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28 Dicembre 2019Ultimo viene il corvo di Italo Calvino parole e pensieri dei personaggi
28 Dicembre 2019Nel cuore delle Cosmicomiche di Italo Calvino, c’è “Tutto in un punto”, un racconto che trasuda ironia sull’origine dell’Universo.
Attraverso il tumultuoso “big bang”, da una massa primordiale indistinta, nascono stelle, galassie e sistemi solari. In questo momento cruciale, dove la nostra mente fatica a penetrare nonostante le spiegazioni scientifiche, Calvino dipinge un vivace quadro abitato da personaggi mitici, intrighi e passioni, come se fossero coinquilini in un affollato condominio, chiacchierando animatamente tra di loro. In mezzo a questo caos primordiale, un gesto apparentemente insignificante, come la decisione di una donna sorridente di preparare tagliatelle, scatena una catena di eventi che cambierà il corso dell’universo. È una narrazione fantastica che rappresenta l’esplosione iniziale e l’espansione dell’universo, trasformando il semplice atto di cucinare in un momento di creazione cosmica.
Il testo di questo racconto, riportato qui sotto, è, come sempre, preceduto dalla formulazione sintetica di una teoria scientifica
Attraverso i calcoli iniziati da Edwin P. Hubble sulla velocità d’allontanamento delle galassie1, si può stabilire il momento in cui tutta la materia dell’universo era concentrata in un punto solo, prima di cominciare a espandersi nello spazio. La “grande esplosione” (big bang) da cui ha avuto origine l’universo sarebbe avvenuta circa 15 o 20 miliardi d’anni fa.
«Si capisce che si stava tutti lì», fece il vecchio Qfwfq2, «e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem3: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe? Ho detto “pigiati come acciughe” tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci4. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti. Insomma, non ci davamo nemmeno fastidio, se non sotto l’aspetto del carattere, perché quando non c’è spazio, aver sempre tra i piedi un antipatico come il signor Pbert Pberd è la cosa più seccante.
Quanti eravamo? Eh, non ho mai potuto rendermene conto nemmeno approssimativamente. Per contarsi, ci si deve staccare almeno un pochino uno dall’altro, invece occupavamo tutti quello stesso punto. Al contrario di quel che può sembrare, non era una situazione che favorisse la socievolezza5; so che per esempio in altre epoche tra vicini ci si frequenta; lì invece, per il fatto che vicini si era tutti, non ci si diceva neppure buongiorno o buonasera.
Ognuno finiva per aver rapporti solo con un ristretto numero di conoscenti. Quelli che ricordo io sono soprattutto la signora Ph(i)Nko, il suo amico De XuaeauX6, una famiglia di immigrati, certi Z’zu, e il signor Pbert Pberd che ho già nominato. C’era anche una donna delle pulizie – “addetta alla manutenzione”, veniva chiamata –, una sola per tutto l’universo, dato l’ambiente così piccolo. A dire il vero, non aveva niente da fare tutto il giorno, nemmeno spolverare – dentro un punto non può entrarci neanche un granello di polvere –, e si sfogava in continui pettegolezzi e piagnistei7.
Già con questi che vi ho detto si sarebbe stati in soprannumero; aggiungi poi la roba che dovevamo tenere lì ammucchiata: tutto il materiale che sarebbe poi servito a formare l’universo, smontato e concentrato in maniera che non riuscivi a riconoscere quel che in seguito sarebbe andato a far parte dell’astronomia (come la nebulosa d’Andromeda8) da quel che era destinato alla geografia (per esempio i Vosgi9) o alla chimica (come certi isotopi del berillio10). In più si urtava sempre nelle masserizie11della famiglia Z’zu, brande, materassi, ceste; questi Z’zu, se non si stava attenti, con la scusa che erano una famiglia numerosa, facevano come se al mondo ci fossero solo loro: pretendevano per- fino di appendere delle corde attraverso il punto per stendere la biancheria.
Anche gli altri però avevano i loro torti verso gli Z’zu, a cominciare da quella definizione di “immigrati”, basata sulla pretesa che, mentre gli altri erano lì da prima, loro fossero venuti dopo. Che questo fosse un pregiudizio senza fondamento, mi par chiaro, dato che non esisteva né un prima né un dopo né un altrove da cui immigrare12, ma c’era chi sosteneva che il concetto di “im- migrato” poteva esser inteso allo stato puro, cioè indipendentemente dallo spazio e dal tempo13.
Era una mentalità, diciamolo, ristretta, quella che avevamo allora, meschina14. Colpa dell’ambiente in cui ci eravamo formati. Una mentalità che è rimasta in fondo a tutti noi, badate: continua a saltar fuori ancor oggi, se per caso due di noi s’incontrano – alla fermata d’un autobus, in un cinema, in un congresso internazionale di dentisti –, e si mettono a ricordare di allora. Ci salutiamo – alle volte è qualcuno che riconosce me, alle volte sono io a riconoscere qualcuno –, e subito prendiamo a domandarci dell’uno e dell’altro (anche se ognuno ricorda solo qualcuno di quelli ricordati dagli altri), e così si riattacca con le beghe15 di un tempo, le malignità, le denigrazioni. Finché non si nomina la signora Ph(i)Nko – tutti i discorsi vanno sempre a finir lì –, e allora di colpo le meschinità vengono lasciate da parte, e ci si sente sollevati come in una commozione beata e generosa. La signora Ph(i)Nko, la sola che nessuno di noi ha dimenticato e che tutti rimpiangiamo. Dove è finita? Da tempo ho smesso di cercarla: la signora Ph(i)Nko, il suo seno, i suoi fianchi, la sua vestaglia arancione, non la incontreremo più, né in questo sistema di galassie né in un altro. Sia ben chiaro, a me la teoria che l’universo, dopo aver raggiunto un estremo di rarefazione16, tornerà a condensarsi, e che quindi ci toccherà di ritrovarci in quel punto per poi ricominciare, non mi ha mai persuaso. Eppure tanti di noi non fan conto che su quello, continuano a far progetti per quando si sarà di nuovo tutti lì. Il mese scorso, entro al caffè qui all’angolo e chi vedo? Il signor Pbert Pberd.
“Che fa di bello? Come mai da queste parti?” Apprendo che ha una rappresentanza di materie plastiche, a Pavia. È rimasto tal quale, col suo dente d’argento, e le bretelle a fiori.
“Quando si tornerà là”, mi dice, sottovoce, “la cosa cui bisogna stare attenti è che stavolta certa gente rimanga fuori… Ci siamo capiti: quegli Z’zu…”.
Avrei voluto rispondergli che questo discorso l’ho sentito già fare a più d’u- no di noi, che aggiungeva: “ci siamo capiti… il signor Pbert Pberd…”
Per non lasciarmi portare su questa china, m’affrettai a dire: “E la signora Ph(i)Nko, crede che la ritroveremo?”
“Ah, sì… Lei sì…” fece lui, imporporandosi17.
Per tutti noi la speranza di ritornare nel punto è soprattutto quella di trovarci ancora insieme alla signora Ph(i)Nko. (È così anche per me che non ci credo.) E in quel caffè, come succede sempre, ci mettemmo a rievocare lei, commossi, e anche l’antipatia del signor Pbert Pberd sbiadiva, davanti a quel ricordo.
Il gran segreto della signora Ph(i)Nko è che non ha mai provocato gelosie tra noi. E neppure pettegolezzi. Che andasse a letto col suo amico, il signor De XuaeauX, era noto. Ma in un punto, se c’è un letto, occupa tutto il punto, quindi non si tratta di andare a letto ma di esserci, perché chiunque è nel punto è anche nel letto. Di conseguenza, era inevitabile che lei fosse a letto anche con ognuno di noi. Fosse stata un’altra persona, chissà quante cose le si sarebbero dette dietro. La donna delle pulizie era sempre lei a dare la stura18 alle maledicenze, e gli altri non si facevano pregare a imitarla. Degli Z’zu, tanto per cambiare, le cose orribili che ci toccava sentire: padre figlie fratel- li sorelle madre zie, non ci si fermava davanti a nessuna losca insinuazione. Con lei invece era diverso: la felicità che mi veniva da lei era insieme quella di celarmi io puntiforme in lei, e quella di proteggere lei puntiforme in me, era contemplazione viziosa (data la promiscuità del convergere puntiforme di tutti in lei) e insieme casta (data l’impenetrabilità puntiforme di lei)19. Insomma, cosa potevo chiedere di più?
E tutto questo, così come era vero per me, valeva pure per ciascuno degli altri. E per lei: conteneva ed era contenuta con pari gioia, e ci accoglieva e amava e abitava tutti ugualmente.
Si stava così bene tutti insieme, così bene, che qualcosa di straordinario doveva pur accadere. Bastò che a un certo momento lei dicesse: “Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle!” E in quel momento tutti pensammo allo spazio che avrebbero occupato le tonde braccia di lei muovendosi avanti e indietro con il mattarello sulla sfoglia di pasta, il petto di lei calando sul gran mucchio di farina e uova che ingombrava il largo tagliere mentre le sue braccia impastavano impastavano, bianche e unte d’olio fin sopra al gomito; pensammo allo spazio che avrebbero occupato la farina, e il grano per fare la farina, e i campi per coltivare il grano, e le montagne da cui scendeva l’acqua per irrigare i campi, e i pascoli per le mandrie di vitelli che avrebbero dato la carne per il sugo; allo spazio che ci sarebbe voluto perché il Sole arrivasse con i suoi raggi a maturare il grano; allo spazio perché dalle nubi di gas stellari il Sole si condensasse e bruciasse; alle quantità di stelle e galassie e ammassi galattici in fuga nello spazio che ci sarebbero volute per tener sospesa ogni galassia ogni nebula ogni sole ogni pianeta, e nello stesso tempo del pensarlo questo spazio inarrestabilmente si formava, nello stesso tempo in cui la signora Ph(i)Nko pronunciava quelle parole: “… le tagliatelle, ve’, ragazzi!” il punto che conteneva lei e noi tutti s’espandeva in una raggera di distanze d’anni-luce e secoli-luce e miliardi di millenni-luce, e noi sbattuti ai quattro angoli dell’universo (il signor Pbert Pberd fino a Pavia), e lei dissolta in non so quale specie d’energia luce calore, lei signora Ph(i)Nko, quella che in mezzo al chiuso nostro mondo meschino era stata capace d’uno slancio generoso, il primo, “Ragazzi, che tagliatelle vi farei mangiare!”, un vero slancio d’amore generale, dando inizio nello stesso momento al concetto di spazio, e allo spazio propriamente detto, e al tempo, e alla gravitazione universale, e all’universo gravitante, rendendo possibili miliardi di miliardi di soli, e di pianeti, e di campi di grano, e di signore Ph(i)Nko, sparse per i continenti dei pianeti che impastano con le braccia unte e generose infarinate, e lei da quel momento perduta, e noi a rimpiangerla».
NOTE:
- i calcoli… galassie: Calvino inizia riferendosi alla teoria del cosmologo americano Edwin Powell Hubble (1889-1953), che studiò le galassie e l’espansione dell’universo, scoprendo l’allontanamento delle galassie dal punto di origine in cui avven- ne il “big bang”.
- il vecchio Qfwfq: è il Dovrebbe avere più di 15 o 20 miliardi di anni, visto che sta parlando del periodo prece- dente la nascita dell’universo. Il suo nome è un termine palindromo, ossia una paro- la che può essere letta da sinistra verso destra e viceversa. Questa caratteristica è comune ai nomi di molti personaggi delle Cosmicomiche.
- idem: uguale, lo stesso (è una parola latina).
- non c’era… pigiarci: lo spazio e il tempo, come noi li concepiamo, sono nati assieme all’universo. Quindi, all’inizio, non
- socievolezza: atteggiamento proprio di chi ama e ricerca la compagnia di altre
- XuaeauX: un altro palindromo (❱ 2).
- piagnistei:
- nebulosa d’Andromeda: la galassia più vicina alla nostra, visibile anche a occhio nudo, tanto che fu avvistata per la prima volta nel X secolo da un astronomo
- Vosgi: monti della Francia
- isotopi del berillio: gli isotopi di un elemento sono atomi con il medesimo numero di protoni (quindi con lo stesso numero atomico), ma con massa diversa, perché varia il numero di neutroni. Il berillio è un minerale di colore bianco-argento.
- masserizie: l’insieme degli oggetti e dei mobili necessari per arredare una
- dato che… immigrare: Calvino ribadisce che in quell’età favolosa e primordiale non esistevano né lo spazio, né il tempo, ma contemporaneamente critica, con sottile ironia, tutti coloro che nutro- no pregiudizi, cioè che accusano le persone senza sapere se ciò che dicono sia fondato o
- il concetto… dal tempo: coloro che nutrono pregiudizi non si curano dei In questo caso, l’idea di immigrato, per indicare qualcuno che sentiamo estraneo e i cui comportamenti non corrispondono ai nostri, esiste anche se non esiste un «altrove», un luogo da cui provenire.
- meschina: ingiusta e incapace di accettare le differenze
- beghe: liti,
- un estremo di rarefazione: il punto di massima espansione, in cui la materia sarà quasi del tutto priva di densità.
- imporporandosi: diventando
- la stura: l’avvio.
Audio Lezioni su Italo Calvino del prof. Gaudio