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28 Dicembre 2019Il Canto XXVI dell’Inferno di Dante Alighieri, noto anche come il canto di Ulisse si chiude con il racconto che l’eroe greco fa delle ultime vicissitudini della sua avventurosa vita.
Si tratta di un episodio famosissimo e ricco di significato, che vede Dante incontrare l’eroe greco Ulisse tra i dannati, condannato per il peccato di froda in una delle bolge dell’ottavo cerchio, ma ancora fiero della sua sete di “canoscenza”, che lo ha spinto a navigare oltre i limiti umani.
Parafrasi verso per verso, XXVI, 79-142
“O voi che siete due dentro ad un foco,”
Dante si rivolge a due anime dannate, intrappolate all’interno di una fiamma, come era usanza nella bolgia dei consiglieri fraudolenti.
“s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,”
Dante chiede, appellandosi ai suoi meriti letterari, che uno dei due parli.
“s’io meritai di voi assai o poco”
Se egli ha guadagnato anche il minimo merito nei confronti di queste due anime mentre era ancora vivo,
“quando nel mondo li alti versi scrissi,”
ovvero quando scrisse i suoi poemi celebri,
“non vi movete; ma l’un di voi dica”
chiede che uno di loro parli e racconti la propria storia.
“dove, per lui, perduto a morir gissi”.
Vuole sapere dove uno di loro è morto, in particolare Ulisse.
“Lo maggior corno de la fiamma antica”
La parte più grande della fiamma comincia a muoversi,
“cominciò a crollarsi mormorando,”
e fa un rumore come se fosse agitata dal vento.
“pur come quella cui vento affatica;”
come una fiamma battuta dal vento.
“indi la cima qua e là menando,”
La cima della fiamma ondeggia da una parte all’altra,
“come fosse la lingua che parlasse,”
come se fosse una lingua pronta a parlare.
“gittò voce di fuori e disse: Quando”
Dalla fiamma esce una voce, quella di Ulisse, che comincia a raccontare.
“mi diparti’ da Circe, che sottrasse”
Ulisse inizia la sua narrazione ricordando il momento in cui si allontanò da Circe,
“me più d’un anno là presso a Gaeta,”
la maga che lo trattenne per più di un anno presso Gaeta.
“prima che sì Enëa la nomasse,”
Prima che il luogo fosse chiamato Gaeta da Enea.
“né dolcezza di figlio, né la pieta”
Ulisse ammette che né l’amore per il figlio Telemaco,
“del vecchio padre, né ’l debito amore”
né la pietà verso il vecchio padre Laerte,
“lo qual dovea Penelopè far lieta,”
né l’amore per la moglie Penelope,
“vincer potero dentro a me l’ardore”
riuscirono a superare il desiderio di conoscenza che aveva dentro.
“ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto”
Un desiderio ardente di esplorare il mondo e conoscerne i segreti.
“e de li vizi umani e del valore;”
Desiderava comprendere sia i vizi che le virtù umane.
“ma misi me per l’alto mare aperto”
E così si avventurò di nuovo per mare,
“sol con un legno e con quella compagna”
solo con una piccola nave e pochi compagni fedeli.
“picciola da la qual non fui diserto.”
Quella piccola compagnia che non lo abbandonò mai.
“L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,”
Ulisse e i suoi compagni esplorarono le coste della Spagna,
“fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,”
del Marocco e delle isole sarde.
“e l’altre che quel mare intorno bagna.”
E altre terre che circondano il Mediterraneo.
“Io e’ compagni eravam vecchi e tardi”
Ulisse ricorda che lui e i suoi compagni erano ormai vecchi e stanchi,
“quando venimmo a quella foce stretta”
quando arrivarono allo stretto di Gibilterra.
“dov’Ercule segnò li suoi riguardi”
Dove Ercole pose il limite per i viaggi umani,
“acciò che l’uom più oltre non si metta;”
perché nessuno osasse andare oltre.
“da la man destra mi lasciai Sibilia,”
Lasciarono Siviglia alla loro destra,
“da l’altra già m’avea lasciata Setta.”
E Setta (Ceuta) alla loro sinistra.
“O frati,” dissi, “che per cento milia”
Ulisse si rivolse ai suoi compagni con un discorso epico:
“perigli siete giunti a l’occidente,”
“Dopo tutti i pericoli che abbiamo superato fino all’occidente,
“a questa tanto picciola vigilia”
in questa ultima e breve fase della nostra vita,
“d’i nostri sensi ch’è del rimanente”
quella che ci resta prima della morte,
“non vogliate negar l’esperïenza,”
non rinunciamo all’esperienza.
“di retro al sol, del mondo sanza gente.”
Andiamo oltre, dove il sole tramonta, in terre sconosciute.
“Considerate la vostra semenza:”
Ricordatevi di chi siete, della vostra origine:
“fatti non foste a viver come bruti,”
non siete stati creati per vivere come animali,
“ma per seguir virtute e canoscenza.”
ma per seguire la virtù e la conoscenza.”
“Li miei compagni fec’io sì aguti,”
Con queste parole, infiammai i cuori dei miei compagni,
“con questa orazion picciola, al cammino,”
che furono così spronati a continuare il viaggio,
“che a pena poscia li avrei ritenuti;”
che a fatica avrei potuto fermarli.
“e volta nostra poppa nel mattino,”
Girando la poppa della nave verso l’alba,
“de’ remi facemmo ali al folle volo,”
remammo come se le nostre braccia fossero ali per il folle volo.
“sempre acquistando dal lato mancino.”
Dirigendoci sempre più a sinistra.
“Tutte le stelle già de l’altro polo”
Vidi tutte le stelle dell’altro emisfero,
“vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,”
mentre il nostro emisfero si abbassava.
“che non surgëa fuor del marin suolo.”
Così basso che l’orizzonte marino era tutto ciò che vedevamo.
“Cinque volte racceso e tante casso”
Cinque volte la Luna era rinata e altrettante tramontata,
“lo lume era di sotto da la luna,”
mentre eravamo in mare aperto.
“poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,”
Da quando eravamo entrati nel vasto oceano,
“quando n’apparve una montagna, bruna”
quando ci apparve una montagna scura all’orizzonte.
“per la distanza, e parvemi alta tanto”
Era alta quanto nessuna altra che avessi mai visto.
“quanto veduta non avëa alcuna.”
Mai avevo visto nulla di simile.
“Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;”
Ci rallegrammo, ma subito il nostro giubilo si trasformò in disperazione,
“ché de la nova terra un turbo nacque”
perché dalla nuova terra si sollevò un turbine,
“e percosse del legno il primo canto.”
che colpì la parte anteriore della nave.
“Tre volte il fé girar con tutte l’acque;”
Tre volte la nave girò su se stessa,
“a la quarta levar la poppa in suso”
e alla quarta la poppa si alzò in alto,
“e la prora ire in giù, com’altrui piacque,”
e la prua si inabissò, come volle il destino.
“infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.”
E infine il mare si richiuse su di noi, ponendo fine al nostro viaggio.
Solo testo dei versi 79-142 del ventiseiesimo canto dell’Inferno
“O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco 81
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi”. 84
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica; 87
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: “Quando 90
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse, 93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta, 96
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore; 99
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. 102
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna. 105
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi 108
acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111
“O frati, ” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza“. 120
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 126
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo. 129
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo, 132
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna. 135
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto. 138
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”.