Amare ancora di Claudio Chieffo – cover Luigi Gaudio
28 Dicembre 2019“Divina – Libero arbitrio” di Luigi Gaudio
28 Dicembre 2019Spesso il conflitto sociale, la lotta di classe, la guerra ideologica, la contesa politica, si esprimono attraverso la rivalità tra fratelli.
Se la nazione può essere immaginata come una famiglia indisciplinata e disfunzionale, allora il simbolo più appropriato delle sue crisi interne deve essere sicuramente il litigio dei fratelli: Romolo che si scaglia con Remo.
“Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti da una sceneggiatura scritta con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, libera trasposizione, e non approvata dall’autore, del romanzo ““Accio il fasciocomunista” di Antonio Pennacchi“, è un vivace piccolo addendum alla grande tradizione del cinema italiano, sulla tematica degli scontri familiari. Un esemplare più pesante e più lungo può essere trovato ne “La meglio gioventù” (2003), un’epica miniserie scritta anch’essa da Petraglia e Rulli. In quella storia l’amore fraterno e il conflitto hanno fornito l’impalcatura per una lunga e intricata cronaca della trasformazione dell’Italia nel corso di quattro decenni, dagli anni ’60 fino a quasi oggi. Lo scopo di “Mio fratello è figlio unico” è più ristretto e il suo focus è più psicologico che sociologico, ma come “LA meglio gioventù” prende la sua energia dal fermento degli anni ’60 e segue due fratelli spinti a sinistra e il diritto dalla forza centrifuga dei tempi.
Manrico (Riccardo Scamarcio), figlio maggiore di una famiglia operaia di una piccola città fuori Roma, segue il padre nel lavoro di fabbrica e diventa comunista quasi per ripensamento. La militanza è un buon modo per attirare le ragazze, tra cui Francesca (Diane Fleri), una figlia particolarmente affascinante della borghesia, e il romanticismo del radicalismo di sinistra si adatta al fascino byronico e alla fiducia in se stessi di Manrico.
Suo fratello minore, Accio (Elio Germano), è più un intellettuale. (C’è anche una sorella nel mezzo, ma come nella maggior parte dei film di questo genere si ferma ai margini della storia.) Accio è uno studente migliore di Manrico e anche uno scettico naturale. Dopo essere stato espulso da un seminario, si dirige, d’istinto e per caso, verso il fascismo.
Il palcoscenico è pronto o per uno spettacolo di moralità o per un palpitante melodramma familiare, nessuno dei quali, per fortuna, si materializza. Invece, anche quando la narrazione vira verso la violenza o il risentimento, i modi del signor Luchetti sono disinvolti e sgarbati. Sembra puntare all’estetica del momento, aperta e aperta, l’affanno che ha caratterizzato i film italiani giovanili della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, film come “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio e “La Cina è vicina .”
Il problema è che lo sforzo del regista di infondere immediatezza e urgenza nelle storie di quell’epoca movimentata conferisce a “Mio fratello è figlio unico” un’inevitabile aria di nostalgia. Anche l’assenza di prospettiva che dà al film il suo ritmo buffo, siamo così vicini ai personaggi che non riusciamo a vedere oltre, sembra un po’ evasiva. Che periodo pazzesco è stato! Sì, ma lo sapevamo già. Raccontaci qualcosa di nuovo, o almeno convincici che, 40 anni dopo, dovremmo preoccuparci.
Tuttavia, la nostalgia per quei pazzi vecchi tempi ha le sue attrazioni, anche o forse soprattutto se non c’eri la prima volta. E anche se gran parte di “Mio fratello è figlio unico” sembra un po’ familiare, i personaggi sono abbastanza interessanti e vividi da suscitare la tua simpatia. La performance di Mr. Germano è particolarmente agile e coinvolgente; ti persuade che Accio è terribilmente instabile poco prima di mostrargli di essere risoluto e sensibile, e poi fa il trucco al contrario.
E ci sono abbastanza momenti e dettagli piccanti per trasmettere i sapori del tempo e del luogo: Accio perde la verginità con la moglie del suo mentore politico sotto un copriletto ricamato con le sembianze di Mussolini; Il padre di Accio e Manrico brandisce un crocifisso in una riunione politica; e, cosa più memorabile, un’orchestra studentesca di sinistra che suona una versione marxista “corretta” di “Inno alla gioia” e viene interrotta da una banda fascista che difende Beethoven con ogni mezzo necessario. Quella scena, violenta, ardente e assurda, presenta un quadro di ciò che c’è di meglio in “Mio fratello è figlio unico”: Accio e Manrico, alleati e antagonisti allo stesso tempo, legati e separati dall’amore, dalla politica e dall’arte.
Informazioni sul film:
regia di Daniele Luchetti;
scritto da Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Daniele Lucchetti,
tratto dal romanzo “Il Fasciocomunista” di Antonio Pennacchi;
direttore della fotografia, Claudio Collepiccolo; a cura di Mirco Garrone;
musiche di Franco Piersanti;
scenografia, Francesco Frigeri;
prodotto da Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini e Marco Chimenz;
distribuito da Think Film.