Taccuini di appunti Carnets de notes su Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar
28 Dicembre 2019Sant’Agostino
28 Dicembre 2019La storia d’amore di Paolo Pasolini con la città di Roma è iniziata nel 1950, quando aveva quasi vent’anni.
Era giunto lì da Casarsa, in Friuli-Venezia Giulia, dopo uno scandalo che aveva coinvolto tre ragazzi nel paesino di Ramuscello. La sua adorata, e adorante, mamma Susanna era, come sempre, con lui. Ha vissuto per un anno o giù di lì con una famiglia di nome Castaldi a Piazza Costaguti mentre Susanna ha lavorato come domestica per un’altra famiglia chiamata Pediconi a poche porte di distanza.
In quei primi mesi paradisiaci stringe amicizia con Alberto Moravia, Giorgio Bassani (che pubblica una sua poesia, un appassionato addio al Friuli, in dialetto friulano, sulla rivista letteraria Botteghe Oscure, diretta da Bassani) e Carlo Emilio Gadda. Poi, nella primavera del 1951, gli viene offerto un posto di insegnante nella scuola Francesco Petrarca di Ciampino, nell’estrema periferia di Roma, che il suo biografo Enzo Siciliano descrive come una “baraccopoli”. Gli fu offerto uno stipendio di 27.000 lire al mese. Per quanto modesto, assicurò a Pasolini e Susanna l’affitto di una casa nel quartiere di Rebibbia. Si lasciarono per un po’ alle spalle la rispettabile Roma e si stabilirono a Ponte Mammolo, rozzo e fatiscente come Ciampino. I loro vicini erano i diseredati.
Questo trasferimento nelle periferie maligne avrebbe cambiato per sempre la vita creativa di Pasolini. La lingua che lo intratteneva ogni giorno aveva poco in comune con l’italiano accettato, e accettabile. C’erano parole dalla Calabria, da Napoli, dalla Sicilia e dalla Sardegna. Li ha scritti non appena li ha sentiti. I suoi allievi nell’edificio in rovina di Ciampino avevano un’età compresa tra gli 11 ei 13 anni, e provenivano tutti da famiglie che stavano per sopravvivere. Uno di loro, un ragazzo di nome Vincenzo Cerami, sarebbe poi diventato poeta, romanziere e sceneggiatore.
Pasolini leggeva Dante ai bambini e li incoraggiava a raccogliere le canzoni e le filastrocche che i genitori avevano trasmesso loro quando erano molto piccoli. Quando finì di insegnare, nel 1953, aveva preso abbastanza confidenza da scrivere in Romanaccio (letteralmente “brutto romano”), il dialetto dei bassifondi, “la lingua privilegiata dei poveri, benedetta da Dio”, come una volta ha sostenuto.
Ponte Mammolo e Ciampino sono a chilometri di distanza e Pasolini ha dovuto viaggiare su tre diversi tram per passare da uno all’altro. Fu durante questi viaggi che il suo nuovo vocabolario aumentò. Vestiva casualmente, come un “beatnik prematuro”, secondo Siciliano, per non dare l’impressione di essere un intruso borghese. Divenne noto ai ragazzi che incontrava come Giacche Palànce, a causa della sua somiglianza facciale con l’attore americano Jack Palance.
Un amico in particolare, Sergio Citti, che Pasolini incontrò per la prima volta nel 1951 quando Citti aveva 18 anni ed era appena uscito da un riformatorio, avrebbe esercitato su di lui un’influenza duratura. Citti, che conosceva da vicino il Romanaccio, era abbastanza intelligente da apprezzarne le sfumature. Fu lessicografo di Pasolini negli anni che videro la pubblicazione di Ragazzi di Vita e Una Vita Violenta e la realizzazione del suo primo film Accattone (1961).
Ann Goldstein, l’acclamata traduttrice dei notevoli romanzi di Elena Ferrante, ha dato alla sua traduzione di Ragazzi di Vita il titolo poco promettente The Street Kids. Il libro è già apparso in inglese come The Ragazzi e The Hustlers. Nessuno dei due è soddisfacente, ma quello scelto da Goldstein mi sembra ancora meno appropriato. Richiama una certa intimità sentimentale, come dimostrano quei popolarissimi B-movie hollywoodiani degli anni ’30, ’40 e ’50: con protagonisti un gruppo di giovani attori noti come Dead End Kids o Bowery Boys, tra cui Leo Gorcey, il cui ogni enunciato conteneva un malapropismo. È certamente vero che i ragazzi di Pasolini hanno i loro momenti più leggeri, soprattutto quando giocano a calcio o si tuffano nell’Aniene nel Lazio. Possono essere allegri in occasioni, quando hanno lire sufficienti per un piatto di pasta o del vino da quattro soldi, ma è sempre chiaro che si tratta di giovani che sono stati brutalmente brutalizzati.
Il primo romanzo di Pasolini si apre negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale. La Roma è in uno stato rovinoso. La polizia militare è ovunque. I tedeschi sono ancora una presenza. Poi, nel secondo capitolo, è il 1946, ma c’è poco senso di un futuro promettente. Riccetto, Agnolo, il malato cronico Marcello, Alvaro, Caciotta e gli altri devono vivere alla giornata, di espedienti. Una scuola, che ospita diverse famiglie, crolla improvvisamente. (Pasolini stava pensando alla sua vecchia scuola a Ciampino?) Riccetto, il personaggio principale, è quanto di più antieroico si possa ottenere – rubando soldi ai ciechi e alle vecchiette vulnerabili; vendendosi nei giardini di Villa Borghese – eppure raggiunge una certa grandezza eroica, tanto è intento a sopravvivere in una società che offre scarse possibilità di sopravvivenza.
È molto importante notare che il Riccetto compare all’inizio e alla fine di Ragazzi di vita. All’inizio lo vediamo prendere la comunione “in calzoni lunghi grigi e camicia bianca” dal parroco don Pizzuto, prima di essere cresimato dal vescovo, insieme agli altri bravi ragazzini in camice bianco. Invece di restare a celebrare questo giorno monumentale nella vita di un giovane cattolico, fa una cuccetta per incontrare i suoi amici. Alla fine, si allontana da un tragico incidente, solo e apparentemente inespugnabile.
Il libro è stato scritto mentre il neorealismo – sia letterario che cinematografico – era ancora di moda in Italia. Film come Ladri di biciclette di Vittorio de Sica e Roma città aperta di Umberto D e Roberto Rossellini e i grandi romanzi di Cesare Pavese, curiosamente trascurati in Gran Bretagna, rimangono opere importanti di quel periodo. Il romanzo di Pasolini è essenzialmente neorealistico, ma quando fu pubblicato nel 1955 riuscì a scontentare molti critici di stampo marxista o liberale che, si presumeva, sarebbero stati i più propensi a lodarlo. Non c’è nulla nella narrazione, hanno sottolineato, che suggerisca che queste vite sprecate potrebbero essere cambiate in meglio – come sarebbe stato sotto il comunismo, ovviamente.
La chiesa ha assunto una posizione ostile e prevedibile, dichiarando osceno il romanzo. È un talento raro quello che può unire sia la destra che la sinistra in un odio così veemente, ma Pasolini ci è riuscito fino alla sua terribile morte nel 1975 e oltre. Ragazzi di Vita comunque fu censurato per breve tempo, e fu intentata una causa contro la casa editrice Garzanti, respinta dal tribunale, mentre il libro vendette bene, e venne ristampato più volte per oltre un decennio.
Audio Lezioni su Pier Paolo Pasolini del prof. Gaudio