L’Ambiente nella Costituzione Italiana
23 Gennaio 2023Riassunto della Straniero di Albert Camus per capitoli
24 Gennaio 2023Analisi del romanzo Lo straniero di Albert Camus
Riassunto
Meursault sta per seppellire sua madre: guarda, ascolta, fuma, passivamente. Non partecipa; lui risponde ; e questo è tutto. Il giorno dopo incontra Marie, fa il bagno con lei, dorme con lei, senza volere niente, semplicemente perché lei è lì, e risponde a ciò che lo interroga o si presenta. Lo stesso vale per Raimondo, il suo vicino, che gli chiede la sua amicizia, e che lui aiuta, come si risponde a chi ti parla con insistenza, senza pensare a niente in particolare. E la vita scorre, spingendo le giornate, il lavoro, il sole, il mare, tutte cose che Meursault osserva con coscienza vuota e lucida, tutte cose che si riflettono su di lui ma alle quali non si concede.
Raymond lo invita a fare un picnic con Marie e una coppia amichevole su una spiaggia. Mentre i tre uomini camminano, vengono avvicinati da arabi che hanno un conto in sospeso con Raymond. Combattere. Meursault orologi. Più tardi, tornando da solo alla sorgente che sgorga a un’estremità della spiaggia, Meursault vi incontra uno degli arabi. Quest’uomo non è niente per lui, e non ha odio, a malapena il ricordo di quello che è successo. Ma l’arabo tira fuori un coltello, la lama brilla al sole, e Meursault, che per caso ha ancora addosso la rivoltella di Raymond, spara, spara ancora, accecato dalla luce, dal sudore, dall’aria che brucia…
Personaggi
MEURSAULT
Meursault, il narratore, racconta gli eventi come se fosse fuori di sé, senza commentarli o collocarli in una catena logica. Così, dà l’impressione di essere completamente estraneo al mondo in cui vive. Quindi ci sono due diversi punti di vista nella narrazione:
un punto di vista interno (quello di Meursault, che racconta la sua storia in prima persona)
un punto di vista esterno (Meursault parla di ciò che gli sta accadendo come se fosse qualcun altro)
Se Meursault viene condannato, è innanzitutto per essersi mostrato insensibile al momento della sepoltura della madre. Insensibile, cioè irrispettoso del decoro. Non adottò il comportamento che ci si aspettava da lui in tali circostanze. Fumava, beveva latte, si rifiutava di vedere il corpo di sua madre; è andato al cinema e ha passato la notte con Marie Cardona… Tutto si rivolta contro di lui al momento del processo e il pm chiede la sua testa perché non ha mostrato i segni del dolore e non si è giustificato neanche durante le indagini né durante le udienze. Possiamo quindi affermare che il reato giudicato all’estero non è l’assassinio dell’arabo ma il disprezzo delle convenzioni sociali.
Così Camus analizza il comportamento del suo personaggio dopo il fatto nella prefazione a un’edizione del 1958: «Nella nostra società, un uomo che non piange al funerale della madre rischia di essere condannato a morte (? L’eroe del libro è condannato perché non sta al gioco. ) si rifiuta di mentire. Mentire non è solo dire ciò che non è. È anche, soprattutto, dire più di ciò che è e, per quanto riguarda il cuore umano, dire di più di uno non si sente (?); si rifiuta di mascherare i propri sentimenti e subito la società si sente minacciata.” Meursault, inoltre, non interpretava né il figlio addolorato né l’assassino pentito.
Meursault, il personaggio romantico, vive a Belcourt, un popolare sobborgo di Algeri. Ha abitudini da scapolo (“Mi sono cucinato delle uova e le ho mangiate direttamente dal piatto, senza pane perché non ne avevo più e non volevo scendere a comprarne.”), e le prime pagine dei romanzi lo descrivono come un impiegato turbato nella sua routine dalla morte della madre, che sconvolgerà il suo ritmo quotidiano. Ogni giorno, le stesse occupazioni, l’ufficio, il pranzo da Céleste, il “tram”, i bagni di mare, le passeggiate sul porto, la contemplazione dei passanti… È questa routine che l’omicidio viene a interrompere.
Se Meursalut non esprime sentimenti, prova sensazioni forti. Poco prima dell’omicidio, sente la scottatura solare in modo particolarmente acuto. È questa miscela di sensazioni esacerbate dall’azione del sole che gioca un ruolo decisivo nella sequenza che lo porta a uccidere.
Meursault non è lo stesso all’inizio e alla fine del romanzo. Nelle prime pagine evoca con linguaggio amministrativo la morte della madre (“Dopo la sepoltura, invece, sarà un caso chiuso e tutto avrà assunto un aspetto più ufficiale.”). Alla fine del romanzo, Meursault pensa alla madre in altri termini (“Mi è sembrato di capire perché alla fine di una vita si fosse presa un ‘fidanzato’, perché avesse giocato a ricominciare da capo.”). . Prima della sua esecuzione, non si accontenta più di raccontare i fatti materiali che occupano la sua vita quotidiana. I suoi sentimenti per sua madre si sono evoluti. Lei non gli appare più come una presenza lontana e indifferente. Lo evoca come un essere umano, simile a lui nella loro condizione comune. Tutto accade come se la vicinanza della morte permettesse a Meursault di trovare un nuovo rapporto con gli altri e con il resto del mondo. Le diverse tappe della sua trasformazione corrispondono alla scoperta dell’Assurdo.
Maria
Meursault trova per caso questa dattilografa che lavorava nel suo ufficio allo stabilimento balneare del porto. Con lei parla poco e ha essenzialmente rapporti sensuali. Fa il bagno con lei tre volte e, ogni volta, la presenza fisica della giovane donna è associata alla percezione di un’armonia con gli elementi naturali: il mare e il sole. Marie permette, in un certo senso, la comunione dell’eroe con la natura. Durante i tre bagni, Marie è legata alla presenza del mare, e il suo corpo diventa un elemento dello scenario naturale tra gli altri.
RAYMOND SINTES
Meursault diventa suo amico senza averlo scelto. È il suo vicino che lo invita a casa sua “a mangiare qualcosa”. “Ho pensato che mi avrebbe salvato dalla cucina e ho accettato.” Rimane passivo, come con Mary. Perché Raymond Sintés gli chiede di scrivere una lettera alla sua amante? Le sue motivazioni restano oscure al lettore ea Meursault, che non si pone la domanda. Meursault non giudica Raymond nonostante conosca la sua reputazione di magnaccia.
Raymond gioca un ruolo importante nella condanna di Meursault: a causa della lettera che permette al pubblico ministero di parlare del carattere discutibile di Meursault. Fu anche Raymond a mettere in contatto la vittima e l’assassino ea consegnare la sua rivoltella a Meursault.
SALAMANO
Questo personaggio non ha alcun ruolo nel progresso dell’azione. Alla fine del capitolo 4, Salamano ha appena perso il suo cane e Meursault lo sente piangere. D’altronde era stato Salamano a insegnargli quello che si diceva nel rione quando aveva messo sua madre in manicomio. La narrazione stabilisce così una relazione tra le due coppie: Meurault-sua madre e Salamano-il suo cane. Questi effetti speculari sottolineano l’idea della perdita di una persona cara senza che tali sentimenti siano attribuiti direttamente a Meursault. Il lettore è portato dall’interazione del testo a fare i suoi collegamenti ea interpretare Salamano come un sosia distorto di Meursault.
LO STILE
Lo stile de L’Etranger colpisce innanzitutto per la sua semplicità e la sua naturalezza. Non troviamo, dietro la scrittura di Camus, le abitudini retoriche, le volontà espressive proprie dei grandi romanzieri dell’Ottocento e spesso caratteristiche di un’ideologia borghese. Camus traduce spesso solo fedelmente un modo di parlare tipico dei francesi d’Algeria, anch’esso ereditato dallo stile e dal ritmo del racconto degli arabi: semplice trascrizione dei fatti, apprezzati in sé, senza bisogno di organizzarli e soprattutto di coordinarli loro in un discorso coerente, e che finiscono, accumulandosi, per assumere una dimensione epica.
Evocando in piccole frasi brevi, che il più delle volte non collegano alcuna relazione di causa o conseguenza, i fatti apparentemente più innocui e più importanti, Meursault sembra denunciare come semplici pregiudizi i diversi punti di vista che abbiamo su di essi.
Il suo stile esprime che per lui non ci sono piccoli problemi; la sua osservazione dei particolari (le viti della bara) o il suo modo di soppesare i pro ei contro di ogni cosa (“in una direzione… in un’altra…”) rivelano uno spirito attento e scrupoloso.
Attraverso Meursault, personaggio indifferente ai valori tradizionali, Camus ci fa riscoprire un mondo che credevamo familiare.
DURATA DELL’AZIONE
La prima parte del racconto copre diciotto giorni, tra il giovedì in cui Meursault riceve il telegramma e la domenica del dramma. Siamo all’inizio del romanzo nel mese di giugno (la stagione calcistica, che in Algeria non ha mai superato il 30 giugno, non è finita). Senza dubbio siamo a luglio, il giorno dell’omicidio.
La seconda parte copre quasi un anno: l’inchiesta è durata undici mesi, ai quali vanno aggiunti il tempo del processo ei giorni che Meursault ha trascorso in cella dopo la sentenza. Il processo vero e proprio si svolge a giugno.
Anche se abbraccia un anno, la storia si svolge quasi interamente in estate, e più precisamente in giugno-luglio.
Il tempo del romanzo è lineare, vale a dire che non prevede il ritorno all’interno della storia di Meursault. Ogni capitolo ci porta avanti nel tempo, ad eccezione dei capitoli 1 e 2 della seconda parte, che raccontano eventi dello stesso periodo, ma di carattere diverso.
LA SOCIETÀ
L’indifferenza di Meursault verso gli altri sarà modificata dopo il crimine. Prendendolo in carico, la società lo costringerà a reagire. Paradossalmente, risveglia in lui sentimenti di simpatia che prima non provava. Il giudice gli sembra “molto ragionevole e, nel complesso, comprensivo”; il dispiacere del suo avvocato lo rattrista: “Se n’è andato con un’aria arrabbiata. Avrei voluto trattenerlo, spiegargli che volevo che la sua simpatia non fosse meglio difesa, ma, se posso dirlo, naturalmente.”
L’evoluzione di Meursault si avverte nel modo in cui ci appaiono i rappresentanti della società. Prima descrive i piccoli dettagli che lo colpiscono (la bizzarra cravatta dell’avvocato, il vestito rosso del presidente). Tuttavia, appena aperto il processo, non gli sono sfuggiti gli occhi lucidi del giornalista che lo ha esaminato attentamente. Meursault dà loro persino un significato: “E avevo la strana sensazione di essere osservato da solo”. L’intero processo apparirà sempre meno a Meursault come uno spettacolo e lui si sentirà sempre più preoccupato per quanto sta accadendo. Nota lo “sguardo trionfante” dell’avvocato generale e poi “il luccichio ironico” nei suoi occhi; trova il suo avvocato “ridicolo”. Quando descrive il cappellano, nulla gli sfugge: nota la dolcezza, la tristezza, il fastidio del personaggio.
Descrivendo gli altri personaggi Meursault ci ha fornito solo un punto di partenza, spesso insignificante. L’idea che ci dà del cappellano, invece, è molto precisa perché ora è più sensibile al rapporto che ha con le persone che al loro aspetto crudo.
ANALISI
Così vicino alla morte, svuotato di ogni speranza oltre che di ogni paura, Meursault si apre “per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo. Ero stato felice e lo ero ancora”. Nell’interpretazione di queste poche righe sta la comprensione di un’opera per la quale il rapporto con la madre e/o con la natura (è lì il nocciolo del problema e la durata iniziatica di un racconto) gioca il ruolo essenziale.
Se proviamo a leggere l’epilogo dello Straniero alla luce teorica e retrospettiva del Mito di Sisifo, ci si presentano diverse interpretazioni, tutte che ci dicono che Meursault non seppe “sostenere la straziante e meravigliosa scommessa del ‘assurdo’, perché queste interpretazioni sono altrettante spiegazioni di un ‘consenso’. Se, ad esempio, Meursault acconsente alla propria morte, può essere paragonato a un suicidio. Questa è l’accettazione al limite. “Tutto è consumato, l’uomo ritorna alla sua storia essenziale. Il suo futuro, il suo unico e terribile futuro, lo discerne e vi si precipita dentro”. Il suicidio risolve quindi l’assurdo. Lo trascina nella morte. Certo Meursault non ha i mezzi per la propria morte, ma in questo caso vuole, nel modo eroico e umoristico del saggio stoico, ciò che gli accade: la sua condanna a farsi tagliare la testa… E così anche lui sfugge all’assurdo.
Seconda ipotesi: si trattava di “morire irreconciliabile” ed è in comunione con il mondo che Meursault va invece alla morte. La sua riconciliazione finale appare allora solo come un’estrema illusione consolatrice. Ricoprendo il mondo di un significato illusorio, Meursault cede a questa esigenza antropomorfica di familiarità con ciò che ci è tuttavia radicalmente ostile ed estraneo. Ha negato lo “spessore” e la “stranezza” del mondo e quindi l’assurdo è svanito. “C’è tanta tenace speranza nel cuore umano. Gli uomini più nudi finiscono talvolta per acconsentire all’illusione. Questa approvazione dettata dal bisogno di pace è il fratello interiore del consenso esistenziale”.
Altra ipotesi: Meursault avrebbe adottato una filosofia di tipo Chestoviano, non avrebbe più acconsentito alla morte o alla natura ma all’assurdo stesso; e sperimenterebbe, nella sua comunione con il mondo, “l’euforia dell’irrazionale e la vocazione all’estasi” che distoglie necessariamente una mente lucida dall’assurdo. Così la rivolta viene nuovamente elusa: «L’uomo integra l’assurdo e in questa comunione fa scomparire il suo carattere essenziale, che è opposizione, strappo e divorzio. Questo salto è un’evasione». Perché l’irrazionale qui è diventato dio. E senza dubbio Camus stesso non sceglie né aderisce a nessuna di queste risposte. Con quello dell’eroe assurdo compiuto, offre senza riferimento a The Stranger, queste possibilità alla rinfusa per la meditazione del lettore, scrivendo inoltre che “un’opera assurda (…) non fornisce risposte”.
L’ultima lezione filosofica de Lo straniero dice che tra il mondo e l’uomo, come tra madre e figlio, non c’è separazione ma unità ontologica.
La figura di Cristo ossessiona The Stranger e Camus ne moltiplica il significato. Il Nietzsche dell’Anticristo alimenta qui il testo con i suoi significati. Antichrist è la denominazione che ironicamente – e sintomaticamente – riprende l’indirizzo di Meursault, il giudice istruttore alla fine di ogni suo interrogatorio: “Per oggi è finita, Monsieur l’Antichrist”. Questa designazione non ha, ovviamente, lo stesso significato per il giudice e per l’autore. Per il giudice ante significa anti e l’espressione giovannea dell’Apocalisse parla dell’indifferenza e dell’insensibilità (l’indurimento del cuore) di Meursault di fronte all’immagine paradigmatica del dolore redentore espressa dal crocifisso che il giudice agitava con veemenza davanti agli occhi di il peccatore: «Sono cristiano. A costui chiedo perdono delle tue colpe. Come fai a non credere che abbia sofferto per te? Di fronte all’arringa del teologo-giudice, sul sacrificio dell’innocente per il colpevole, Camus – seguendo in questo senso Nietzsche – descrive attraverso Meursault un Cristo o un Anticristo di tipo completamente diverso: un Cristo prima della teologia cristiana, da prima dell’invenzione della colpa, del peccato, del sacrificio e della redenzione, un Cristo essenzialmente innocente, in comunione immediata con Dio in un’esperienza vissuta di una beatitudine che non è privilegio di uno o di pochi, alcuni ma che potesse essere condiviso da tutti, “come una vita innamorata senza reticenze o esclusività, senza distanza” o resistenza. Meursault, seguendo l’esempio di sua madre, seguendo l’esempio di questo Cristo (che è anche lei) e che Nietzsche descrive, Meursault o “non resiste, non difende il suo diritto, non fa un gesto per volgere l’estremo lontano da lui, molto meglio, lo provoca…». E questa negazione non è un abbandono, è una scelta. In uno schema storico essenzialmente nietzscheano, Meursault esprimerebbe dunque (nell’identità della madre) il tipo dell'”ultimo uomo”, quello per il quale “tutto è vuoto, tutto è uguale, tutto è finito”. È lo stadio del nichilismo passivo, cioè del “punto zero” di esaurimento di una cultura (o di un immaginario) che troverebbe così, nella sua fine, il tipo naturale, elementare della sua origine ma anche il fulcro della un possibile rimbalzo. L’ultimo uomo sta preparando una rinascita.
Nel rumoroso e reticolato parlatorio del carcere dove gli esseri compensano con grida la distanza della separazione, in questo spazio ristretto dove i frammenti di frasi semplificate all’estremo cozzano l’uno contro l’altro in modo assurdo, dove Marie con un smile artificialmente cerca di dare vita alla speranza – è il nostro stesso mondo… – Meursault nota accanto a sé un “giovanotto dalle belle mani” davanti a una “vecchietta” che si guardano senza parlare con intensità: “L’unica isola di silenzio era accanto a me in questo giovanotto questa vecchietta che si guardava. A poco a poco gli arabi furono portati via. Quasi tutti tacquero appena uscì il primo La vecchietta si avvicinò alle sbarre e nello stesso tempo una guardia fece un cenno al figlio, disse: “Arrivederci, mamma” e lei mise la mano tra due sbarre per fargli un piccolo cenno, lento e prolungato. Comunione intensa e silenziosa e, infine, ineludibile separazione tra madre e figlio, tra l’uomo e il mondo. Questo piccolo segno tra le sbarre, senza speranza, è anche quello che, sull’orlo della morte e nel cuore stesso della sua fratellanza con il mondo, Meursault percepisce nella “notte carica di segni e di stelle”. Segno di addio alla vita, addio della madre al figlio dal fondo della notte della sua verità. Come insegna Epicuro, la separazione e la morte sono necessariamente incluse nei patti dell’uomo con la natura. La madre trasmette silenziosamente la vita e lentamente si ritira, lasciando il figlio nella prigione del mondo. Nel mondo assurdo il valore di una vita si misura dalla sua infertilità e la madre di Jacques e Meursault “ha scelto di non essere niente”. E questa sterilità, che sfugge alla falsità, è esemplare: libera l’amore dall’immaginazione, dal desiderio di identificazione e di possesso e dal seguire tutti i suoi affetti passivi. Significa anche, però, un aumento della disponibilità alla vita nella sua diversità. L’amore esclusivo della madre totalizzante, divoratrice e nevrotica lascia il posto a una tenera indifferenza, a una certa “aria di assenza e di dolce distrazione come alcune persone innocenti portano perennemente” e di cui solo l’immensa solitudine di una terra magnifica e senz’anima , sereno e primitivo, sa dare la misura. Silenziosamente, discretamente, la madre diventava naturale, d’accordo «con questo immenso paese intorno a lui di cui aveva sentito il peso, da bambino, con l’immenso mare davanti a sé, e dietro questo interminabile spazio di montagne, altipiani e deserto che noi chiamato l’interno, e tra i due il pericolo permanente di cui nessuno parlava perché sembrava naturale…” E Meursault aprirsi liberamente a questo vuoto immenso, a questa presenza permanente della morte e, insieme, anche al ricchezza del mondo. Il suo percorso: dall'”essere niente all’essere molti”.
C’è una perfetta contentezza nelle cose più semplici: “Il cielo era verde, mi sentivo contenta. Comunque andai subito a casa perché volevo farmi delle patate lesse”; la vita ritirata in una sola stanza… “il resto è abbandonato”; l’attitudine che Meursault riconosce di poter “vivere in un tronco d’albero secco senza altra occupazione che guardare il fiore del cielo”. Questo esprime senza dubbio l’attività immobile caratteristica dell’energeia epicurea. L’esplorazione del diverso appare allora, dal punto di vista di questa semplificazione della vita, contraddittoria. È però l’opposto di un’agitazione suscitata dalla mancanza e dall’illusoria infinità dei desideri. Piuttosto l’estensione indefinita dell’attività immobile di una pienezza. Meursault è anche Don Juan. Questa vita lo soddisfa. Non conosce la mancanza, ma il suo desiderio corre comunque di corpo in corpo. Cammina con Maria e attira la sua attenzione sulla bellezza delle donne. Vanno in spiaggia: “Ho notato subito una bella ragazza in costume da bagno bianco, e ho voluto”…
Ritorno alla povertà. Quello che ha riportato Meursault dalla madre dopo un periodo trascorso a Parigi per studi superiori che non poté portare a termine e di cui nulla si saprà; povertà che ha soppresso in lui, con le sue ambizioni, ogni speranza e ogni rimpianto, e che ora lo porta a pensare veramente che in fondo la vita non si cambia mai, che tutti sono uguali e che la sua, disponibile all’occasione di un ” cielo pieno di rossore” o “un odore di sale”, non gli dispiace affatto. Questa povertà che lo porta infine a mettere la madre in manicomio proprio nel momento in cui il mutuo silenzio, esaurito dalla sua ricchezza iniziatica, è diventato quello della noia, dell’inevitabile separazione degli esseri e già della morte: «madre né io aspettarsi qualcosa l’uno dall’altro o da chiunque altro. Eppure è per fedeltà alla verità della madre, per fedeltà essenziale alla vita, che Meursault separa da lei, o meglio ratifica, con il suo atto, il divorzio che l’esistenza aveva già aperto irreversibilmente tra loro. Con lo stesso gesto libera la madre dalla propria presenza di oggetto del desiderio allucinato ed esclusivo, e la rende disponibile ad altri amori: “Quando era in casa la mamma passava il tempo a seguirmi con lo sguardo in silenzio”. Al manicomio troverà un “fidanzato” e ricomincerà tutto da capo. Ciò che il fratello di Catherine Cormery aveva impedito, sotto gli occhi del giovane Jacques, Meursault rende possibile a sua madre. Questo deve essere visto come gratitudine, il dono di una seconda nascita. Il rapporto madre-bambino è reversibile perché esistono in realtà solo fraternità attraverso le quali la vita si propaga, rimbalza, risuscita, si moltiplica, si amplifica.
La madre defunta sarà quindi solo evocata in relazione a questo amore fraterno per la vita, la natura e il piacere di fronte alla bellezza della terra. Il viaggio di Meursault passa così dall’esperienza del vuoto, della sua capacità di disaffezionare l’universo dei miti e dei sentimenti che ad esso sono soggetti, a quello della densità e della reale diversità della realtà, in sé e fuori di sé.
“Non ho mai avuto, confida Meursault, una vera immaginazione”. A questo grado quasi zero di fanatismo o allucinazione, sono le strutture apparentemente più naturali del nostro rapporto con il mondo e con gli altri ad essere sconvolte. Perché l’unità, l’identità da cui riconosciamo un altro uomo o anche una cosa, fanno anch’esse già parte dell’immaginario. Quando Meursault, per fedeltà alla ricchezza della realtà, alla sua verità, rifiuta di semplificare la vita, cioè di mentire sulla realtà dei suoi sentimenti identificandoli secondo il consenso su ciò che deve essere fatto o sentito o addirittura consenso sulle parole (è dolore, è rimpianto, è amore…) – con questo rifiuto afferma che tutta la vita, che ogni vita è dedicata alla verità della sua dispersione, della sua molteplicità, della sua diversità. E che questa realtà è irriducibile a segni, identici o contraddittori, che è silenziosa, affettiva, relazionale, molteplice. Ma anche che questa verità è tanto sua quanto quella del mondo. In questo modo Meursault si libera dall’assurdo crepacuore. Questa ricchezza del mondo è essa stessa, nulla la separa da essa, nulla in essa le si oppone. Il suo silenzio – quello della vita come quello della morte – è il suo stesso silenzio. Questo amore disinteressato, questa tenera indifferenza che sente in tutte le cose, è il suo stesso amore per la vita libera da ogni possesso, da ogni identificazione, da ogni “oggetto”… Questo immanentismo radicale attraversa, attraverso il gioco dei suoi simboli, il percorso di Meursault: alla madre scomparsa, sepolta il giorno prima, appare Maria.
Sposato. Lei è la madre emblematica, quella di Cristo. Per Meursault è la donna-madre, la mediazione tra l’unione con la propria madre e il suo accordo con la natura. Inoltre, Maria non si distingue realmente dalla natura o dagli attributi materni. Meursault la incontra “nell’acqua” (quella della nascita e del battesimo), le tocca subito i seni, si addormenta come un bambino sul suo ventre. Marie va a letto con lui. Non parlano. La sera “è venuta a casa mia”. Cosa possiamo dire di Marie se non che è tutta in superficie, quella della bellezza del suo corpo bruno. Maria è la natura in movimento nella sua singolare affermazione, come corpo, come gioia pura, come pienezza: ride senza fine. L’apparentemente opposto all’immobilità e al vuoto della madre. Ma è pur sempre lo stesso significato del presente, la stessa conoscenza della vita, la stessa libertà. La sua risata è il suo silenzio. La sua stessa saggezza. Marie non dice altro che l’urgenza del piacere di vivere. Libera la saggezza della figura ancora reattiva della rassegnazione. Ed è con questo desiderio, queste risate, questi frammenti di corpo e tessuto, questi movimenti fuggitivi del viso, che Meursault si unisce a Marie/la madre/natura, da questa parte di sé (la sua o quella di Marie) in l’immanenza degli affetti puri.
Questa unione raggiunge il suo punto sublime di domenica mattina. Il testo ha qui, più che altrove, la semplicità di un sistema. Unione prima con i quattro elementi: acqua (“l’acqua era fredda ed ero felice di nuotare”), aria (“sono entrato nuotando regolarmente e respirando bene”), terra (“ho messo la faccia nella sabbia. Ho detto lui era buono…”), il fuoco (“ero impegnato a sentire che il sole mi faceva bene”). Poi l’unione con Maria; nell’acqua prima di tutto, secondo un unico e medesimo corpo (“con Maria ci siamo allontanati e ci siamo sentiti concordi nei nostri gesti e nel nostro consenso. (…) Maria ha voluto che nuotassimo insieme. Mi sono messo dietro di lei prenderla per la vita e lei avanzava con la forza delle mie braccia mentre io l’aiutavo battendo i piedi”); e sulla sabbia (“si sdraiò fianco a fianco con me e i due tepori del suo corpo e il sole mi addormentarono un po’”). Marie gli farà notare che non l’ha baciata dalla mattina. Dove Meursault sperimenta la beatitudine della simbiosi, i segni dell’amore, il desiderio stesso di unirsi di più all’altro (in un bacio per esempio) non hanno più posto. Le strutture del sé e dell’altro si sono dissolte. Maria non è più “oggetto del desiderio”. In questo godimento illimitato dell’essere non c’è più niente da dire, da mostrare, da dimostrare o da desiderare. Questa pienezza è vissuta in una dolce sonnolenza. È il sonno appagato del bambino “sonno leggero e senza sogni”. Questo contatto diretto con il mondo è un momento di innocenza… che allo stesso modo può trasformarsi in crudeltà. Il momento del delitto sarà anche quello del contatto diretto con gli elementi, anche innocenti. Nel bene e nel male, il piacere più grande o il dolore estremo, spogliato della corazza delle nostre illusioni, Meursault vive totalmente esposto alla tenerezza o alla furia della realtà. Questa passività è già anche la sua forza.
Meursault è con Marie o con la natura, come un bambino con sua madre, totalmente disponibile al suo calore, al suo amore, ma di per sé passivo. Da madre natura deriva tutta la sua contentezza. È attraverso di lei che entra in accordo con lei, come con se stesso. Tra l’unione della spiaggia e quella del carcere c’è dunque insieme continuità e rottura. Continuità nell’innocenza e godimento del rapporto con il mondo e con se stessi. Rottura nella transizione dall’affetto gioioso passivo all’affetto attivo della beatitudine. Attraverso la conoscenza, l’innocente diventa autonomia. Certo, la stessa gioia passiva di Meursault presuppone l’attività di un’affermazione che è quella della saggezza spontanea del corpo nel presente quando è libero da ogni futuro. Perché di per sé «il corpo ignora la speranza», ma questa attività anonima e interminabile della nostra perseveranza si consegna a circostanze esterne che fanno e disfanno a piacimento il nostro accordo con gli altri, con il mondo e con noi stessi. In carcere, è dal punto di vista della propria forza, della propria lucidità, che Meursault sperimenta il suo accordo essenziale con se stesso oltre che con il mondo. La saggezza spontanea del corpo è diventata quella di una conoscenza adeguata. C’è tutta la gioia silenziosa e serena di Meursault, la sua felicità gli appartiene ed è irreversibile. In un amore per la vita così potente e lucido che lo rende capace anche di dire “sì” alla morte senza che questo “sì” sia in alcun modo l’espressione di un desiderio di morire, ma al contrario il consenso al più felice, più mondo tenero e umanissimo.
Il rapporto di Meursault con Maria è quindi vero e totalmente fisico: è un’unione di corpi. Eppure radicalmente diverso o addirittura opposto a ciò che di solito intendiamo con questo. Perché Marie non è per Meursault “un” corpo identificato con una cosa, un oggetto di cui ci si appropria e di cui si gode, né per di più un soggetto, una “persona” – altra faccia morale dello stesso gioco immaginativo. Miseria di tutte le menzogne del dualismo e della “moralina”. Maria è un desiderio. L’opposto di “un sentimento per il suo coito” secondo l’immagine che Raimondo dà del rapporto che ha con la sua amante. Sono l’immaginazione e le fantasie che riducono la donna a un’identità, a un corpo, a una cosa, “la” cosa (il coito) o viceversa (ma è la stessa cosa) la persona morale per eccellenza, la Madre. È secondo la stessa logica che Raymond vuole trascinare Meursault al bordello: “Ho detto di no perché non mi piace”. Il rifiuto è illuminante. Meursault non fa l’amore con le immagini.
Meursault vuole spontaneamente accontentare Raymond, senza pensare alle possibili conseguenze delle sue azioni, nonostante la pessima reputazione del suo vicino. Si rammarica anche di dover contrariare il suo capo. Ma la sua simpatia per Algeri, che ama, il mare e il sole, e al contrario la sua antipatia per Parigi (“È sporca. Ci sono piccioni e corti nere. La gente ha la pelle bianca”) sono troppo forti per permettergli di accettare questo cambiamento della vita. La simpatia o l’antipatia corrispondono quindi alle capacità di influenzare o essere influenzati dai corpi. “Il cielo era verde, mi sentivo felice”: questa è simpatia. D’altra parte, Meursault nota gli avambracci “bianchissimi sotto i capelli neri” di Raymond: “Ero un po’ disgustato”, dice.
Lungi dall’essere estraneo agli altri e al mondo, il desiderio spontaneo di Meursault è tuttavia in immediata, naturale simpatia con tutto ciò che lo circonda. E questo a parte la cura di sé. Del suo avvocato, che se ne va con aria stizzita, ci dice che avrebbe voluto trattenerlo, «per spiegargli che volevo la sua simpatia, non per difendersi meglio, ma, se così si può dire, naturalmente “. Un giornalista che gli parla e che trova “comprensivo”, gli dice che il suo caso sarà telegrafato a Parigi; “L’ho quasi ringraziato. Ma ho pensato che sarebbe stato ridicolo”. Quando si sente odiato, come un bambino, naturalmente ha voglia di piangere. Questo desiderio spontaneo del desiderio dell’altro non è affatto ancora il sintomo di una mancanza o di una richiesta d’amore. A Raymond che vuole essere suo amico, risponde “sì” e commenta: “Non mi dispiaceva essere suo amico e sembrava davvero che lo volesse”. La sua simpatia è già anche generosità. Lo porterà in galera. Dopo l’incidente con gli arabi, Raymond vuole tornare in spiaggia. Masson e Meursault vogliono accompagnarlo. Si arrabbia, li insulta. Il vecchio amico di Raimondo lo lascia andare da solo… “L’ho seguito lo stesso”. E questa è pura generosità. Camus si ritira dal suo personaggio quando dice di lui che “non ha mai iniziativa”. Come chiamare allora la decisione che prende qui di seguire Raymond per proteggerlo da se stesso? È infatti in modo cosciente e molto adattato (come dall’interno) alla mentalità di Raimondo, al suo linguaggio (“Portalo da uomo a uomo…), che glielo porterà. Abbandonare la sua rivoltella e prendere così su di sé il rischio di usarlo se la vita del suo amico fosse in pericolo.Meursault ama Raymond più di se stesso?non limita la sua amicizia o che la sua preoccupazione per la vita è maggiore… Di fronte all’agitazione impulsiva e irrazionale di Raymond, il suo orgoglio di Adolescente e teppista meschino, Meursault padroneggia lucidamente la situazione, prende tutto su di sé fino a quel momento in cui capisce che la realtà raggiunge il suo punto di casualità e vanità di ogni padronanza: “Ho pensato in quel momento che potevamo sparare o non sparare. Gli arabi si ritireranno e Meursault non sparerà, ma ora è – per aver voluto evitare un omicidio – in possesso di un’arma La simpatia è quindi già amicizia senza limiti. Al di là di Raymond, per la vita stessa, quello che gli altri chiamano il suo rispetto.
Il prete voleva purificare l’anima di Meursault, per conquistargli l’eternità. Ma tra salti misti di gioia e rabbia, “uscita dal sepolcro” e terrore della morte, come Cristo che risorge da Piero della Francesca, è l’anima stessa da cui Meursault si è definitivamente purificato. E quindi da ogni dualismo, da ogni opposizione tra coscienza e mondo, dall’ultimo ostacolo al consenso e all’amore universale che è la materia stessa dei corpi. “Dove la felicità nasce dall’assenza di speranza, dove lo spirito trova nel corpo la sua ragione”, la coscienza, divenuta pura fosforescenza di tutta la natura, la apre al presente, all’infinita tenerezza del mondo, per la prima volta nella pura gioia immanente della comprensione. Lì dove sentire, amare, conoscere, sono una sola e medesima cosa, in questo perfetto accordo con il mondo che è anche accordo con se stessi e, nonostante il loro odio, con tutti gli altri uomini. Assenza di speranza, fine della paura: trovato “contatto diretto, senza intermediari, quindi innocenza”. Ma una “innocenza di 2° grado”. Quella che permette la lucidità del vero. Verità eterna della volontà di essere e di persistere in una vita definitivamente strappata all’involontario e all’illusione. È il momento della verità in cui tutto quadra, “l’umanità e la semplicità. E quando sono più reale di quando sono il mondo? Mi compio prima di aver desiderato. L’eternità c’è e la speravo. Non è più per essere felice che voglio ora, ma solo per essere consapevole”.
Volendo un cambio di asciugamano piuttosto che un cambio di vita; divertiti a fare le patate bollite piuttosto che farne una carriera; farsi silenziosamente eterno e infinito al suo posto dal seno della sua finitudine e della sua stessa prigione, questo è il messaggio senza speranza, ma non senza amore, lasciato da Meursault. Un invito alla pienezza, all’arida lucidità e alla gioia degli esseri liberi e mortali. In assoluta vicinanza alla vita e alla morte, alla verità e alla menzogna, la sua storia essenziale è legata a tutto. Non era estraneo a nulla tranne – ma ne comprendeva anche la contingenza e la necessità – alle tristi illusioni degli uomini. Lasciamo Meursault nella sua cella del braccio della morte. Non sapremo mai se è stato giustiziato. E senza dubbio, come i miti, la storia che Camus racconta è fatta per essere animata dalla nostra immaginazione. Mi piace pensare che circostanze fortuite si siano rivolte a favore dell’eroe e gli abbiano permesso di ottenere il perdono e infine la liberazione. Immagino quindi Meursault, ricco della saggezza solare a cui ha avuto accesso – che mantiene vivo dentro di sé il fuoco di una vita selvaggia e vibrante – mentre scrive la propria avventura (il suo nome non è Meursault ovviamente, e la storia che leggiamo, pur essendo autobiografica , è davvero un romanzo). Il testo di Camus e quello di M. sono certamente verbalmente identici, ma il secondo – che già realizza l’opera sognata da Camus, che parlerà, confidò, “di una certa forma d’amore” – è, sul livello di esperienza filosofica, infinitamente più ricco, ma sostanzialmente poco diverso. La differenza tra il rovescio e il luogo.
CITAZIONI
Oggi mia madre è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dal manicomio: “Madre morta. Sepoltura domani. Cordiali saluti”. Non significa nulla. Forse era ieri.
La casa di riposo è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus alle due e arriverò nel pomeriggio. Così posso stare sveglio e tornerò domani sera. Ho chiesto al mio capo due giorni di ferie e non poteva rifiutarmi con una scusa del genere. Ma non sembrava felice. Gli ho anche detto: “Non è colpa mia”. Non ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo. Insomma, non dovevo scusarmi. Stava più a lui porgermi le sue condoglianze. Ma senza dubbio lo farà dopodomani, quando mi vedrà in lutto. Per il momento, è un po’ come se la mamma non fosse morta. Dopo il funerale, invece, sarà un caso chiuso e tutto avrà assunto un aspetto più ufficiale.
Ho preso l’autobus alle due. Faceva molto caldo. Ho mangiato al ristorante Chez Céleste, come al solito. Si sono sentiti tutti molto dispiaciuti per me e Celeste ha detto: “Abbiamo solo una madre”. Quando me ne sono andato, mi hanno accompagnato alla porta. Ero un po’ frastornata perché dovevo andare da Emmanuel a farmi prestare una cravatta nera e un bracciale. Ha perso suo zio pochi mesi fa.
Ho corso per non perdere la partenza. Questa fretta, questa corsa, è probabilmente per tutto questo, sommato ai dossi, all’odore di benzina, al riverbero della strada e del cielo, che mi sono appisolato. Ho dormito per la maggior parte del tempo. E quando mi sono svegliato, ero rannicchiato contro un soldato che mi ha sorriso e mi ha chiesto se venivo da lontano. Ho detto “sì” così non avrei più dovuto parlare. Il manicomio è a due chilometri dal paese. Ho fatto il viaggio a piedi. Volevo vedere la mamma subito. Ma il portiere mi ha detto che dovevo incontrare il direttore. Dato che era impegnato, ho aspettato un po’. Per tutto il tempo il bidello parlava e poi ho visto il direttore: mi ha ricevuto nel suo ufficio. Era un vecchietto, con la Legion d’Onore. Mi guardò con i suoi occhi chiari. Poi mi strinse la mano, che tenne così a lungo che non sapevo come tirarla fuori. Ha consultato un dossier e mi ha detto: “La signora Meursault è arrivata qui tre anni fa. Lei era il suo unico sostegno”. Ho pensato che mi stesse incolpando di qualcosa e ho iniziato a spiegarglielo. Ma lui mi ha interrotto: “Non devi giustificarti, mia cara bambina. Ho letto la cartella di tua madre. Non potevi mantenerla. Aveva bisogno di una babysitter. I tuoi stipendi sono modesti. E tutto sommato, era più felice qui .” Ho detto: “Sì, preside”. Ha aggiunto: “Sai, aveva amici, persone della sua stessa età. Potrebbe condividere con loro interessi che sono di un’altra epoca. Sei giovane e lei deve essersi annoiata con te”.
Era vero. Quando era a casa, la mamma passava il tempo a guardarmi in silenzio. Nei primi giorni in manicomio piangeva spesso. Ma era per abitudine. Dopo qualche mese avrebbe pianto se l’avessero portata fuori dal manicomio. Sempre per abitudine. Ecco un po’ il motivo per cui nell’ultimo anno ci sono andato poco. E anche perché mi ci è voluta la mia domenica, per non parlare della fatica per arrivare all’autobus, prendere i biglietti e guidare due ore.
Il regista mi ha parlato di nuovo. Ma non lo ascoltavo quasi più. Poi disse: “Immagino che vuoi vedere tua madre». Mi alzai senza dire una parola e lui mi condusse alla porta. Sulle scale mi spiegò: «L’abbiamo portata nel nostro piccolo obitorio. Per non impressionare gli altri. Ogni volta che muore un residente, gli altri sono nervosi per due o tre giorni. E questo rende difficile il servizio». Attraversammo un cortile dove c’erano molti anziani che chiacchieravano in piccoli gruppi. Al nostro passaggio tacquero. E dietro di noi ripresero le conversazioni. manager mi ha lasciato: “Vi lascio, Monsieur Meursault. Sono a tua disposizione nel mio ufficio. In linea di principio, il funerale è fissato alle dieci del mattino. Abbiamo pensato che potessi vegliare su quello scomparso. Un’ultima parola: tua madre, a quanto pare, ha spesso espresso alle sue compagne il desiderio di essere sepolta religiosamente. Mi sono preso la responsabilità di fare ciò che era necessario. Ma volevo fartelo sapere.” Lo ringraziai. La mamma, senza essere atea, non aveva mai pensato alla religione durante la sua vita.
Entrai. Era una stanza molto luminosa, imbiancata a calce e coperta da un tetto di vetro. Era arredato con sedie e cavalletti a forma di X. Due di essi, al centro, sostenevano una birra coperta dal suo coperchio. Si vedevano solo viti lucide, piantate appena, che spuntavano dalle assi macchiate di noce. Vicino alla birra c’era un’infermiera araba con un camice bianco e una sciarpa dai colori vivaci sopra la testa.
In quel momento, alle mie spalle è entrata la portinaia. Doveva correre. Balbettò un po’, “Abbiamo coperto, ma devo svitare la birra così puoi vederla.” Si stava avvicinando alla birra quando l’ho fermato. Disse: “Non lo farai?” Ho risposto: “No”. Si interruppe e io ero imbarazzato perché sentivo che non avrei dovuto dirlo. Dopo un po’ mi guardò e chiese: “Perché?” ma senza rimprovero, come se stesse indagando. Ho detto: “Non lo so”. Poi, arricciandosi i baffi bianchi, disse senza guardarmi: “Ho capito”. Aveva bellissimi occhi, azzurri e una carnagione leggermente rossa. Mi diede una sedia e lui stesso si sedette un po’ dietro di me. La guardia si alzò e si diresse verso l’uscita. In quel momento, il custode mi ha detto: “Ha il cancro”. Siccome non capivo, ho guardato l’infermiera e ho visto che indossava una benda che le girava intorno alla testa. All’altezza del naso, la fascia era piatta. Potevi vedere solo il candore della benda sul suo viso.
[…]
Quando mi sono svegliato, ho capito perché il mio capo sembrava infelice quando gli ho chiesto i miei due giorni liberi: oggi è sabato. Me ne ero quasi dimenticato, ma quando mi sono alzato mi è venuta quest’idea. Il mio capo, naturalmente, pensava che avrei avuto così quattro giorni di ferie con la mia domenica e questo non poteva renderlo felice. Ma da un lato non è colpa mia se abbiamo seppellito la mamma ieri invece che oggi e dall’altro avrei avuto comunque il mio sabato e la mia domenica. Certo, questo non mi impedisce di capire lo stesso il mio capo.
Ho avuto difficoltà ad alzarmi perché ero stanco per la giornata di ieri. Mentre mi stavo facendo la barba, mi sono chiesta cosa avrei fatto e ho deciso di fare una nuotata. Ho preso il tram per andare allo stabilimento balneare del porto. Lì, mi sono tuffato nel passo. C’erano molti giovani. Ho trovato nell’acqua Marie Cardona, un’ex dattilografa del mio ufficio che avevo desiderato in quel momento. Anche lei, credo. Ma se n’è andata poco dopo e non abbiamo avuto tempo. L’ho aiutata a salire su una boa e, in questo movimento, le ho toccato i seni. Ero ancora in acqua quando lei era già a faccia in giù sulla boa. Si voltò di nuovo verso di me. Aveva i capelli sugli occhi e rideva. Mi sono issato accanto a lei sulla boa. Il tempo era bello e, come per scherzare, ho tirato indietro la testa e gliel’ho appoggiata sulla pancia. Lei non ha detto niente e io sono rimasto così. Avevo tutto il cielo negli occhi ed era blu e dorato. Sotto il mio collo, sentivo lo stomaco di Marie battere dolcemente. Restammo a lungo sulla boa, mezzo addormentati. Quando il sole è diventato troppo forte, si è tuffata e io l’ho seguita. L’ho raggiunta, le ho messo una mano intorno alla vita e abbiamo nuotato insieme. Stava ancora ridendo. Sul molo, mentre ci stavamo asciugando, mi ha detto: “Sono più scura di te”. Le ho chiesto se voleva venire al cinema la sera. Ha riso di nuovo e mi ha detto che voleva vedere un film con Fernandel. Quando ci siamo vestiti, è sembrata molto sorpresa di vedermi con la cravatta nera e mi ha chiesto se ero in lutto. gliel’ho detto che la mamma era morta. Dato che voleva sapere da quando, ho risposto: “Da ieri”. Ha avuto un piccolo rinculo, ma non ha fatto commenti. Volevo dirgli che non era colpa mia, ma ho smesso perché pensavo di averlo già detto al mio capo. Non significava niente. Comunque, siamo sempre un po’ in colpa.
Quella sera Marie aveva dimenticato tutto. Il film a volte era divertente e poi davvero troppo stupido. Aveva la sua gamba contro la mia. Le accarezzai i seni. Verso la fine della seduta l’ho baciata, ma male. Uscendo è venuta a casa mia.
Quando mi sono svegliato, Marie non c’era più. Mi ha spiegato che doveva andare da sua zia. Pensavo fosse domenica e questo mi dava fastidio: la domenica non mi piace. Allora mi sono rivoltato nel letto, ho cercato nel capezzale l’odore di sale che vi avevano lasciato i capelli di Marie, e ho dormito fino alle dieci. Poi ho fumato sigarette, ancora sdraiato fino a mezzogiorno. Non ho voluto pranzare come al solito da Céleste perché, ovviamente, mi avrebbero fatto delle domande e questo non mi piace. Mi cucinai delle uova e le mangiai direttamente dalla padella senza pane perché non ne avevo più e non volevo scendere a comprarne.
Dopo pranzo mi annoiai un po’ e girai per l’appartamento. Era comodo quando c’era la mamma. Ora è troppo grande per me e ho dovuto portare il tavolo della sala da pranzo nella mia stanza. Non vivo più se non in questa stanza, tra le sedie impagliate un po’ sprofondate, l’armadio dai vetri ingialliti, la toletta e il letto di rame. Il resto è abbandonato. Poco dopo, per fare qualcosa, ho preso un vecchio giornale e l’ho letto. Ho ritagliato una pubblicità dei sali di Kruschen e l’ho incollata su un vecchio taccuino dove ho messo le cose che mi divertono sui giornali. Mi sono anche lavato le mani e, finalmente, sono andato sul balcone.
La mia camera si affaccia sulla via principale del sobborgo. Il pomeriggio è stato bellissimo. Il selciato però era unto, la gente ancora rada e di fretta. Prima c’erano delle famiglie che andavano a passeggio, due ragazzini in costume da marinaio, i calzoni sotto il ginocchio, un po’ impigliati nei vestiti rigidi, e una bambina con un grande fiocco rosa e scarpe nere lucide. Dietro di loro, una madre enorme, con un vestito di seta marrone, e il padre, un ometto piuttosto fragile che conosco di vista. Aveva una paglietta, un papillon e un bastone in mano. E vedendolo con sua moglie, ho capito perché nel quartiere la gente diceva che si distingueva. Poco dopo passarono i giovani del sobborgo, capelli laccati e cravatte rosse, giacche molto attillate, con fazzoletto da taschino ricamato e scarpe a punta squadrata. Pensavo andassero nei cinema del centro. Ecco perché partivano così presto e correvano al tram ridendo molto forte.
Dopo di loro, la strada divenne gradualmente deserta. Gli spettacoli erano iniziati ovunque, credo. C’erano solo negozianti e gatti per strada. Il cielo era limpido ma cupo sopra i ficus che fiancheggiano la strada. Sul marciapiede di fronte, il tabaccaio tirò fuori una sedia, la mise davanti alla sua porta e vi si mise a cavalcioni, appoggiando le braccia sullo schienale. I primi tram affollati erano quasi vuoti. Nel piccolo caffè “Chez Pierrot”, accanto al tabaccaio, il cameriere spazzava la segatura nella stanza deserta. Era davvero domenica.
[…]
Oggi ho lavorato molto in ufficio. Il capo era amichevole. Mi ha chiesto se non ero troppo stanco e voleva anche sapere l’età della mamma. Ho detto “una sessantina”, per non sbagliare e non so perché lui sembrava sollevato e considerava cosa fatta.
C’era una pila di polizze di carico ammucchiate sul mio tavolo e ho dovuto esaminarle tutte. Prima di uscire dall’ufficio per il pranzo, mi sono lavato le mani. A mezzogiorno, mi piace questo momento. La sera lo trovo meno piacevole perché l’asciugamano che usiamo è piuttosto umido: è stato usato tutto il giorno. L’ho detto al mio capo un giorno. Ha risposto che lo trovava deplorevole, ma che era ancora un dettaglio senza importanza. Sono uscito un po’ tardi, a mezzanotte e mezzo, con Emmanuel, che lavora alla spedizione. L’ufficio si affaccia sul mare e ci siamo persi un attimo a guardare i mercantili nel porto bruciato dal sole. In quel momento è arrivato un camion con uno schianto di catene ed esplosioni. Emmanuel mi ha chiesto “se stessimo andando lì” e ho iniziato a correre. Il camion ci ha superato e abbiamo iniziato a inseguirlo. Ero annegato nel rumore e nella polvere. Non vedevo niente e sentivo solo questo slancio disordinato della corsa, in mezzo ai verricelli e alle macchine, alberi che danzavano all’orizzonte e scafi che costeggiavamo. Ho preso il primo appoggio e mi sono lanciato in volo. Poi ho aiutato Emmanuel a sedersi. Eravamo senza fiato, il camion saltava sui ciottoli sconnessi della banchina, in mezzo alla polvere e al sole. Emmanuel rise senza fiato.
Siamo arrivati in un sudore a Celeste. Era ancora lì, con il suo pancione, il grembiule ei baffi bianchi. Mi ha chiesto se “stavo ancora bene”. Gli ho detto di sì e che avevo fame. Ho mangiato molto velocemente e ho preso il caffè. Poi sono tornato a casa, ho dormito un po’ perché avevo bevuto troppo vino e, quando mi sono svegliato, avevo voglia di fumare. Era tardi e sono corso a prendere un tram. Ho lavorato tutto il pomeriggio. Faceva molto caldo in ufficio e la sera, quando uscivo, ero felice di rientrare, camminando lentamente lungo le banchine. Il cielo era verde, mi sentivo felice. Comunque andai subito a casa perché volevo farmi delle patate lesse.
Salendo la scala buia, incontrai il vecchio Salamano, il mio vicino di casa. Era con il suo cane. Li abbiamo visti insieme per otto anni. Lo spaniel ha una malattia della pelle, rossa, credo, che gli fa perdere quasi tutto il pelo e lo ricopre di chiazze e croste brune. A forza di vivere con lui, loro due soli in una stanzetta, il vecchio Salamano finì per somigliargli. Ha croste rossastre sul viso e radi capelli gialli. Il cane, invece, assumeva una specie di sguardo curvo dal suo capo, il muso in avanti e il collo teso. Sembrano della stessa razza eppure si odiano. Due volte al giorno, alle undici e alle sei, il vecchio porta a spasso il suo cane. Per otto anni non hanno cambiato rotta. Si vedono lungo la rue de Lyon, il cane che trascina l’uomo finché il vecchio Salamano non inciampa. Poi picchia il suo cane e lo insulta. Il cane striscia spaventato e si lascia trascinare. A questo punto, tocca al vecchio tirarlo. Quando il cane ha dimenticato, trascina di nuovo il suo padrone e viene nuovamente picchiato e insultato. Così restano entrambi sul marciapiede e si guardano, il cane con terrore, l’uomo con odio. È così ogni giorno. Quando il cane vuole urinare, il vecchio non gli dà tempo e lo tira, lo spaniel lascia dietro di sé una scia di piccole gocce. Se per caso il cane riesce a entrare nella stanza, viene picchiato di nuovo. Va avanti da otto anni. Celeste dice sempre che “è una sfortuna”, ma in fondo nessuno può saperlo. Quando l’ho incontrato sulle scale, Salamano stava insultando il suo cane. Gli disse: “Bastardo! Carogna!” e il cane gemette. Ho detto: “Buonasera”, ma il vecchio stava ancora imprecando. Così gli ho chiesto cosa gli aveva fatto il cane. Lui non mi ha risposto. Disse solo: “Bastardo! Carogna!” L’ho indovinato, chinandomi sul suo cane, sistemando qualcosa sul collare, ho parlato più forte. Così, senza voltarsi, mi ha risposto con una specie di rabbia repressa: “È ancora qui”. Poi se ne andò, trascinando la bestia, che si trascinava sulle quattro zampe e gemeva.
Proprio in quel momento è entrato il mio vicino del secondo piano. Nel quartiere si dice che viva con le donne. Quando gli viene chiesto del suo lavoro, invece, è un “magazziniere”. In generale, non è benvoluto. Però mi parla spesso ea volte passa un po’ di tempo a casa mia perché lo ascolto. Trovo interessante quello che dice. Inoltre, non ho motivo di non parlargli. Il suo nome è Raymond Sintés. È piuttosto piccolo, con spalle larghe e naso da pugile. È sempre vestito molto bene. Anche lui mi ha detto, parlando di Salamano: “Se non è sventurato!” Mi ha chiesto se mi dava fastidio e io ho detto di no.
Siamo saliti di sopra e stavo per lasciarlo quando ha detto: “Ho del sanguinaccio e del vino a casa. Se vuoi mangiare qualcosa con me…” Ho pensato che mi avrebbe salvato dal fare io e la mia cucina abbiamo accettato. Anche lui ha una sola camera da letto, con cucina senza finestre. Sopra il letto ha un angelo di stucco bianco e rosa, immagini di campioni e due o tre scatti di donne nude. La camera era sporca e il letto sfatto. Prima accese la sua lampada a cherosene, poi prese dalla tasca una benda piuttosto dubbia e si avvolse la mano destra. Gli ho chiesto cosa avesse. Mi ha detto che ha litigato con un tizio che cercava storie.
“Ma il mio avvocato, allo stremo, esclamò, alzando le braccia in modo che le maniche gli cadessero scoperte le pieghe di una camicia inamidata: ‘Infine, è accusato di aver seppellito sua madre o di aver ucciso un uomo? “Il pubblico ha riso, ma il procuratore si è rialzato, si è avvolto nella vestaglia e ha detto che dovevamo prendere l’ingegnere. trascurato dall’onorevole difensore per non sentire che vi fosse tra questi due ordini di fatti un legame profondo, patetico, essenziale. “Sì, esclamò con forza, accuso quest’uomo di aver seppellito una madre dal cuore criminale.” Questa dichiarazione sembrò avere un notevole effetto sul pubblico. Il mio avvocato scrollò le spalle e si asciugò il sudore dalla fronte. Ma lui stesso sembrava scosso e ho capito che le cose non andavano bene per me”.