” la vede e le sorride, rivelando il legame intimo tra il cielo e la terra.
3. Le rondini: simboli di leggerezza e speranza
Il terzo blocco introduce un altro elemento naturale, le rondini, che volano “tra notte e alba, tra vespro e notte”, sospese tra il giorno e la notte, in una sorta di limbo temporale. Le rondini, che volano basse sull’erba, sfiorandola coi petti, esprimono la leggerezza e il piacere del volo, che diventa un simbolo di libertà e armonia.
D’Annunzio utilizza immagini delicate e leggere per descrivere le rondini: il loro volo “azzurro” e senza “susurro” richiama una calma serena, simile a una danza silenziosa. Il poeta percepisce questo movimento come un segno di freschezza e giovinezza: le rondini sembrano tessere ghirlande intorno alle sue tempie, creando una connessione simbolica tra la vitalità della natura e il poeta.
4. L’ignoto e l’amore
D’Annunzio lascia spazio alla riflessione sulla speranza e sul mistero che le rondini portano con loro. Ogni “breve grido” delle rondini sembra promettere un “ben” ignoto, che il cuore del poeta può non comprendere appieno, ma che suscita una risposta emotiva (“se udendo ne trasale”). Le rondini appaiono quasi dimentiche del loro nido, come se fossero incantate dalla libertà del volo e dall’amore che pervade la natura.
L’ultima strofa accentua il legame tra natura e amore: la terra sembra offerta come argilla nelle mani di un amore creativo che modella il mondo. Il grido delle rondini diventa un annuncio di questa potenza amorosa che trasforma la realtà, e il “vespero che muore” (la sera che cala) viene visto come un preludio a una nuova alba. Questo suggerisce un ciclo di morte e rinascita, tipico della poetica dannunziana, in cui la fine del giorno non è che l’inizio di un nuovo ciclo vitale.
Temi principali
- Fusione tra uomo e natura: Nella poesia di D’Annunzio, la natura non è semplicemente uno scenario esterno, ma diventa un riflesso dello stato d’animo del poeta. Le immagini naturali si fondono con i sentimenti interiori, creando una profonda connessione tra il paesaggio e la dimensione spirituale e sensoriale.
- Il simbolismo della Luna e delle rondini: La luna e le rondini sono due simboli centrali nella poesia. La luna rappresenta la purezza, la fragilità e il sogno, mentre le rondini simboleggiano la leggerezza, la libertà e la speranza. Entrambe le immagini esprimono una condizione di sospensione tra il mondo terreno e quello celeste, tra il noto e l’ignoto.
- Il tempo ciclico: Il ciclo giorno-notte (e il passaggio dal vespero all’alba) è una metafora del ciclo vitale: la morte della giornata non è definitiva, ma prelude a una rinascita. Questo tema del tempo ciclico, ricorrente nella poetica dannunziana, esprime l’idea della continua rigenerazione e del legame indissolubile tra vita e morte.
- Il pianto e la grazia: Un altro tema è il rapporto tra il dolore (il “pianto”) e la bellezza. Il poeta suggerisce che dalla sofferenza può nascere la bellezza, in un processo di trasfigurazione che eleva l’anima a una dimensione di pace e armonia con la natura.
Stile e linguaggio
D’Annunzio utilizza uno stile ricco di immagini sensoriali e simboliche, che rendono il paesaggio non solo un luogo fisico, ma anche una realtà emotiva. Il lessico è altamente elaborato, con descrizioni dettagliate e metafore complesse che evocano un’atmosfera di sogno e di meditazione. La sua poesia si distingue per una musicalità che deriva dall’uso di ripetizioni, allitterazioni e un ritmo fluido che accompagna il lettore lungo il paesaggio descritto.
Conclusione
“Lungo l’Affrico nella sera di giugno dopo la pioggia” è una poesia che rappresenta perfettamente lo spirito della raccolta Alcyone, in cui D’Annunzio celebra la fusione tra l’uomo e la natura, l’esaltazione dei sensi e la ricerca di una dimensione estetica e spirituale superiore. Le immagini del paesaggio, la luna e le rondini sono simboli che trasmettono un senso di bellezza fragile e temporanea, ma anche di rigenerazione continua, suggerendo che la vita, nonostante il dolore, è sempre proiettata verso un nuovo inizio.