Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019Squali di Alissa Peron
INTRODUZIONE
Che cosa sono gli squali?
Gli squali sono pesci che hanno lo scheletro composto di cartilagine e si chiamano quindi Condritti o pesci cartilaginei, ed appartengono al gruppo degli elasmobranchi. Nel mondo esistono circa 500 specie diverse di squali, con forme, disegni, colori e dimensioni molto variati. I più antichi antenati degli squali comparvero nei mari della Terra circa 400 milioni di anni fa ed erano già molto simili agli squali attuali. Infatti il modello iniziale era già talmente adattato alla vita nell’acqua, che non ha quasi più subito evoluzioni. è molto raro che giungano fino a noi dei resti fossili di squali a indicarci con precisione com’era il corpo dei loro progenitori, perché il loro scheletro cartilagineo fossilizza difficilmente. Spesso gli unici fossili reperibili sono denti, che in compenso si trovano in grande abbondanza perché gli squali ne sono sempre stati molto forniti. Il più antico squalo di cui abbiamo un “ritratto” abbastanza preciso è il Cladoselache, del quale sono stati ritrovati, oltre ai denti, resti fossili di vertebre e “calchi” di pelle, reni e muscoli sulle spiagge del lago Erie. Il Cladoselache era lungo circa 2 metri, aveva una bocca molto larga, grandi occhi, due pinne dorsali con una grande spina ciascuna, la coda a mezzaluna. Viveva negli oceani e predava pesci più piccoli o altri animali marini; la coda, simile a quella dei tonni, indica che era molto veloce. Scomparve dai mari della Terra circa 300 milioni di anni fa.
Osservando il movimento degli squali, si resta affascinati dalla grazia e dall’eleganza dei movimenti, che si compiono fluidi, senza sforzo. Il corpo affusolato, molto idrodinamico, è un’efficientissima “macchina” composta da un’estremità anteriore affilata (il muso), un robusto motore (la parte posteriore del tronco e la coda) e una serie di alettoni stabilizzatori (le pinne). La coda è eterocerca in quanto la colonna vertebrale prosegue nel lobo superiore della coda stessa. Di solito è asimmetrica perché il lobo superiore è più sviluppato di quello inferiore. Nelle specie che vivono sul fondo – come i gattucci o lo squalo nutrice – il lobo inferiore è ridottissimo, pressoché assente; nello squalo volpe, che vive in mare aperto e usa la lunga coda per stordire i pesci dei quali si ciba, il lobo superiore è grandissimo, lungo quasi quanto tutto il resto del corpo. Invece nei grandi nuotatori (squalo bianco, squalo elefante, smeriglio, mako) la coda è simmetrica, a mezzaluna, con i lobi pressoché uguali.
Gli squali non hanno un organo di galleggiamento pieno d’aria paragonabile alla vescica natatoria degli altri pesci; hanno comunque un sistema per ridurre il peso specifico: il fegato, che rappresenta circa un quarto del peso corporeo, contiene una grande quantità di sostanze oleose. Un animale acquatico che utilizzi olio anziché aria per favorire il galleggiamento possiede un notevole vantaggio: può risalire e scendere molto velocemente nelle profondità marine senza correre il rischio di esplodere o di implodere dato che l’olio è un liquido, dunque incomprimibile. Le dimensioni del fegato sono proporzionate al tipo di vita delle diverse specie di squali: in quelli che vivono sul fondo il fegato è notevolmente più piccolo rispetto alle specie che vivono a mezz’acqua; negli squali che trascorrono molto tempo in superficie, come lo squalo elefante, il fegato è enorme e occupa il 90% della cavità addominale.
L’alimentazione
La maggior parte degli squali sono carnivori e si cibano di prede proporzionate alle loro dimensioni: pesci e calamari (più o meno grossi), gamberi, tartarughe, uccelli, foche; ci sono anche squali filtratori planctofagi (come lo squalo balena e lo squalo elefante Cetorino ) che mangiano i piccoli organismi del plancton. I denti sono lo strumento più importante per afferrare le prede. Per chi si nutre di prede che possono essere durissime (come il guscio delle tartarughe o le conchiglie dei molluschi), la rottura e la caduta dei denti sono “incidenti” normali; ma ogni dente caduto viene presto sostituito da uno nuovo, perfettamente efficiente e affilato. Infatti gli squali non hanno denti infissi negli alveoli con le radici (come i nostri), ma semplicemente impiantati nelle gengive. Inoltre nelle mascelle degli squali i denti sono disposti su più file, delle quali solo la prima (o le prime) sono “funzionali”, mentre le successive sono “di riserva”, pronte per la sostituzione. Così un singolo individuo può cambiare, nel corso della sua esistenza, circa 30.000 denti.
I denti dello squalo tigre o dello squalo bianco sono adatti ad afferrare grosse prede, tagliare, strappare o stritolare. sono quindi triangolari, dritti o inclinati, con margini seghettati ed affilati, perfetto esempio di struttura tagliente e al contempo robusta. Gli squali che si cibano di piccoli pesci, granchi, vongole e altri animali che hanno la conchiglia o un guscio duro da schiacciare hanno i denti non affilati e sottili, ma piuttosto somiglianti a piastre appiattite, con creste rinforzate, come in uno schiaccianoci. Gli squali che mangiano soprattutto calamari oppure altri animali scivolosi, come piccoli pesci, afferrati e inghiottiti interi, hanno denti sottili e aguzzi, quasi come punteruoli. Gli squali che hanno una dieta più variata hanno i denti di diverse fogge: alcuni triangolari, con i bordi più o meno seghettati e taglienti, altri più aguzzi. I due squali più grandi, lo squalo balena e lo squalo elefante, per trattenere il plancton, fanno passare un grande volume d’acqua sulle branchie, che sono irte di piccolissime spine simili ad uncini (le “branchiospine”) dove i piccoli organismi del mare restano impigliati.
Gli organi di senso
Una serie di organi sensibilissimi, localizzati sulla testa, sul muso e lungo i fianchi degli squali, agiscono in modo coordinato e consentono di orientarsi, di navigare, di localizzare una preda, di percepire la presenza dei propri simili, di altri animali, di ostacoli, di pericoli. Poiché permette agli squali di riconoscere un rumore nell’acqua a chilometri di distanza, l’udito è molto importante per la ricerca del cibo; è sensibile a vibrazioni di bassa frequenza, come quelle emesse in natura da un pesce ferito o dai movimenti disordinati di animali in difficoltà. I padiglioni auricolari non sono visibili; sulla testa, subito sotto la pelle, c’è l’orecchio interno, che ha una struttura molto simile a quello dell’uomo.
La linea laterale è composta da una serie di canalini, disposti lungo i fianchi, contenenti cellule sensoriali che percepiscono ogni minimo movimento dell’acqua intorno al corpo. Udito e linea laterale sono innervati dallo stesso nervo e forniscono informazioni coordinate.
L’organo dell’olfatto è molto sviluppato, e le narici servono solo a captare gli odori, mentre non sono utilizzate per la respirazione. L’acqua che entra nelle narici percorre un cammino obbligato passando su speciali cellule, che analizzano la presenza di sostanze odorose. Per riuscire a capire da quale direzione proviene l’odore, il cervello degli squali confronta le informazioni fornite dalla narice destra con quelle fornite dalla narice sinistra. Per “elaborare i dati” nel modo migliore gli squali nuotano a zig-zag risalendo la corrente odorosa emanata dalla preda.
La vista non è il senso più sviluppato, ma consente di vedere anche se l’acqua è torbida o se c’è poca luce, capacità utilissima nell’ambiente in cui vivono; infatti gli squali possono sfruttare al meglio un’intensità luminosa anche bassissima, poiché il fondo dei loro occhi è rivestito di “specchi” che riflettono la scarsa luce delle profondità marine, amplificandola.
Sul muso degli squali si vedono tanti forellini, distribuiti intorno alla bocca, alle narici, agli occhi e sopra il capo. Questi pori sono le aperture dei canali della linea laterale e delle ampolle del Lorenzini; l’insieme di questi organi dà la sensibilità elettro-magnetica, che consente di riconoscere i campi elettrici, che tutti gli animali marini producono.
Gli squali possiedono nella bocca e nel faringe papille gustative simili alle nostre, quindi hanno un senso del gusto piuttosto sviluppato.
La riproduzione
Negli squali la riproduzione è molto evoluta, assai diversa da quella degli altri pesci e più simile a quella dei mammiferi: infatti la maggior parte delle specie producono poche uova molto grosse, fecondate dal maschio all’interno del corpo materno dove si sviluppano, e dopo un tempo piuttosto lungo la madre partorisce piccoli vivi; in una minoranza, invece, le uova, dopo essere state fecondate, vengono ricoperte di un guscio robusto come cuoio; poi la madre le depone in mare, di solito attaccandole alla roccia o alle piante, in luoghi protetti. Dentro queste grosse uova l’embrione si sviluppa in qualche mese. Gli squali vivipari si dividono in aplacentati, che nutrono gli embrioni con le sostanze contenute nell’uovo o con le altre uova non fecondate prodotte dalla madre, e placentati, nei quali l’embrione si sviluppa nell’utero della madre e viene da essa nutrito attraverso la placenta e il
cordone ombelicale; questi squali partoriscono una media di trenta piccoli dopo una gestazione che dura quasi un anno. Sono in tutti i casi animali poco prolifici, quindi minacciati dall’eccesso di pesca in tutti i mari del mondo.
PESCA E CONSERVAZIONE
Gli squali mantengono l’equilibrio nell’ambiente marino, bloccano le epidemie e migliorano le popolazioni delle loro prede eliminando gli individui più deboli, malati, lenti, facili da catturare, e favorendo la sopravvivenza e la riproduzione dei più forti. Il prelievo di squali quindi non può essere irragionevole e illimitato. La pesca eccessiva della quale sono stati oggetto sinora minaccia seriamente la loro sopravvivenza, tanto che alcune specie sono dichiarate protette e altre lo saranno presto. Sinora solo nei paesi più ricchi ed evoluti esistono piani di tutela o limiti alla pesca degli squali, commerciale o sportiva. Negli ultimi decenni il numero di squali pescati è aumentato enormemente poiché cresce la richiesta, causata anche dalla riduzione delle popolazioni di pesci “più pregiati”.
Un’altra irragionevole causa dell’eccesso di pesca agli squali è la moda cinese della costosissima zuppa di pinne, che fa sì che circa l’80% degli squali sia ucciso e ributtato in mare dopo aver loro tagliato solo le pinne, il che significa che il 98% delle proteine utili viene sprecato. Danni molto gravi sono provocati anche dalle reti pelagiche derivanti (le stesse che intrappolano delfini, tartarughe, capodogli e altri animali), dai palangari per i tonni e i pesci spada, che accidentalmente catturano anche squali.
In un ecosistema in cui il cibo è abbondante e disponibile, lo spazio non manca e la popolazione è relativamente stabile nel numero (cioè, approssimativamente, ogni anno i nati e i morti si bilanciano), è conveniente, anzi è vincente, generare pochi piccoli per volta. Questi piccoli cresceranno lentamente, cominceranno a riprodursi molto tardi e vivranno a lungo: è la cosiddetta strategia riproduttiva K, che accomuna squali, Cetacei, tartarughe e molti predatori terrestri. Però la strategia K funziona solo finché l’ambiente è stabile e non disturbato; se viceversa l’ambiente subisce pesanti “intrusioni” e cambiamenti, le popolazioni “a strategia K” crollano velocemente.
In una popolazione di animali assai prolifici, come molti pesci ossei, il prelievo effettuato dalla pesca intensiva può essere poco incisivo perché per rimpiazzare il prelievo è sufficiente che sopravvivano poche femmine, che producono tantissime uova che poi andranno a “rimpolpare” la popolazione. Negli squali invece, poiché il numero di piccoli prodotti in una popolazione è strettamente dipendente dal numero delle madri, basta un prelievo massiccio di adulti perché la popolazione non riesca più a riprendersi. Dunque non è possibile adottare per gli squali le stesse regole che sono valide per la pesca – sia sportiva che professionale – ai pesci ossei.
La storia della pesca agli squali è infatti un susseguirsi di impennate e crolli repentini. Quando i pescatori scoprono una popolazione integra di squali, in pochi la sfruttano, con un’impennata delle catture subito seguita dal crollo, al quale però non fa mai seguito, neppure dopo decenni, un ritorno alla “normalità”. Questo è noto già da parecchi decenni, è già accaduto in molte parti del mondo. Nel Mare del Nord lo smeriglio (Lamna nasus ) fu quasi completamente sterminato in SOLI SETTE ANNI: lo sfruttamento intensivo di questa popolazione iniziò nel 1961 (circa 1.800 tonnellate di pescato); nel 1964 si ebbe l’impennata (8.000 tonnellate); nel 1968 la triste parabola si era conclusa: le catture erano ormai ridotte a poche centinaia di animali. La pesca fu abbandonata e a tutt’oggi, dopo 40 anni, la popolazione non si è ancora ripresa.
Molti altri esempi mostrano che lo sterminio degli squali si ripete sempre in modo pressoché identico:
nel mare del Nord per lo smeriglio, in California per lo squalo volpe, in Irlanda per lo squalo elefante, in Nicaragua per lo squalo grigio… e in molti altri. Purtroppo sovente accade che non si prendano provvedimenti adeguati finché le popolazioni di squali non sono oramai così malridotte da essere addirittura dichiarate “protette” – dunque inservibili come fonte di cibo. Di solito i provvedimenti tardivi sono di scarsa utilità per la ripresa delle popolazioni. Quindi accade che la miope avidità dei pescatori che arrivano “per primi”, abbinata alla pigrizia dei legislatori, si traduce in pochi anni nella distruzione duratura – o perenne – di una preziosissima risorsa alimentare. E’ dunque importante impegnarsi per la conservazione, per tutelare la salute del mare e la nostra. Inoltre, se la conservazione è fatta in modo intelligente, può essere anche un’utile fonte di reddito. Nelle zone ricche di squali il loro “sfruttamento” per il turismo subacqueo può essere molto redditizio, assai più della pesca, poiché non elimina gli squali, fonte stessa del reddito, ma li conserva per le generazioni future. Esempi famosi sono le Maldive, il Mar Rosso, la Grande Barriera Australiana. Infatti, anche se è purtroppo vero che il turismo subacqueo provoca altresì la diffusione di spettacoli “da circo” come la (pessima) abitudine di dare da mangiare agli squali in mare (alterandone profondamente le abitudini) è pur vero che in tal modo per lo meno si evita la distruzione irreversibile delle popolazioni naturali.
Dagli squali si ricavano molti prodotti e, proprio per questo, la pesca si svolge in tutto il mondo e dovrebbe essere controllata ovunque. La principale risorsa è la carne, molto diffusa e di cui l’Italia è il più grande consumatore in Europa.
La pelle, grazie alla presenza dei durissimi dentelli, può essere impiegata come “carta” abrasiva o sciolta chimicamente per ottenerne buon cuoio. Dal fegato si ricava un olio ricco di vitamina A, di squalene e dei suoi derivati. Questi prodotti sono impiegati nell’industria farmaceutica e cosmetica.
Nel 1992 dall’intestino dello spinarolo (Squalus acanthias) venne isolata una sostanza con proprietà antibatteriche, che fu chiamata squalamina. Si è in seguito studiata e scoperta la struttura chimica di questa sostanza, che appartiene agli amminosteroli, una classe di molecole presenti in natura e farmacologicamente attive. Ciò ha consentito di giungere nel 1997 alla sintesi in laboratorio della squalamina e di altre sostanze simili, che distruggono i batteri rovinandone la membrana. Dunque non è più necessario e non è più vantaggioso nemmeno dal punto di vista economico estrarre la squalamina dagli animali .
Gli studi sugli effetti curativi della cartilagine di squalo – ancora preliminari – rappresentano l’evoluzione delle ricerche iniziate molti decenni fa sulla cartilagine bovina. Queste ricerche si basano sull’osservazione che, mentre i tumori stimolano la neoangiogenesi, ossia la formazione di nuovi vasi sanguigni dai quali attingere nutrimento, gli estratti di cartilagine frenano la formazione di nuovi vasi sanguigni. (Quindi una sostanza che limita l’angiogenesi ostacola la crescita del tumore, privandolo del nutrimento.) Gli effetti farmacologici della cartilagine bovina e di quella di squalo sono del tutto simili: nei vitelli però la quantità di cartilagine è molto piccola, mentre negli squali è molto elevata – fino al 6% del peso totale nello squalo elefante. Esperimenti effettuati applicando estratti di cartilagine di squalo direttamente agli occhi di conigli con tumori alla cornea hanno mostrato che lo sviluppo dei vasi sanguigni viene inibito significativamente e la crescita del tumore rallenta. Tuttavia non vi sono prove che nelle pillole di cartilagine di squalo assunte per bocca sia presente una sufficiente quantità di sostanze attive, né che queste riescano a raggiungere l’area malata. Uno studio condotto su 60 pazienti nell’Illinois – pubblicato nel 1997 su Medical Tribune – mostra che non vi è stato alcun beneficio in pazienti malati di varie forme di cancro e curati con pillole di cartilagine di squalo. Purtroppo una pubblicità ingannevole e disonesta sta convincendo sempre più persone a mangiare costosissime pillole di cartilagine di squalo come cura per tutti i mali del mondo. Così per la cartilagine di squalo si sta diffondendo un mercato immorale, che vanta per questa sostanza proprietà magiche e irreali e carpisce la fiducia degli acquirenti. Oramai anche nel nostro paese è sempre più facile trovare nei negozi di erboristeria pillole di cartilagine di squalo, importate da paesi del terzo mondo dove la povertà induce la popolazione a cacciare gli squali per venderne a bassissimo costo la cartilagine, trasformata poi dagli importatori in una “polvere d’oro” che, una volta compressa in pillole ed elegantemente confezionata, garantisce guadagni smisurati.
Nel frattempo dunque è saggio impedire che gli squali vengano sterminati, magari solo per tagliare loro le pinne per una costosa zuppa cinese, o per la vanità di un pescatore di scattare una foto accanto a uno squalo ucciso, o per tritarne la cartilagine in pillole di dubbia efficacia.
Squali… in Mediterraneo?
Squali bianchi, martello, i pinna nera, persino le mante – o meglio le loro identiche cugine, le mobule: sono tutti qui, nel nostro caro, vecchio Mediterraneo dove nuota addirittura il secondo pesce più lungo del mondo, dieci metri di squalo elefante che può seminare il panico solo nel plancton di superficie, e di cui sappiamo talmente poco che ogni avvistamento, per i biologi, è una festa. Sono quarantacinque le specie di squali che popolano il Mediterraneo, sottocosta come in alto mare: dai giganteschi signori della superficie ai minuscoli sigrì che, cinquecento metri più in basso, accendono la notte degli abissi con i loro organi luminosi. Gli squali insomma qui da noi sono di casa. O meglio, lo erano fino a non molto tempo fa.”Per chi scende in acqua con o senza respiratore, al largo o sottocosta, il trovarsi al cospetto di uno squalo non riveste più ormai un carattere di eccezionalità, né ha la risonanza di un caso eclatante; è incidentale, è vero, ma rientra infine nel novero dei fatti che un giorno o l’altro dovevano accadere.” Correva l’anno 1962 e così scriveva Ruggero Jannuzzi su Mondo Sommerso: “In Italia sono diverse le località dove lo squalo, specialmente nella stagione calda, diventa un regolare e facile incontro. Il Carcharinus plumbeus è quello squalo che chiunque sia stato nel periodo adatto a Lampedusa e Lampione ha visto e probabilmente avvicinato. In quest’epoca dell’anno gli squali grigi, a frotte, calano nelle località suddette tra i fondi rocciosi; da pochissimi metri dalla superficie e fino ai limiti della visibilità, il loro andirivieni è continuo e senza soste”.
Ad oggi, però, avvistare uno squalo in immersione è un caso più unico che raro. “Ancora oggi le conoscenze scientifiche sugli squali in Mediterraneo sono incredibilmente carenti e tale ignoranza si tramuta ovviamente nell’incapacità di intervenire in modo adeguato con provvedimenti di tutela in caso di necessità. Per esempio, sappiamo quante e quali specie sono state catalogate come appartenenti alla fauna mediterranea, ma ignoriamo quante in effetti ancora vi sopravvivano al momento attuale. Alcune di esse, infatti, potrebbero con ogni probabilità essere da anni scomparse dal Mediterraneo senza che nessuno abbia potuto accorgersene” scrivono Giuseppe Notarbartolo di Sciara e Irene Bianchi nella loro “Guida degli squali e razze del Mediterraneo”.
Chi è lo squalo plumbeo (o squalo grigio)
E’ forse lo squalo più ‘squalo’ che si possa immaginare, grazie alla ‘gobbetta’ dietro il capo che gli conferisce quell’aria un po’ tozza che pare quasi una caricatura disneyana. Lo squalo plumbeo Carcharhinus plumbeus è una sorta di squalo grigio che vive in tutte le acque temperate e tropicali del mondo e anche nel Mediterraneo. Raggiunge e supera i due metri di lunghezza, le femmine leggermente più grandi dei maschi. Cresce molto lentamente, comincia a riprodursi a circa dieci anni e può vivere almeno fino a trenta. Gran parte delle conoscenze che abbiamo su questo squalo si basano su animali pescati, non sull’osservazione in natura del loro comportamento. E’ questo a rendere la nostra ricerca così interessante per l’ambiente scientifico, oltre all’unicità di questo sito in Mediterraneo. Sappiamo che lo squalo plumbeo è uno squalo migratore e che nella stagione degli amori si trasferisce in acque calde. L’accoppiamento lascia tracce ben visibili sul corpo delle femmine: il maschio afferra la compagna sul dorso o sulle pinne, lasciandole ben evidenti i segni dei suoi denti, finché essa non nuota con il ventre verso la superficie:
è allora che la feconderà utilizzando entrambi i suoi organi genitali. Anche grazie a questi segni riusciamo a individuare i diversi animali. Dopo aver raggiunto baie poco profonde le femmine danno alla luce 5-6 piccoli, di circa 60 cm.
Gli squali grigi si cibano soprattutto di piccoli pesci, razze, altri piccoli squali ma anche seppie, polpi e calamari, granchi e gamberi, che cattura di giorno ma di preferenza di notte.
Una volta raggiunta una certa dimensione gli squali plumbei non hanno predatori naturali se non forse lo squalo bianco. E l’uomo, naturalmente. Questi squali costituiscono infatti in tutto il mondo una quota importante nelle catture della pesca sportiva e professionale. Lungo la costa atlantica americana rappresentano il 60% delle catture dei palangari; nella pesca sportiva lo squalo plumbeo è secondo solo alla verdesca come preda. Con un tasso di cattura così elevato, e visto che questo animale si riproduce solo dopo molti anni dalla nascita, le popolazioni di squalo plumbeo nell’Atlantico occidentale si sono ridotte dell’85%-90% in appena dieci anni. Nel nord Atlantico le femmine adulte sono ormai abbastanza rare e secondo le definizioni di specie in pericolo della IUCN (l’Unione per la Conservazione della Natura) in quella zona la specie sarebbe ormai classificata come Criticamente in Pericolo”. Molti ricercatori ritengono che anche se si interrompesse immediatamente la pesca, questo squalo impiegherebbe molte decine di anni per ritornare ai livelli di abbondanza di una volta.
Progetto medSharks
Ogni anno, a maggio, decine di squali grigi (Carcharhinus plumbeus) si radunano in una baia turca. Da cinque anni MedSharks conduce in questa baia un paziente censimento degli squali. Essa infatti ci offre l’opportunità unica di osservarli senza disturbarli, imparare a riconoscerli uno per uno, conoscerne il comportamento e acquisire informazioni che consentiranno di proteggere in modo più efficace questa specie. Una pinna dalla forma curiosa, una macchia sul corpo, la mandibola deformata sono queste differenze più o meno evidenti, a volte appena percettibili, la carta d’identità di “Bottondoro”, “Scarface” e “Boccastorta” e delle decine d’animali entrati nel database delle ricercatrici.
Nel 2004 “Bottondoro”, Pinna-a-gancetto” e Panciona” sono tornate per il terzo anno consecutivo.
La presenza di femmine gravide, di esemplari sessualmente maturi di entrambi i sessi e di inequivocabili segni dell’accoppiamento sul corpo di alcune femmine, suggeriscono che questa baia sia una nursery”, una zona di riproduzione per gli squali grigi, l’unica attualmente conosciuta in tutto il Mediterraneo. L’avvistamento di alcuni neonati ha confermato che la baia è una zona importantissima per la biologia di questa specie in Mediterraneo.
Identificare le caratteristiche che attirano gli squali in questa baia ci fornirà elementi per scoprire, forse, altre zone riproduttive ancora sconosciute nel nostro mare. La scoperta e protezione di aree così sensibili è fondamentale per la salvaguardia di una specie vulnerabile. MedSharks lavora di concerto con le autorità locali e i diving per far sì che i neonati, i giovani e le madri subiscano il meno possibile linterferenza umana in un momento così delicato della loro esistenza. Gli squali adulti frequentano la baia solo due mesi l’anno. Dove vanno, dopo giugno? I piccoli dovrebbero rimanere in queste acque per diversi mesi, fino a quando saranno cresciuti a sufficienza per affrontare la vita in mare aperto. Ma è effettivamente così? Per rispondere a queste domande da cinque anni cerchiamo di identificare attraverso foto e video gli individui che frequentano la baia, per verificarne la frequenza di visite; inoltre la marcatura con tag permanenti e tags satellitari di individui maschi e femmine (in questa specie i sessi conducono vite separate) ci daranno informazioni sulle rotte migratorie attraverso il Mediterraneo, che possono essere lunghe anche migliaia di chilometri.
Il tag è costituito da un numero identificativo e l’invito ai pescatori, in 6 lingue, a rispedire il tag segnalando il luogo di cattura. Siamo gli unici a lavorare sugli squali grigi in Mediterraneo, quindi se uno squalo con un tag di questo genere dovesse spuntare nelle reti di un pescatore (e ovviamente ci auguriamo di no) avremmo modo di capire dove vanno i “nostri” una volta usciti dalla baia. O meglio: questo ci indicherebbe semplicemente il punto finale del loro viaggio, non il percorso. Per individuare precisamente i loro spostamenti li marcheremo con i pop-up tags” o “PAT”, dei chip” estremamente sofisticati in grado di registrare la posizione giornaliera degli animali. E una tecnologia all’avanguardia: dopo alcuni mesi i tag si staccheranno automaticamente dal dorso dell’animale, saliranno in superficie e, dal mare aperto e via satellite, ci invieranno una email con tutti i dati. I PAT sono delicatissimi (immaginate: un computerino stagno che resiste a pressioni 100 volte superiori a quella atmosferica, capace di registrare il minimo bagliore di luce e di comunicare con lo spazio!) ovviamente costosissimi – 4000 dollari l’uno! – e purtroppo soggetti a malfunzionamenti: ma sono anche gli unici a poter spiare, e quindi svelare, i movimenti degli animali che vivono sottacqua. Le incognite sono molte: solo da pochissimi anni i PAT sono utilizzati nello studio delle specie marine. Le ricerche sugli squali bianchi in Sud Africa e in California e degli squali limone nelle Bahamas sono state ostacolate ripetutamente da malfunzionamenti o addirittura dalla perdita delle sonde.
Inoltre, raccoglieremo campioni di DNA, così da creare una banca-dati genetica dello squalo plumbeo mediterraneo. L’analisi genetica di questi animali in Mediterraneo non è mai stata fatta. Saranno necessari molti campioni per dare un nome e cognome genetico a questi animali e sarà interessante raccogliere e confrontare campioni del DNA provenienti anche da altre parti del Mediterraneo, per capire se gli squali che frequentano la baia vengono da tutte le parti del nostro mare o solo dalle acque limitrofe (o, magari, dall’Atlantico!).
Il nostro studio contribuirà a stimare l’abbondanza degli squali grigi mediterranei. I nostri dati confluiranno nel
Global Shark Assessment, progetto coordinato dal professor Myers, che si occupa di stimare le variazioni di abbondanza di popolazioni di squali in tutto il mondo. Si tratta insomma di stabilire come sono cambiate le cose, per gli squali, dall’avvento della pesca industriale a oggi. Lo scopo è di fare una fotografia della realtà attuale, confrontarla con quella passata per poter fare previsioni su quello che succederà in futuro e le misure da prendere per salvaguardare l’esistenza di questi animali.
Campagna MedSharks 2005: Turchia
Si è conclusa la spedizione 2005 del progetto MedSharks plumbeus, la prima ricerca sugli squali nel loro ambiente naturale mai intrapresa nel mediterraneo. Pesante il condizionamento del maltempo sulla fase operativa, che ha svuotato la culla degli squali” per due settimane. Una serie di perturbazioni eccezionali per il periodo ha infatti indotto gli squali ad allontanarsi dalla piccola baia turca. Gli animali non si sono fatti avvicinare a sufficienza da consentirne la marcatura con i pop-up tags” satellitari che avrebbero potuto svelarne le rotte migratorie, né per la raccolta di campioni di DNA. Nonostante le difficoltà MedSharks 2005 si chiude con un bilancio ampiamente positivo e con due straordinarie scoperte scientifiche. Nel corso delle esplorazioni di routine compiute alla ricerca degli squali e dei loro piccoli è stata scoperta una nuova baia degli squali”. La seconda baia ospita i pesci chitarra, specie di passaggio fra razze e squali. La scoperta è estremamente importante per la comunità scientifica, poiché i pesci chitarra, specie estremamente schiva, sono ormai scomparsi in moltissime zone del Mediterraneo. L’esatta localizzazione di entrambe le baie è mantenuta segreta per assicurare protezione a queste specie. Grazie alle segnalazioni dei pescatori del luogo abbiamo inoltre identificato due esemplari del rarissimo squalo volpe occhione, finiti accidentalmente nelle reti. Di questa specie sino ad oggi erano stati avvistati solo sei esemplari in tutto il Mediterraneo. La segnalazione verrà presentata alla comunità scientifica internazionale al prossimo congresso EEA – European Elasmobranch Association, che riunisce i maggiori ricercatori di squali e razze del mondo. Le condizioni ottimali della prima settimana di lavoro, prima che giungesse l’imprevista perturbazione, ci hanno consentito di raccogliere un ricco bottino di immagini e video, mediante il quale siamo riuscite ad identificare quasi trenta squali. L’analisi minuziosa dei particolari che caratterizzano ciascun esemplare ha reso possibile il riconoscimento di una decina di vecchie conoscenze”, ovvero di squali già inclusi nel database di MedSharks e fotografati negli anni precedenti. La spedizione MedSharks 2005 ha ospitato Ramon Bonfil, uno degli esperti di squali bianchi più noti al mondo.
Prima fase campagna medSharks 2006: la Maddalena
Ce l’abbiamo fatta! Dopo tre giorni di pedinamenti nelle acque del Parco di La Maddalena, abbiamo finalmente scovato uno squalo elefante, il gigante buono dei nostri mari.
Visto, fotografato, filmato e anche marcato: è la prima volta in Mediterraneo!
Si è quindi conclusa con un clamoroso successo la fase preliminare dell’Operazione Squalo Elefante, lanciata da MedSharks e dal CTS. Questo grande squalo è uno degli animali più minacciati del nostro mare, tanto da essere protetto da una serie di convenzioni internazionali. Ma nonostante le dimensioni (può raggiungere i 10m. di lunghezza) avvistarlo a mare è una vera rarità: compare in maniera del tutto imprevedibile in una zona, vi rimane qualche giorno o settimana – probabilmente fintanto che lì abbonda il plancton di cui si nutre – e poi sparisce. Quest’anno è stata la volta del nord della Sardegna: nelle ultime due settimane ci sono giunte segnalazioni dall’Asinara a Tavolara. Pescatori professionisti e sportivi hanno per caso incrociato la rotta di questi squali, tanto giganteschi quanto placidi, e ci han segnalato la loro presenza. Un’occasione troppo ghiotta per lasciarcela scappare, così MedSharks e CTS hanno unito le forze e, con la collaborazione dell’Ente Parco Nazionale de La Maddalena, lanciato l’Operazione Squalo Elefante.
Due gli obiettivi principali: dar vita alla prima banca dati fotografica degli squali elefante mediterranei e, cosa ancor più importante, avviare un programma di marcatura, un progetto mai tentato prima in Mediterraneo. Obiettivi centrati ieri in Sardegna con l’incontro con un magnifico cetorino (questo il nome scientifico dello squalo elefante, intento a “pascolare” al largo di Caprera. In una mezz’ora siamo riuscite a fotografarlo, filmarlo e marcarlo; a quel punto l’animale si è immerso ed è sparito sotto una grandinata condita di fulmini e lampi.
Si è conclusa quindi la fase preliminare, ma l’Operazione Squalo Elefante è in pieno svolgimento.