
Il Saul di Vittorio Alfieri
28 Dicembre 2019
Giuseppe Ungaretti nomade e i suoi fiumi
28 Dicembre 2019“Giorno per giorno” di Giuseppe Ungaretti è una poesia che riflette un intenso sentimento di sofferenza per la perdita e del figlio, combinata con la ricerca di un senso di pace e consolazione dopo un lutto.
Il testo esprime il dolore del poeta per la morte del figlio, un tema che percorre molte delle sue poesie legate alla riflessione sulla morte e sulla solitudine.
La poesia che proponi di Giuseppe Ungaretti è dedicata alla tragica morte del figlio Antonietto, scomparso a soli nove anni nel 1939. Questo componimento non solo esprime il dolore più profondo e devastante che un genitore possa provare, ma rappresenta anche una meditazione sulla vita, la morte e il significato dell’esistenza attraverso la lente di un lutto insopportabile. L’intero testo è permeato da un senso di sconforto, impotenza e malinconia, in cui Ungaretti cerca di dare voce alla disperazione e all’infinito amore che nutre per il figlio scomparso.
Introduzione:
Questa poesia riflette uno dei temi centrali nella produzione poetica di Ungaretti: la sofferenza umana di fronte al mistero della morte. Tuttavia, in questo caso, il dolore assume una dimensione particolarmente intima e personale, poiché l’evento luttuoso che ha colpito il poeta non è solo una riflessione astratta sulla mortalità, ma una ferita concreta, che riguarda il figlio amato. Ungaretti cerca di esprimere una perdita incolmabile e di elaborare il dolore che accompagna il lutto, immergendosi nei ricordi e nella memoria del bambino scomparso.
Testo e parafrasi di “Giorno per giorno” di Giuseppe Ungaretti
Testo originale della poesia:
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…” Ora potrò baciare solo in sogno Mi porteranno gli anni Mai, non saprete mai come m’illumina In cielo cerco il tuo felice volto, E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!… Sono tornato ai colli, ai pini amati Passa la rondine e con essa estate, Ma resti dell’amore che mi strazia Sotto la scure il disilluso ramo Non più furori reca a me l’estate, Già m’è nelle ossa scesa Rievocherò senza rimorso sempre Mi abbatterà meno di non più udire Agli abbagli che squillano dai vetri Inesauribile fragore di onde Fa dolce e forse qui vicino passi |
Parafrasi:
Il poeta ricorda le ultime parole di Antonietto a sua madre, pronunciate con sofferenza: Ora, Ungaretti potrà baciare le mani del figlio solo in sogno, Il poeta si interroga su cosa gli porterà il futuro, Ricorda come il figlio Ungaretti cerca il volto felice del figlio in cielo, E mentre confessa il suo amore continuo per il figlio, Il poeta torna ai luoghi che condivideva con Antonietto, Il passare delle stagioni Quando cerca una pausa dal suo inferno interiore, Infine, il poeta si chiede Si rivolge a se stesso e riflette La descrizione finale evoca immagini di natura, In questo sogno, sembra udire la voce del figlio |
Analisi:
La poesia è caratterizzata da un lessico intimo e commovente, che riflette la struggente intensità del dolore provato da Ungaretti. Il contrasto tra le immagini della vita quotidiana (come gli uccelli che entrano nella stanza o la presenza fisica delle mani del bambino) e l’astrazione del dolore interiore conferisce alla poesia una straordinaria potenza emotiva. Gli oggetti del mondo reale (il guanciale, la finestra, le briciole, i passeri) servono a ancorare il lettore nel mondo concreto, ma a poco a poco si dissolvono, lasciando spazio alla dimensione del sogno e del desiderio spirituale.
Ungaretti inserisce elementi naturali come la rondine e le stagioni (estate, autunno, inverno) per esprimere il passare del tempo, il ciclo della vita e della morte. Tuttavia, per il poeta, queste immagini che solitamente rappresentano il rinnovamento e il cambiamento, qui diventano simboli di una continua frattura: non c’è consolazione nel ritorno delle stagioni, perché la presenza del figlio è assente. La percezione del tempo è quindi ambigua: mentre il tempo esterno segue il suo corso, il tempo interiore del poeta sembra essersi fermato al momento della perdita.
Inoltre, la poesia evoca un senso di colpa profonda: Ungaretti si chiede se il dolore provato per la morte del figlio supererà il “fremito pauroso della colpa”. È possibile che il poeta si interroghi su come la sua vita e il suo ruolo di padre possano aver influenzato la morte del figlio, anche se questi sentimenti non vengono esplicitati. Tuttavia, il senso di responsabilità e il peso emotivo della perdita emergono fortemente.
Commento:
La poesia rappresenta una testimonianza della potenza del lutto e della fragilità umana di fronte alla morte. L’elaborazione del lutto in Ungaretti non si limita al ricordo del figlio, ma esplora le conseguenze psicologiche della perdita, l’impatto esistenziale che la morte di una persona amata può avere su chi rimane. La bellezza lirica della poesia sta nella sua capacità di esprimere il dolore senza indulgere nel sentimentalismo, mantenendo una sobrietà e una profondità emotiva che colpiscono il lettore.
Ungaretti sembra anche affrontare il tema dell’assenza di senso: la morte del figlio non ha una spiegazione, non porta con sé una morale o una lezione, ma è semplicemente una tragedia irreversibile che trasforma per sempre la percezione della realtà. Tuttavia, il poeta cerca comunque una forma di pace e di riconciliazione con il proprio dolore, immaginando un futuro in cui potrà ritrovare il figlio, anche se solo in sogno o attraverso l’ombra della sua memoria.
Infine, il verso “E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!” racchiude il paradosso dell’amore di un genitore per un figlio scomparso: un amore che non può spegnersi, ma che è allo stesso tempo una fonte inestinguibile di dolore. Questa tensione tra amore e sofferenza pervade l’intera poesia, conferendo una profondità tragica ma anche spirituale all’opera.
Solo Testo di “Giorno per giorno” di Giuseppe Ungaretti
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo…Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?…Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato…Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!…
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio…Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò…Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete…Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza…
E fu la furia che abbatté la tenera
Forma e la premurosa
Carità d’una voce mi consuma…Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!…Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato…Rievocherò senza rimorso sempre
Un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa…”Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero, saltelli d’un bimbetto…Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e alla freschezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua…Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te aurora e intatto giorno.