Se la mia vita da l’aspro tormento
si può tanto schermire, et dagli affanni,
ch’i’ veggia per vertù de gli ultimi anni,
donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento,
e i cape’ d’oro fin farsi d’argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e ‘l viso scolorir che ne’ miei danni
a lamentar mi fa pauroso et lento:
pur mi darà tanta baldanza Amore
ch’i’ vi discovrirò de’ mei martiri
qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore;
et se ‘l tempo è contrario ai be’ desiri,
non fia ch’almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.
Sonetto 12: proiezione in un futuro dove il tempo è passato e la donna è vecchia, sonetto di impronta cavalcantiana nella struttura metrica, il tema non è disgiunto da una certa sofferenza del poeta, e la nota dominante di Cavalcanti è un amore di tipo doloroso. Nei primi versi si assiste a neutralizzazione del sentimento indotta dal passare dell’età; Petrarca evoca Dante, la canzone Io sento sì; c’è iperbato e tentativo di dissociazione degli elementi, l’aspro tormento e gli affanni sono in posizione di rilievo in punta di verso, ora forse il poeta può difendersi da questo dolore. Ch’io veggia regge quello che viene dopo fino al v 8, figura di accumulo comune in Petrarca; il verde è colore della giovinezza e i vestiti verdi sono immagine cara a Dante; Petrarca occhieggia le petrose di Dante senza farsi accorgere, esse sono presenti nella prima parte del canzoniere poiché Petrarca era sensibile a Dante specialmente in giovinezza. Non si parla mai del corpo della donna nella sua interezza ma di frammenti (capelli, viso, panni); al v 8 probabilmente Petrarca cita Inf 5. Pauroso e lento è dittologia collocata in posizione finale di verso, l’iperbato indica la difficoltà della reazione dell’amante quasi incapace di esprimersi con voci lamentose. C’è una pausa semiforte dopo l’ore al v 11, ma il punto fermo è alla fine; mi darà è il verbo dell’apodosi al futuro mentre la protasi è al presente; baldanza si oppone a pauroso del v 8, discovrirò è francesismo, gli anni i giorni l’ore è il passaggio da una visione più generale a una più circoscritta, il tormento si individualizza. Il tempo è quello della vecchiaia, il v 12 riprende con leggera variazione un incipit di Cavalcanti, la lettura di Cavalcanti è entrata nella mente di Petrarca, e qui l’evocazione cavalcantiana è a proposito, anche se il dolore non è spasmodico come in Cavalcanti. I tardi sospiri riprendono il lamentar pauroso e lento del v 8. I verbi della certezza sono al futuro (darà, discovrirò, non fia che almen non giunga), il presente è il qui e ora, il segnale della paura del poeta; l’immaginazione del futuro si mescola all’angoscia del presente; futuro tardi sospiri, presente pauroso e lento, sonetto dicotomico che fa pensare ad un soccorso, elementi contrapposti. Petrarca ragiona molto per ossimori, il Canzoniere è un amaro miele, capacità di capire il bene ma incapacità di seguirlo, conflitto perenne tra la consapevolezza del bene e il dramma che incatena l’uomo al suo limite.