Arbor victorïosa trumphale,
onor d’imperadori et di poeti,
quanti m’ài fatto dí dogliosi et lieti
in questa breve mia vita mortale!
vera donna, et a cui di nulla cale,
se non d’onor, che sovr’ogni altra mieti,
né d’Amor visco temi, o lacci o reti,
né ‘ngano altrui contr’al tuo senno vale.
Gentileza di sangue, et l’altre care
cose tra noi, perle et robini et oro,
quasi vil soma egualmente dispregi.
L’alta beltà ch’al mondo non à pare
noia t’è, se non quanto il bel thesoro
di castità par ch’ella adorni et fregi.
Con il sonetto 263 si chiude la prima sezione del Canzoniere; nella sezione seconda o in morte appaiono però segni di una presenza ancora viva della donna amata. Il 263 prelude al grande testo 264, è un’esaltazione di Laura e ha funzione riepilogativa, una sorta di sintesi dell’esperienza fin qui narrata. Esalta il rifiuto di Laura per il suo amore, come si vede dall’Incipit, Laura è il lauro segno dei trionfi degli imperatori e dei poeti, si addensa qui la riflessione sull’amore e sulla gloria. Anche qui si insiste sulla fuga temporis, la fugacità delle cose terrene e non è necessario che si apra un aldilà in cui il poeta aspiri a giungere. Nella seconda quartina il poeta riporta Laura nella dimensione umana di vera donna ovvero signora; ella è preoccupata del suo onore e non teme di essere invischiata nell’amore. Laura sembra spregiare ciò che agli altri è caro, oro nobiltà e la sua stessa bellezza, se non nella misura in cui essa esalta il tesoro della sua castità. La parte in vita del Canzoniere è la risposta al no di Laura tetragona all’amore del poeta; la seconda parte riguarda specialmente la morte di Laura.