Lettura e commento di due poesie di Leopardi: La quiete dopo la tempesta e Il saba…
2 Agosto 2019La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi
2 Agosto 2019In questa poesia Leopardi evidenzia il contrasto tra la gioia e il dolore, suggerendo che non esiste piacere, una felicità illimitata.
La gioia è spesso percepita come qualcosa di fugace, mentre il dolore è più costante e profondo.
- La tempesta rappresenta il dolore e il tumulto della vita. Simboleggia le difficoltà e le sofferenze che tutti devono affrontare.
- La quiete che segue rappresenta la gioia e la serenità. Dopo il tumulto, c’è un momento di pace che è apprezzato di più proprio per il confronto con la tempesta.
Riflessione sulla condizione umana
Leopardi utilizza la tempesta e la quiete per riflettere sulla condizione esistenziale dell’uomo.
- La vita è caratterizzata da un’alternanza di gioie e dolori, e il poeta invita a riflettere su come questi elementi si intrecciano. La tempesta non è solo un evento naturale, ma diventa una metafora delle esperienze umane.
- La ricerca di serenità è un tema centrale nella poetica leopardiana; la quiete è un momento prezioso che emerge dopo il conflitto, ma non è mai garantita, mostrando la precarietà della felicità umana.
- Nella prima strofa de “La quiete dopo la tempesta”, la gioia del villaggio deriva dal sollievo che segue la fine della tempesta. La popolazione prova un senso di benessere e tranquillità perché il pericolo e il disordine provocati dal temporale sono cessati. Gli abitanti possono tornare alle loro attività quotidiane, e la natura stessa si riprende, con gli animali che riprendono a cantare e il paesaggio che torna sereno. Questa gioia, tuttavia, non è legata a un piacere autentico, ma nasce piuttosto dalla fine di una condizione di sofferenza e paura. In altre parole, la felicità del villaggio deriva dalla consapevolezza che il peggio è passato, più che da una vera condizione di benessere. È una gioia effimera, una tregua temporanea dalla sofferenza.
- Leopardi afferma che la felicità è una realtà illusoria perché, secondo la sua visione filosofica, l’essere umano non sperimenta mai una felicità autentica e duratura. Per lui, la felicità è un concetto irraggiungibile: ciò che gli uomini percepiscono come felicità è in realtà solo un breve sollievo dalla sofferenza o dalla mancanza.
Nel caso de “La quiete dopo la tempesta”, ad esempio, la gioia che gli abitanti del villaggio provano non è una vera felicità, ma la sensazione di benessere temporaneo causata dalla fine di un momento di pericolo e disagio (la tempesta). In altre parole, l’uomo non gode di un piacere vero, ma solo della cessazione di un male. Questo significa che la felicità è sempre transitoria e subordinata alla sofferenza. Leopardi sottolinea che la condizione umana è intrinsecamente caratterizzata da dolore e privazione, e che i momenti di gioia sono solo brevi pause tra periodi di sofferenza.
In sintesi, Leopardi vede la felicità come un’illusione perché non esiste come uno stato permanente o completo; è solo l’assenza momentanea del dolore, e dunque l’uomo è condannato a vivere in una costante alternanza tra sofferenza e brevi illusioni di sollievo.
La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villaggio
La quiete dopo la tempesta
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;5
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato. 10
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova; 15
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,20
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core. 25
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende? 30
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte35
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese 40
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena45
E’diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana 50
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.
Il sabato del villaggio
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole, 5
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella, 10
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei15
Ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Giù da’ colli e da’ tetti,
Al biancheggiar della recente l’una. 20
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando25
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore, 30
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia 35
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s’affretta, e s’adopra
Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia: 40
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita 45
E’come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.50
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
Giacomo Leopardi – Canti (1917) XXV