Vinicio Capossela
27 Gennaio 2019A Te nostro Padre
27 Gennaio 2019Il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita Mons.Elio Sgreccia interviene nel dialogo tra il card.Martini e il prof.Marino – Su Chiesadomestica.net l’intervento integrale – Il Magistero della Chiesa sul rispetto dei principi che riguardano la nascita della vita e il suo termine non è mai cambiato: la procreazione artificiale è illecita; l’interruzione volontaria della vita è atto moralmente negativo; castità e fedeltà unica salvaguardia efficace all’Aids.
E raccomanda nella Chiesa la carità dell’unità e della fedeltà al Magistero vero la sete di verità dell’uomo contemporaneo. “Mai come ora vale nella Chiesa la biblica raccomandazione per una stretta sinergia della verità nella carità per l’aiuto all’uomo contemporaneo e la concordia unitaria nell’ambito stesso della Chiesa.”
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Una prima impressione che ho ricevuto nel leggere la lunga e articolata intervista del prof. Ignazio Marino a sua Eminenza il Card. Carlo Maria Martini, è un fatto di stile: essa si è svolta in un clima esente da polemiche, cordiale e fiduciale a modo di conversazione.
In particolare colpisce l’afflato pastorale ed evangelico che il Card. Martini, come di consueto, trasmette nelle sue considerazioni. Anche il prof. Marino, pur trovandosi “in corsa” in questo momento politico, non rivela accenti polemici e fa riferimento al suo opuscolo di contenuto esperienziale “Credere e curare” che egli mi ha inviato amichevolmente circa due mesi fa.
Il tutto mi ha incoraggiato ad offrire anche da parte mia qualche considerazione in tono conversativo e con l’intento di suggerire qualche riflessione complementare che giudico, però, importante in relazione alle delicate questioni etiche trattate.
1. La prima di queste considerazioni riguarda il passo del dialogo che tratta, per dirla con le parole del prof. Marino, “non dell’embrione, ma dell’ovocita allo stadio di due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo DNA. In questa fase -continua Marino- non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbe dare origine ad un bambino, come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo”.
Su queste espressioni sento il bisogno di fare delle osservazioni, anche perché, rispondendo, il Cardinal Martini, giustamente raccomanda sull’inizio di una vita “un grande rispetto e un grande riserbo in tutto ciò che in qualche modo la manipola”.
La mia osservazione è che tale rispetto e tale prudenza va usata soprattutto in questa precisa situazione, perché l’ovocita, definito recentemente “ootide” o “prezigote”, di cui parla Marino, il quale contiene dentro la sua membrana i due pronuclei, in realtà è un ovulo fecondato, in cui il processo di fecondazione è già avviato e orientato; i due pronuclei influenzano sinergicamente il citoplasma dell’ovulo che li ha accolti e attivano dinamicamente un insieme coordinato e finalizzato di processi che sfociano di fatto, come riconosce Marino, o in un individuo o in due individui gemelli. Se ho ben capito quanto hanno detto biologi, embriologi e genetisti di riconosciuta fama, nell’ultimo congresso svoltosi ad iniziativa della Pontificia Accademia per la Vita, sul valore e l’identità dell’embrione preimpiantatorio, questo inizio che avviene dentro l’ovulo fecondato (zigote) è precisamente un inizio di vita individuale e dà luogo ad un processo irreversibile verso il successivo sviluppo, contenendo già il patrimonio individualizzante. Non si può guardare al processo di fecondazione senza tener conto del dinamismo teleologico interno che si attiva dal momento in cui lo spermatozoo penetra nella membrana dell’ovulo.
Penso che il prof. Marino, volendo richiamare l’ipotesi dell’ “ootide”, come se fosse un “non embrione”, avrebbe dovuto quanto meno dire che questa teoria non è condivisa da molti embriologi. In questo caso, anche prudenzialmente, si dovrebbe comunque astenersi dalla utilizzazione o manipolazione di tale embrione.
Questa mia osservazione, fatta con tutta umiltà e franchezza, è anche un appello a non forzare le parole col rischio di indurre un errore, io penso, anche di tipo biologico, ma soprattutto di natura antropologica e morale.
2. Un’altra osservazione, che mi sento di presentare, è che tutto il successivo ragionamento svolto sulla fecondazione artificiale, omologa in particolare, ed anche eterologa, manca della presa in considerazione di un punto importante ed essenziale, e cioè della componente della coniugalità e della genetorialità.
A rendere illecita la procreazione artificiale, secondo i fondati motivi espressi nei Documenti del Magistero, (vedi la Istruzione “Donum Vitae”, 1987), non è soltanto il fatto della perdita degli ovuli fecondati, propriamente definibili come embrioni, ma anche e, mi sembra di poter dire, anzitutto dal fatto che nella procreazione-fecondazione artificiale manca la dimensione unitiva degli sposi, espressa attraverso il dono di sé nell’atto coniugale. Lo sposo, ha più volte ripetuto Giovanni Paolo II, diventa padre attraverso l’unione con la sposa e, la sposa diventa madre attraverso l’unione con lo sposo. Questa dimensione antropologica è stata ritenuta essenziale per la liceità dell’atto procreativo a partire dall’insegnamento di Pio XII sulla inseminazione (in cui non era in questione la perdita di embrioni), e successivamente con Paolo VI e con Giovanni Paolo II, che ha confermato sempre il punto chiave della Istruzione “Donum Vitae”, detta solitamente “Istruzione -Ratzinger”.
Cito soltanto un passo della Enciclica “Evangelium Vitae”, ove viene ripresa la Istruzione del 1987 (Donum Vitae): “Anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. Al di là del fatto che esse sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente umano dell’atto coniugale, citazione della “Donum Vitae”) queste tecniche registrano alte percentuali di insuccesso”… Mi ha sorpreso che questo elemento di antropologia e di morale coniugale non sia menzionato affatto nella intervista.
Se si tiene presente questo fatto, credo che si possa comprendere “l’atteggiamento di molti credenti”, e direi anche dei teologi cattolici in grande maggioranza, che rifiutano “ogni forma di fecondazione artificiale”, si intende, quando questa, prevede la dissociazione della dimensione unitiva dalla procreazione e si realizzi senza questa dimensione personale.
D’altra parte questa integrale visione della coniugalità spiega ancor più evidentemente il carattere contraddittorio della fecondazione eterologa, a motivo della assenza completa dell’unità coniugale, che non consente di paragonarla all’adozione o all’affido.
Tutto ciò non ci esime dal comprendere la sofferenza delle coppie sterili e di sentire il dovere di essere loro vicini, sia nel promuovere la prevenzione, sia nel suggerire forme di fecondità spirituale che porta l’amore a livelli più alti.
3. Considero che molte altre questioni risultino più chiare se si tengono presenti questi due capisaldi delle problematiche trattate nella intervista, se cioè si tiene presente l’identità e lo statuto umano e individuale dell’embrione fin dall’inizio del processo di fecondazione, e il carattere unitivo dell’atto procreativo nella sua umana pienezza. Si chiariscono così le posizioni circa il rifiuto del congelamento degli embrioni, dell’utilizzazione soppressiva degli stessi, del loro forzato passaggio dalla provetta all’utero, o da un utero all’altro: tutte questioni su cui non mi è consentito di soffermarmi.
Ma mi preme dire ancora che condivido la istanza di comprensione evangelica e di misericordia che ispirano le parole del Card. Martini verso la donna, sovente vittima di situazioni difficili, o di chi abbia anche commesso atti eutanasiaci verso un parente. La valutazione ultima del soggetto e di tutti noi soltanto dal Signore misericordioso e giusto può adeguatamente essere fatta; anche la depenalizzazione di certi fatti soppressivi in particolari circostanze potrà essere considerata e raccomandata dalla legge umana; ma l’atto in sé della interruzione volontaria della vita (aborto ed eutanasia) è e rimane moralmente negativo e chi veramente vuole il bene del prossimo e prima ancora si riferisce all’Autore della Vita fa di tutto per risparmiare e prevenire tali eventi.
4. Sul problema del preservativo connesso con l’AIDS, non mi basta lo spazio per trattarlo adeguatamente: bisognerebbe considerare le linee generali di prevenzione del contagio nelle popolazioni, il caso dei coniugi di cui uno è sieropositivo, il caso dei fidanzati che devono decidere di sposarsi e scoprono la sieropositività di uno o di entrambi. Quello che mi sento di segnalare, e che mi pare scarsamente valutato, è costituito da due principi regolatori: il primo è il retto uso della sessualità, ma anche, e non è di minore importanza, il dovere del rispetto della vita propria e altrui; questo secondo principio vale per sposati e non sposati, per credenti e non credenti, battezzati cattolici o no.
E finora, come recentemente ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, soltanto la castità e la fedeltà rappresentano la salvaguardia efficace nell’ambito del contagio sessuale. E’ stato riscontrato in alcuni stati africani (Uganda e Costa d’Avorio) che soltanto campagne basate sull’educazione dei comportamenti, certamente proposta con la dovuta umanità e comprensione, ha prodotto un rallentamento del contagio.
Certamente, mai come ora vale nella Chiesa la biblica raccomandazione per una stretta sinergia della verità nella carità per l’aiuto all’uomo contemporaneo e la concordia unitaria nell’ambito stesso della Chiesa.
+ Mons. Elio Sgreccia
fonte: www.chiesadomestica.net – 26.4.2006)