La poesia impegnata di Parini: il disagio di un autorevole moderato
28 Dicembre 2019Il teatro veneziano e la commedia dell’arte
28 Dicembre 2019Giuseppe Parino, che cambierà in seguito il suo cognome in Parini, nacque in Brianza, a Bosisio (in provincia di Lecco), presso il lago di Pusiano da Francesco Maria Parino, modesto commerciante di seta, e da Angiola Maria Carpani, sorella del curato di un paese vicino, il 23 maggio 1729.
Quella del poeta era una famiglia di estrazione popolare e numerosa, il padre non potendo permettersi di mantenere il figlio agli studi lo affidò, a dieci anni, alle cure di una prozia che abitava a Milano; qui Giuseppe venne iscritto alle classi inferiori delle Scuole di Sant’Alessandro, o Scuole Arcimbolde, gestite dai padri barnabiti.
Nel 1741 la prozia lasciò in eredità al nipote dodicenne una modesta rendita annua in beni immobiliari, a condizione che divenisse sacerdote.
La giovinezza
Il giovane, che era debole di salute e desiderava continuare gli studi, si avviò suo malgrado al sacerdozio (prenderà i voti nel 1754) e proseguì gli studi senza grande profitto, come risulta dai registri della scuola.
Gli scarsi risultati agli studi sono da ricondurre alle difficoltà economiche ( per aiutare i genitori, che nel frattempo erano venuti ad abitare a Milano, il giovane fu costretto a dare lezioni private e a copiare carte per vari studi legali) ma soprattutto a una spiccata insofferenza verso i metodi rigidi e antiquati dell’insegnamento.
Degli anni trascorsi in quella scuola conservatrice anche se prestigiosa, della quale furono allievi anche Pietro Verri e Cesare Beccaria, al poeta rimasero più che altro le letture personali dei classici greco-latini, come Anacreonte, Virgilio, Orazio e quella degli scrittori italiani, Dante, Ariosto oltre ai poeti del settecento.
La prima raccolta di poesie
Terminate le scuole nel 1752, grazie ad una maggiore, anche se modesta, sicurezza economica dovuta alla rendita della prozia (che aveva ottenuto nel 1751 in seguito ad una causa con l’esecutore testamentario, Antonio Rigola), il giovane pubblicò una prima raccolta di rime, dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino (Ripano è l’anagramma di Parino, Eupili è il nome latino del lago di Pusiano: Parino da Eupili) sotto forma di novantaquattro componimenti di carattere sacro, profano, amoroso, pastorale e satirico, che risentono della sua prima formazione culturale e soprattutto dello spirito bernesco.
Da questi versi semplici e non encomiastici, si riscontra l’immagine di un giovane ancora socialmente e intellettualmente isolato, che non conosce i dibattiti dell’ambiente lombardo, ma che è ancora rivolto all’ambito dell’Arcadia e del classicismo cinquecentesco.
Accademia dei Trasformati
Grazie però ad una certa fama acquisita con questa raccolta, il Parini venne accolto nel 1753 nell’Accademia dei Trasformati che si radunava in casa del conte Giuseppe Maria Imbonati ed era formata dal meglio dei rappresentanti della cultura milanese, dove troverà amici e protettori.
Dopo aver ottenuto a Lodi i voti sacerdotali, il 14 giugno del 1754, fu ordinato sacerdote ma le risorse economiche piuttosto scarse per farlo vivere in modo dignitoso, lo costrinsero ad accettare l’aiuto dell’abate Soresi che lo sosterrà nell’entrare al servizio del duca Gabrio Serbelloni come precettore dei suoi quattro figli.
Precettore di casa Serbelloni 54-62
Il servizio a casa Serbelloni durò dal 1754 fino al 1762 e, pur non dandogli la sicurezza economica, lo mise a contatto con persone di elevata condizione sociale e di idee aperte, a partire dalla contessa Vittoria, al padre Soresi, al medico di casa, Giuseppe Cicognini (in seguito direttore della facoltà di medicina di Milano).
Intanto in casa Serbelloni il Parini osservò la vita della nobiltà in tutti i suoi aspetti ed ebbe modo di assorbire e rielaborare alcune nuove idee che arrivavano dalla Francia di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac e dell’Encyclopédie, che influenzarono gli scritti di questo periodo al quale risale, tra gli altri, il Dialogo sopra la nobiltà (1757), le odi La vita rustica, La salubrità dell’aria (1759) e La impostura (1761).
Sempre in questo periodo scrisse, per i Trasformati, una polemica letteraria contro i Pregiudizi delle umane lettere (1756) del padre Alessandro Bandiera con il titolo Due lettere intorno al libro intitolato “I pregiudizi delle umane lettere” e nel 1760 una nuova polemica letteraria contro i “Dialoghi della lingua toscana” del padre barnabita Onofrio Branda.
Nell’ottobre del 1762, per aver difeso la figlia del compositore e maestro di musica Giovanni Battista Sammartini che era stata schiaffeggiata dalla duchessa in uno scatto d’ira, fu licenziato e, abbandonata casa Serbelloni, venne presto accolto dagli Imbonati come precettore del giovane Carlo al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l’ode La educazione.
La protezione di Carlo Giuseppe Firmian
Nel marzo del 1763, incoraggiato dagli amici del gruppo dell’accademia e da conte Firmian pubblicò, anonimo, presso lo stampatore milanese Agnelli, il Mattino che otterrà accoglienza favorevole dalla critica e soprattutto dal Baretti che, nel primo numero della rivista La frusta letteraria, uscito il 1° ottobre del 1763, dedicava una critica positiva all’opera.
Nel 1765 uscirà, ancora anonimo, il secondo poemetto il Mezzogiorno che, tranne il giudizio negativo di Pietro Verri sul “Caffè”, otteneva da altre testate accoglienza positiva.
I due poemetti, con la satira della nobiltà decaduta e corrotta richiamarono l’attenzione sul Parini e nel 1766 il ministro Du Tillot lo chiamò per ricoprire la cattedra di eloquenza presso l’università di Parma, cattedra che egli rifiutò nella speranza di poter ottenere una cattedra a Milano.
Nel 1768 la fama acquisita gli procurò la protezione del governo di Maria Teresa che era rappresentato in Lombardia dal conte Carlo Giuseppe de Firmian che, intuendo le sue potenzialità poetiche, lo nominò nel 1768 poeta ufficiale del Regio Ducale Teatro e venne incaricato di adattare per la scena lirica la tragedia Alceste di Ranieri de’ Calzabigi.
Nello stesso anno il conte gli affidò la direzione della “Gazzetta di Milano”, organo ufficiale del governo austriaco, e nel 1769 la cattedra di eloquenza e belle arti presso le Scuole Palatine.
Tra il 1770 e il 1771 Parini scrisse il testo delle opere teatrali l’Amorosa incostanza e l’Iside salvata, in occasione di due cerimonie di corte, e l’opera pastorale Ascanio in Alba per le nozze dell’arciduca Ferdinando d’Austria con Maria Beatrice d’Este, che verrà successivamente musicata da Mozart (opera K111)
Le traduzioni dal francese
Tradusse dal francese la tragedia “Mitridate re del Ponto” (Mithridate nell’originale) di Racine, che Mozart aveva musicato precedentemente – sulla base del libretto ricavato da Vittorio Amadeo Cigna-Santi – ricavandone l’opera omonima K87 rappresentata per la prima (e forse unica) volta sempre a Milano il 26 dicembre 1770.
Nel 1771 tradusse, in collaborazione con alcuni “Accademici trasformati«, tra cui il Verri, una parte del poemetto “La Colombiade” pubblicato da Anne Marie Du Boccage.
La partecipazione alla riforma scolastica
Nel 1774 fece parte di una commissione istituita per proporre un piano di riforma delle scuole inferiori e dei libri di testo e intanto si dedica alla composizione de Il Giorno e delle Odi.
Membro della società patriottica
Nel 1776 gli venne attribuita una pensione annua dal papa Pio VI e fu nominato ordinario della Società patriottica istituita da Maria Teresa per l’incremento dell’agricoltura.
La composizione delle Odi
Con il nome di Darisbo Elidonio entrò nel 1777 a far parte dell’Arcadia di Roma proseguendo intanto nella composizione delle odi: La laurea (1777), Le nozze (1777), Brindisi (1778), La caduta, In morte del maestro Sacchini, Al consigliere barone De Marini (1783-1784), Il pericolo (1787), La magistratura (1788), Il dono (1789).
Nel 1791 il Parini venne nominato Soprintendente delle Scuole pubbliche di Brera e scrisse l’ode La gratitudine.
Nello stesso anno vennero pubblicate ventidue delle sue odi con il titolo Odi dell’abate Parini già divolgate.
Le ultime due parti del “Giorno“, il Vespro e la Notte, pur risultando promesse in una lettera al Boldoni, saranno invece pubblicate postume.
Gli ultimi anni di vita
Tra il 1793 e il 1796 ospite del suo amico marchese Febo D’Adda scrisse altre odi (Il messaggio, A Silvia, Alla Musa, la Musica, L’evirazione) e quando i francesi di Bonaparte occuparono Milano entrò a far parte della Municipalità per tre mesi, rappresentando, insieme al Verri, la tendenza più moderata. Presto egli smise di partecipare alle assemblee della Municipalità e poco dopo venne destituito dalla carica.
Come appare nel frammento dell’ode A Delia, scritta tra il 1798 e il 1799, il poeta è avverso alla guerra e alla violenza e rifiuta la richiesta di una “ragguardevole donna” che voleva da lui un’esaltazione poetica delle vittorie francesi perché non poteva cantare “i tristi eroi” e “la terra lorda/ di gransangue plebeo”.
La morte
Il poeta si spense nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799, a pochi mesi di distanza dal ritorno degli Austriaci a Milano.
Venne sepolto a Milano nel cimitero di Porta Comasina con funerali molto semplici come egli stesso aveva voluto nel suo testamento:
“Voglio, ordino e comando che le spese funebri mi siano fatte nel più semplice e mero necessario, ed all’uso che si costuma per il più infimo dei cittadini”.
Prima di morire dettò il famoso sonetto Predàro i filistei l’arca di Dio , suo testamento spirituale
Predàro i Filistei l’arca di Dio;
tacquero i canti e l’arpe de’ leviti,
e il sacerdote innanzi a Dagon rio
fu costretto a celar gli antiqui riti.
Al fin di terebinto in sul pendio
Davidde vinse; e stimolò gli arditi
e il popol sorse; e gli empi al suol natio
de’ dell’orgoglio loro andar pentiti.
Or Dio lodiamo. Il tabernacol santo
e l’arca è salva; e si dispone il tempio
che di Gerusalem fia gloria e vanto.
Ma splendan la giustizia e il retto esempio;
tal che Israel non torni a novo pianto,
a novella rapina, a novo scempio.