L’altro grande problema da prendere in considerazione per l’epoca di cui qui ci occupiamo è quello del confronto tra l’impero e il mondo ad esso esterno. In altre parole, quello del confronto che si faceva progressivamente più pressante ed angoscioso, tra Romanitas e Barbaritas. A ciò si collega, con pari pregnanza, il problema più generale del venire meno delle capacità del mondo romano, travolto dalla sistematica infiltrazione, prima, e dall’irruzione, poi, di forze estranee ed incivili, di difendersi dall’esterno e quindi di mantenere la propria identità. La Pax Augusta, allontanando il ricordo delle guerre civili, garantendo benessere e stabilità a tutti i paesi del Mediterraneo, aveva attutito per alcuni secoli l’incombere del riproporsi dell’eterno mito dell’inevitabilità della decadenza degli imperi. Ne sopravvissero tracce nel senso d’invecchiamento, per così dire biologico, di Roma e della sua civiltà, che si scioglie in alcuni passi di Petronio in età neroniana (a proposito delle arti), di Quintiliano e di Tacito tra i Flavi e Traiano (a proposito dell’eloquenza e del costume, di Florio sotto Adriano, ma soprattutto di Seneca il vecchio – citato da Lattanzio – che già sotto Caligola scrisse della senectus Imperii avviatasi con l’amissa libertas repubblicana, subito dopo la morte di Bruto. A queste prese di posizione in ambito romano, nel mondo della koinè culturale greco-latina si accompagnava, come accento di fondo, una forma di crescente venerazione per tutto ciò che era antico in arte,letteratura, religione, costume (pur con diverse accentuazioni, a seconda delle aree geografiche e dei contesti cronologici): un atteggiamento, questo, con il quale chi si considerava soddisfatto da ciò che possedeva economicamente, culturalmente, socialmente e si sentiva in qualche modo attanagliato dall’oscura ansia di una possibile dissoluzione, manifestava la sua volontà di preservazione dell’esistente.
https://www.youtube.com/watch?v=YlgCVk_Aiug&t=6s (AUDIO DELL’EPISODIO)