Se la nazione può essere immaginata come una famiglia indisciplinata e disfunzionale, allora il simbolo più appropriato delle sue crisi interne deve essere sicuramente il litigio dei fratelli: Romolo che si scaglia con Remo.
“Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti da una sceneggiatura scritta con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, libera trasposizione, e non approvata dall’autore, del romanzo ““Accio il fasciocomunista” di Antonio Pennacchi“, è un vivace piccolo addendum alla grande tradizione del cinema italiano, sulla tematica degli scontri familiari. Un esemplare più pesante e più lungo può essere trovato ne “La meglio gioventù” (2003), un’epica miniserie scritta anch’essa da Petraglia e Rulli. In quella storia l’amore fraterno e il conflitto hanno fornito l’impalcatura per una lunga e intricata cronaca della trasformazione dell’Italia nel corso di quattro decenni, dagli anni ’60 fino a quasi oggi. Lo scopo di “Mio fratello è figlio unico” è più ristretto e il suo focus è più psicologico che sociologico, ma come “LA meglio gioventù” prende la sua energia dal fermento degli anni ’60 e segue due fratelli spinti a sinistra e il diritto dalla forza centrifuga dei tempi.
Manrico (Riccardo Scamarcio), figlio maggiore di una famiglia operaia di una piccola città fuori Roma, segue il padre nel lavoro di fabbrica e diventa comunista quasi per ripensamento. La militanza è un buon modo per attirare le ragazze, tra cui Francesca (Diane Fleri), una figlia particolarmente affascinante della borghesia, e il romanticismo del radicalismo di sinistra si adatta al fascino byronico e alla fiducia in se stessi di Manrico.
Suo fratello minore, Accio (Elio Germano), è più un intellettuale. (C’è anche una sorella nel mezzo, ma come nella maggior parte dei film di questo genere si ferma ai margini della storia.) Accio è uno studente migliore di Manrico e anche uno scettico naturale. Dopo essere stato espulso da un seminario, si dirige, d’istinto e per caso, verso il fascismo.
Il palcoscenico è pronto o per uno spettacolo di moralità o per un palpitante melodramma familiare, nessuno dei quali, per fortuna, si materializza. Invece, anche quando la narrazione vira verso la violenza o il risentimento, i modi del signor Luchetti sono disinvolti e sgarbati. Sembra puntare all’estetica del momento, aperta e aperta, l’affanno che ha caratterizzato i film italiani giovanili della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, film come “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio e “La Cina è vicina .”
Il problema è che lo sforzo del regista di infondere immediatezza e urgenza nelle storie di quell’epoca movimentata conferisce a “Mio fratello è figlio unico” un’inevitabile aria di nostalgia. Anche l’assenza di prospettiva che dà al film il suo ritmo buffo, siamo così vicini ai personaggi che non riusciamo a vedere oltre, sembra un po’ evasiva. Che periodo pazzesco è stato! Sì, ma lo sapevamo già. Raccontaci qualcosa di nuovo, o almeno convincici che, 40 anni dopo, dovremmo preoccuparci.
Tuttavia, la nostalgia per quei pazzi vecchi tempi ha le sue attrazioni, anche o forse soprattutto se non c’eri la prima volta. E anche se gran parte di “Mio fratello è figlio unico” sembra un po’ familiare, i personaggi sono abbastanza interessanti e vividi da suscitare la tua simpatia. La performance di Mr. Germano è particolarmente agile e coinvolgente; ti persuade che Accio è terribilmente instabile poco prima di mostrargli di essere risoluto e sensibile, e poi fa il trucco al contrario.
E ci sono abbastanza momenti e dettagli piccanti per trasmettere i sapori del tempo e del luogo: Accio perde la verginità con la moglie del suo mentore politico sotto un copriletto ricamato con le sembianze di Mussolini; Il padre di Accio e Manrico brandisce un crocifisso in una riunione politica; e, cosa più memorabile, un’orchestra studentesca di sinistra che suona una versione marxista “corretta” di “Inno alla gioia” e viene interrotta da una banda fascista che difende Beethoven con ogni mezzo necessario. Quella scena, violenta, ardente e assurda, presenta un quadro di ciò che c’è di meglio in “Mio fratello è figlio unico”: Accio e Manrico, alleati e antagonisti allo stesso tempo, legati e separati dall’amore, dalla politica e dall’arte.
Informazioni sul film:
regia di Daniele Luchetti;
scritto da Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Daniele Lucchetti,
tratto dal romanzo “Il Fasciocomunista” di Antonio Pennacchi;
direttore della fotografia, Claudio Collepiccolo; a cura di Mirco Garrone;
musiche di Franco Piersanti;
scenografia, Francesco Frigeri;
prodotto da Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini e Marco Chimenz;
distribuito da Think Film.