Linda De Benedictis
27 Gennaio 2019Mario Falanga
27 Gennaio 2019Saggio breve /articolo di giornale
Ambito socio economico
DOCUMENTI
3 milioni di persone in Italia sono colpite direttamente da anoressia, bulimia e disordini alimentari;
5% della popolazione soffre di disturbi alimentari;
7,5 milioni sono le persone coinvolte a livello familiare con tali patologie;
14-35 anni è la fascia di età più colpita ma i disturbi possono manifestarsi anche in fasce di età più giovane e oltre i 40 anni;
92% di chi chiede aiuto è donna (dati statistici da http://www.bulimianoressia.it)
L’anoressia è una condizione patologica caratterizzata da una netta disorganizzazione dell’aspetto nutrizionale. Tale disorganizzazione si traduce in una grave restrizione alimentare a cui segue una diminuzione del peso corporeo. Questulitmo, secondo i casi, può diminuire fino al 40% del peso iniziale”
(Antonia Murgo, Anoressia – Una mollica in meno per un po di desiderio in più, Edizioni GB, 1997, p. 23)
Anoressia, bulimia e i disordini alimentari non sono un fenomeno esclusivamente femminile, sebbene questi disagi colpiscano prevalentemente le donne.
Il corpo maschile, ostentato sulle riviste e nelle pubblicità, è un chiaro segnale che l’ossessione della forma fisica ha sconfinato nel mondo degli uomini.
Si parla di incremento dei casi di disordini alimentari fra gli uomini ed i ragazzi; si tratta, piuttosto, di un aumento della capacità di chiedere aiuto, di rivolgere una domanda di cura alle istituzioni terapeutiche. E’ dunque diventato socialmente più lecito” per un uomo chiedere aiuto.()
Per quanto riguarda l’esordio è da rilevare un’importante differenza: nei maschi avviene, di solito, più tardi rispetto al periodo puberale, non nella primissima adolescenza, forse appunto perché il disturbo in questi casi non è legato ai tempi della maturazione sessuale femminile.
Per quanto riguarda l’eziologia, può risultare scatenante” l’incontro con l’altro sesso, che risulta essere per varie ragioni traumatico”. La soluzione anoressica maschile può funzionare, allora, come rimedio a questo incontro; al contrario di quanto avviene sul versante femminile, dove è utilizzata per mettere alla prova l’altro, con l’imperativo Amami a prescindere dal mio corpo, desiderami come persona”, o per tenerlo a distanza, rifiutando, attraverso la negazione del proprio corpo, anche la sessualità. Su quello maschile l’anoressia permette invece l’incontro sessuale; in un certo senso disinibisce il soggetto, come succede con l’uso di cocaina, quindi in modo chiaramente patologico, e ristabilisce un alto valore di sé. Alcuni soggetti, infatti, vivono con euforia la fase anoressica e in questa si sentono di conseguenza facilitati nelle relazioni con l’altro sesso, perché hanno conferma del proprio valore nel coincidere con il proprio ideale estetico e virile. ()
Queste sono alcune delle differenze rispetto all’anoressia classica” femminile; altre certamente ne individueremo inoltrandoci sempre più nello studio di questo particolare fenomeno clinico; ma aldilà delle differenze va sottolineato un aspetto che le accomuna: una seria pericolosità che, come sappiamo, può portare ad effetti devastanti.”
(da Anoressia maschile” su http://www.bulimianoressia.it)
“la verità è che non c’è niente da dire su di me se non bulimia: io sono la bulimia quello che più mi fa arrabbiare nella situazione patetica in cui mi ritrovo è il fatto che di tutti i metodi per autodistruggermi che avevo a disposizione, sono andata a scegliermi sicuramente il più palloso e patetico, quello che al massimo strappa alla gente un sorriso misto tra disprezzo, commiserazione e divertimento: avrei potuto scegliere la strada dell’anoressia, perché no! L’anoressia si impone alla gente, non si può fare finta di non vederla. Una bulimica come me invece si può benissimo far finta di non vederla”.
Quando una famiglia vive il dramma dell’anoressia è il panico. Senza chiederli, arrivano consigli e soluzioni da chi si improvvisa psicologose soltanto fosse figlia loro!Ci si siede a tavola con lei e la si obbliga a mandar giù; si imbroglia mentre si cucina aggiungendo qualche caloria in più, aspettando con angoscia i pasti che verranno
Così inizia la ricerca di chi possa aiutare nostra figliaintanto passano gli anni, aumentano i risentimenti, i problemifino a quando ci rendiamo conto che anche noi genitori abbiamo bisogno di aiuto, e, finalmente, arriviamo all’ABA: nostra figlia nel suo gruppo, noi nel gruppo dei genitori. Il cammino è parallelo, ma ognuno di noi ha il suo spazioQuesta è sicuramente la via da percorrere!”
Siamo i genitori di Giulia, una ragazza di 20 anni bulimica. Abbiamo saputo solo da poco tempo che nostra figlia mangia e vomita da ben sei anni. Ce l’ha confessato lei dopo l’ennesimo litigio: cosa volete capire voi di me. Voi, che non avete neanche capito che vomito tutti i giorni, da anni, ogni colazione pranzo e cena? Questa notizia ci ha lasciato sconvolti, impietriti, spiazzati. Ci è caduta addosso come un macigno. ()Come potevamo sapere che nascondesse un segreto così terribile?! Sentiamo di avere bisogno di qualcuno per aiutare Giulia, anche perché non vuole saperne di uscire dal tunnel in cui è rimasta imprigionata ()”
Da Lettere a Fabiola” (Fabiola De Clercq, Presidente dellABA, Associazione Bulimia Anoressia)
LA CASSAZIONE ha deciso che l’anoressia è una malattia invalidante e quindi chi ne è afflitto ha diritto a una pensione. A esser cattivi verrebbe da dire che basta dimagrire per garantirsi un futuro. Ma non è così. E a dircelo sono i numeri. Ne soffrono ottantamila italiane, e 60mila sono invece in condizioni di bulimia che è solo il rovescio della medaglia. Di queste solo il 10% chiede aiuto, ma in un modo così ambivalente e a uno stadio ormai così avanzato che l’aiuto può far davvero poco.
Nel frattempo sopraggiungono problemi gravi che, oltre alle condizioni del corpo, compromettono la vita quotidiana, le possibilità di studio e di lavoro, lo sguardo angosciato sulla vita. I primi segnali, che un tempo si manifestavano nella pubertà (accreditando l’ipotesi psicoanalitica del rifiuto a diventar donne mature per via di un conflitto con la madre), si modificano sempre più verso il basso in età decisamente pre-puberale, o verso l’alto a 30-35 anni in piena età matura.
Questi dati ci dicono che l’ipotesi psicoanalitica, buona per le anoressie di un tempo, oggi non tiene più, o per lo meno da sola non basta. A essa va affiancata l’ipotesi sociologica che, dal sistema della moda alla pubblicità, addita nell’anoressia il modello di esser donna. Se poi consideriamo che l’anoressia colpisce solo le ragazze dell’opulento Occidente ed è sconosciuta nel Terzo e Quarto Mondo, allora, senza vedere in questo una nemesi, non possiamo pensare che questa malattia e tutto quel background che le fa da sfondo (diete, palestre, footing, ginnastiche) sia una denuncia inespressa che il nostro modo di sovrabbondare in cibo e opulenza nasconda tra le sue pieghe il segreto della malattia, come denuncia di quel malessere di cui l’anoressia si fa testimone? Il vuoto d’anima non si riempie con il cibo.
Abbiamo perso la cultura dell’anima e abbiamo inflitto al corpo quelle che erano le sue penitenze. Non più esercizi spirituali, ma esercizi corporei, in quella sfida con la morte che è il tema generale di ogni esistenza anche di quelle che riescono a trasformare un pezzo di pane in un dannoso concentrato di zuccheri e una goccia d’olio in un irrecuperabile accumulo di grassi. I trenta chili sono il loro sogno, il “no, grazie” a ogni offerta di cibo il loro vanto. A ciò aggiungono quattro ore di corsa per perdere chili e una decina di tazzine di caffè per sostenersi almeno a livello di nervi.
Le loro labbra non si aprono più né per una forchettata di verdura, né per una parola di spiegazione. ()
Certo, se tutti viviamo come normalmente si vive, e moriamo come normalmente si muore, conducendo la nostra esistenza come puro transito di un quantitativo biologico, che cosa possiamo dire a quanti per un attimo, per una stagione, o anche per un’intera e breve vita non trovano senso se non a quel confine dove la vita è sempre più in gioco con la morte, per evitare che la vita stessa diventi opaca, quotidiana, devitalizzata, essa stessa morte.()
Se diamo credito all’inconscio collettivo vien da pensare che, al di là delle nostre riflessioni, sia il nostro corpo (nella forma della anoressia o della bulimia che sono poi la stessa cosa) a diventare “sintomo” per dirci che produrre per consumare e consumare per produrre (metafora della fisiologia del nostro corpo) non è forse l’ideale più alto della vita, o per lo meno qualcosa che giustifichi il senso del nostro esistere.
E allora l’anoressia non è solo una malattia da soccorrere con una pensione, che resta comunque benvenuta, ma è soprattutto un richiamo allo stile di vita di noi occidentali che più non sappiamo come riempire la minaccia sempre incombente di un vuoto di senso se non annegando l’angoscia nel cibo, nello shopping compulsivo, nella sovrabbondanza nauseante della disponibilità delle cose.”
(da Umberto Galimberti, Una pensione per l’anoressia, La Repubblica, 10/05/02)