Le ferree leggi del mondo nella narrativa verghiana
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28 Dicembre 2019Il Somnium Scipionis è un passo conclusivo del De re publica di Cicerone, in cui viene narrato un sogno visionario del giovane Publio Cornelio Scipione Emiliano, nipote adottivo di Scipione l’Africano.
In questa visione, Scipione incontra il suo bisnonno, Scipione Africano, e Lucio Emilio Paolo, suo padre, che gli rivelano la vera natura dell’anima, il destino ultraterreno e la visione cosmica dell’universo. Il sogno, impregnato di filosofia stoica e platonica, offre una meditazione sulla vita, la morte e il ruolo dell’uomo nell’ordine divino.
Analisi e Commento
Il brano in esame rivela temi centrali della filosofia ciceroniana, combinando idee stoiche e platoniche in un contesto romano. Vediamo un confronto tra la vita terrena e la vita ultraterrena, che si fonda su una netta contrapposizione: ciò che gli uomini chiamano vita è, in realtà, una forma di prigionia, mentre la vera vita è quella degli spiriti liberi, sciolti dalle catene del corpo.
Vita e Morte: Una Prospettiva Filosofica Scipione Africano spiega che la vera vita inizia solo quando l’anima viene liberata dal corpo, descrivendo la vita terrena come una sorta di “carcere”. Questa visione è chiaramente influenzata dalla dottrina platonica dell’anima prigioniera del corpo. Cicerone, per tramite di Africano, sembra suggerire che la morte non sia un evento tragico, ma una transizione necessaria per liberarsi dalle sofferenze materiali e accedere alla vita eterna. Tuttavia, non si tratta di un atto volontario: l’anima non deve cercare la liberazione prima del tempo, come chiarito dalla risposta di Paolo, il padre di Scipione, che vieta al figlio di abbandonare prematuramente il suo compito terreno.
La Visione Stoica del Dovere e dell’Ordine Universale La risposta di Paolo riflette una concezione profondamente stoica del dovere. Gli uomini sono stati creati per uno scopo preciso, per custodire la terra, che qui viene definita come “quel globo che vedi al centro del tempio”, ossia il fulcro dell’universo, secondo una visione geocentrica. Il paragone del corpo come “custodia” indica che l’anima è temporaneamente vincolata a un ruolo terrestre, e non può sfuggirvi senza il consenso divino. Questo riferimento al “tempio” e all’ordine divino richiama il concetto stoico di kosmos, un universo ordinato e retto da una mente divina, in cui ogni elemento svolge il proprio compito.
La Natura Divina dell’Anima Un altro elemento essenziale è la descrizione dell’anima umana come un frammento del fuoco eterno che anima le stelle, un concetto che riecheggia il pensiero platonico e stoico. Le anime, come gli astri, partecipano della stessa essenza divina, animano il corpo e, dopo la morte, tornano al mondo celeste. Questa visione dell’anima come partecipe di una sostanza divina eleva l’uomo a una dimensione cosmica, rendendolo non solo soggetto passivo delle leggi universali, ma anche elemento attivo e connesso al ciclo cosmico.
L’importanza del Comando Divino Infine, il monito a non abbandonare la vita prima che il dio lo permetta si collega alla concezione stoica dell’ordine naturale: la vita è un dovere affidato da Dio, e abbandonarlo significherebbe sottrarsi a un incarico sacro. Ciò può essere letto anche come una condanna implicita del suicidio, un atto che nell’etica stoica è ammissibile solo in circostanze eccezionali, e solo quando conforme al volere divino.
Conclusione
Il Somnium Scipionis si presenta come un’opera di straordinaria complessità filosofica, che unisce etica, cosmologia e teologia. Cicerone utilizza la figura venerata di Scipione Africano per trasmettere messaggi profondamente radicati nella tradizione stoica e platonica: la vita terrena come dovere, l’anima come parte del cosmo divino, e la morte come liberazione spirituale. Il ruolo dell’uomo è quello di rispettare il proprio compito fino a che la volontà divina non sancisca la fine del suo percorso terreno.
Testo e Traduzione
Testo di Cicerone [14]. Hic ego etsi eram perterritus non tam mortis metu quam insidiarum a meis, quaesivi tamen viveretne ipse et Paulus pater et alii quos nos extinctos arbitraremur. “Immo vero”, inquit, “hi vivunt qui e corporum vinculis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero quae dicitur vita mors est. Quin tu aspicis ad te venientem Paulum patrem?”. Quem ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ille autem me complexus atque osculans flere prohibebat. [15]. Atque ego ut primum fletu represso loqui posse coepi, “Quaeso”, inquam, “pater sanctissime atque optume, quoniam haec est vita, ut Africbnum audio dicere, quid moror in terris? Quin huc ad vos venire propero?”. “Non est ita”, inquit ille. “Nisi enim cum deus is, cuius hoc templum est omne quod conspicis, istis te corporis custodiis liberaverit, huc tibi aditus patere non potest. Homines enim sunt hac lege generati, qui tuerentur illum globum, quem in hoc templo medium vides, quae terra dicitur, iisque animus datus est ex illis sempiternis ignibus quae sidera et stellas vocatis, quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus, circulos suos orbesque conficiunt celeritate mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus retinendus animus est in custodib corporis, nec iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex hominum vita migrandum est, ne munus humanum adsignatum a deo defugisse videamini. |
Traduzione in italiano:
[14]. Sebbene fossi terrorizzato, non tanto per paura della morte quanto per il timore di un complotto da parte dei miei, chiesi comunque se lui stesso fosse vivo, e se lo fosse anche mio padre Paolo e altri che pensavamo fossero defunti. “Anzi”, disse lui, “vivono davvero coloro che, come liberati dalle catene del corpo, sono volati via come da una prigione. La vostra, che chiamate vita, è in realtà morte. Non vedi forse che tuo padre Paolo si sta avvicinando a te?”. E quando lo vidi, versai davvero copiose lacrime, ma lui, abbracciandomi e baciandomi, mi impedì di piangere. [15]. E quando, calmando il pianto, riuscii finalmente a parlare, dissi: “Ti prego, padre santissimo e ottimo, poiché questa è la vera vita, come sento dire da Africano, perché mai dovrei restare ancora sulla terra? Perché non mi affretto a venire qui con voi?”. “Non è così”, disse lui. “Infatti, fino a quando il dio, a cui appartiene questo tempio che vedi tutto intorno, non ti avrà liberato da queste custodie corporee, non potrai accedere a questo luogo. Gli uomini, infatti, sono stati generati con questa legge, affinché custodissero quel globo che vedi al centro di questo tempio, chiamato terra, e a loro è stata data un’anima tratta da quei fuochi eterni che voi chiamate stelle e pianeti, sfere animate da intelletti divini, che percorrono i loro cerchi e orbite con incredibile velocità. Perciò, Publio, sia tu che tutti i giusti dovete trattenere l’anima nel corpo, e non dovete abbandonare la vita umana senza il comando di colui che ve l’ha data, affinché non sembriate aver abbandonato il compito umano affidatovi da Dio”. |