Smarrimento primo canto Inferno
28 Dicembre 2019Per Vincenzo Caldesi di Giosue’ Carducci
28 Dicembre 2019La Rima petrosa di Dante, “Così nel mio parlar vogli’ esser aspro”, rappresenta una delle più complesse e violente espressioni del conflitto amoroso che il poeta vive.
In questo componimento, Dante non descrive l’amore cortese e ideale, ma un amore tormentato, crudele e inaccessibile. La figura della “petra”, ossia della donna amata, è implacabile e insensibile, una vera e propria nemica del poeta. I versi da 16 a 83 sono caratterizzati da immagini di sofferenza, violenza e desiderio di vendetta, con un linguaggio che alterna la disperazione a toni quasi sadici.
Analisi dettagliata
Versi 16-25
La mente di Dante è paragonata a un fiore che si trova sotto il controllo della donna, proprio come il fiore dipende dalla fronda. Questa immagine evoca la totale dipendenza del poeta dall’amore per questa donna, che, tuttavia, sembra priva di considerazione per la sua sofferenza (“cotanto del mio mal par che si prezzi” v. 18). Dante la paragona a una nave che, in un mare senza onde, non riesce a salpare: un’immagine che esprime la sua impotenza e la sua immobilità. Il peso che grava sul poeta è tale che nemmeno la poesia può adeguatamente esprimerlo (v. 20). Questo dolore è assimilato a una “lima” che, lentamente e in modo quasi impercettibile, consuma la sua vita. L’uso di questo strumento metallico suggerisce la natura fredda e inesorabile della sofferenza amorosa.
Parafrasi:
Perché, come il fiore dipende dalla fronda, così la mia mente è sotto il dominio di questa donna. Lei sembra tanto indifferente al mio dolore quanto una nave che non riesce a muoversi in un mare senza onde; il peso che mi schiaccia è così grande che nessuna rima potrebbe adeguatamente esprimerlo. Ahimè, angosciante lima che sordamente consuma la mia vita, perché non ti fermi dal rosicchiarmi il cuore, come io mi fermo dal rivelare chi ti dà la forza di farlo?
Versi 26-35
Dante esprime il terrore di rivelare il suo amore per la donna a causa della paura di essere scoperto dagli altri. Egli preferirebbe affrontare la morte piuttosto che esporsi al giudizio altrui, poiché il suo pensiero è ormai completamente divorato da Amore. Qui, Amore è descritto come un’entità che lo consuma internamente, proprio come i “denti d’Amor” che “manducano” i suoi sensi (v. 31), sottolineando la fisicità della sofferenza amorosa.
Parafrasi:
Tremo di paura quando penso che qualcun altro possa scoprire i miei pensieri su di lei, tanto che preferirei la morte piuttosto che far sì che ciò accada. Il mio pensiero è completamente divorato da Amore, che consuma i miei sensi come se fossero stati morsi dai suoi denti; questo indebolisce la mia capacità di agire e pensare.
Versi 36-50
Amore è rappresentato come un guerriero spietato, che schiaccia Dante a terra e lo minaccia con la spada, la stessa con cui uccise Didone (verso 37, un richiamo all’episodio dell’Eneide di Virgilio, dove Didone si uccide per amore di Enea). Dante supplica Amore di concedergli misericordia, ma non ottiene nulla se non rifiuti. L’immagine di Dante disteso a terra, privo di forze, sottolinea la totale sottomissione del poeta al potere di Amore, che non mostra alcuna pietà.
Parafrasi:
Amore mi ha atterrato e mi sta sopra con la spada con cui ha ucciso Didone; io gli chiedo pietà e lo prego umilmente, ma lui sembra negarmi ogni misericordia. Ogni tanto alza la mano, sfidando la mia debole vita, e mi tiene steso a terra, esausto e privo di forze.
Versi 51-65
Qui la sofferenza di Dante si intensifica, al punto che egli immagina che la morte sia imminente. La ferita d’amore è così forte che il poeta teme che un altro colpo lo possa uccidere. Dante si rivolge direttamente ad Amore, desiderando che la stessa crudele sofferenza che egli patisce sia inflitta alla donna amata, come vendetta. C’è un cambio di tono: Dante ora desidera vendicarsi e infliggere a sua volta dolore, immaginando di afferrare i capelli dorati della donna e di sottometterla.
Parafrasi:
Se Amore dovesse alzare di nuovo la mano per colpirmi, la morte mi prenderebbe prima che il colpo raggiunga il suo obiettivo. Così vorrei vedere Amore trafiggere il cuore di quella crudele donna che mi tormenta! Se succedesse, la morte non sarebbe più nera per me, perché mi vendicherei dei suoi insulti e sofferenze.
Versi 66-83
Dante immagina di prendere le trecce dorate della donna e di usarle per sferzarla, come fosse un orso che scherza con la sua preda. Il poeta non vorrebbe essere pietoso né cortese, ma desidera infliggerle una punizione fisica. Infine, Dante guarda fisso negli occhi della donna, da cui escono scintille che infiammano il suo cuore, e desidera vendicarsi per tutte le volte che lei lo ha evitato. Tuttavia, conclude con una nota contraddittoria: dopo la vendetta, restituirebbe pace e amore alla donna.
Parafrasi:
Se potessi afferrare quelle belle trecce, che per me sono come una frusta, passerei con esse il tempo fino al tramonto, e non sarei né pietoso né cortese: piuttosto, agirei come un orso che gioca con la sua preda. E se Amore mi colpisse ancora, mi vendicherei di più di mille torti. Guarderei dritto negli occhi della donna che mi infiamma il cuore, per vendicarmi delle sue fughe, e dopo le restituirei pace e amore.
Commento
Questi versi esprimono in modo magistrale il tormento interiore di Dante, dominato da un amore non corrisposto che lo consuma fino a desiderare la morte. La violenza delle immagini e il tono drammatico sono in netto contrasto con l’amore cortese idealizzato. La figura femminile è qui distante, insensibile e crudele, quasi una personificazione della “pietra” (da cui il titolo della poesia). L’invocazione alla vendetta, la violenza immaginata verso la donna e l’associazione di Amore a un’entità distruttiva mostrano un Dante intrappolato tra la passione e il desiderio di liberarsi dal dolore. Nonostante la vendetta sognata, però, l’amore alla fine prevale: dopo la punizione, il poeta immagina di fare pace con la donna, dimostrando come anche la sua sofferenza più violenta sia inseparabile dal suo sentimento amoroso.
Testo dei versi 16-83 della poesia “Così nel mio parlar vogli’ esser aspro” di Dante
ché, come fior di fronda,
così de la mia mente tien la cima:
cotanto del mio mal par che si prezzi,
quanto legno di mar che non lieva onda;
e ’l peso che m’affonda 20
è tal che non potrebbe adequar rima.
Ahi angosciosa e dispietata lima
che sordamente la mia vita scemi,
perché non ti ritemi
sì di rodermi il core a scorza a scorza, 25
com’io di dire altrui chi ti dà forza?
Ché più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov’altri li occhi induca,
per tema non traluca
lo mio penser di fuor sì che si scopra, 30
ch’io non fo de la morte, che ogni senso
co li denti d’Amor già mi manduca;
ciò è che ’l pensier bruca
la lor vertù sì che n’allenta l’opra.
E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra 35
con quella spada ond’elli ancise Dido,
Amore, a cui io grido
merzé chiamando, e umilmente il priego;
ed el d’ogni merzé par messo al niego.
Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida 40
la debole mia vita, esto perverso,
che disteso a riverso
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco:
allor mi surgon ne la mente strida;
e ’l sangue, ch’è per le vene disperso, 45
fuggendo corre verso
lo cor, che ’l chiama; ond’io rimango bianco.
Elli mi fiede sotto il braccio manco
sì forte, che ’l dolor nel cor rimbalza:
allor dico: “S’elli alza 50
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
prima che ’l colpo sia disceso giuso”.
Così vedess’io lui fender per mezzo
lo core a la crudele che ’l mio squatra!
poi non mi sarebb’atra 55
la morte, ov’io per sua bellezza corro:
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo
questa scherana micidiale e latra.
Ohmè, perché non latra
per me, com’io per lei, nel caldo borro? 60
ché tosto griderei: “Io vi soccorro”.
e fare’l volentier, sì come quelli
che ne’ biondi capelli
ch’Amor per consumarmi increspa e dora
metterei mano, e piacere’le allora. 65
S’io avessi le belle trecce prese,
che fatte son per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza,
con esse passerei vespero e squille:
e non sarei pietoso né cortese, 70
anzi farei com’orso quando scherza;
e se Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso, 75
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face;
e poi le renderei con amor pace.
Canzon, vattene dritto a quella donna
che m’ha ferito il core e che m’invola 80
quello ond’io ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta;
ché bell’onor s’acquista in far vendetta.