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«Equipaggiato dei suoi cinque sensi, l’uomo esplora l’universo attorno a lui e chiama l’avventura Scienza.»
E probabilmente questa la frase che più di tutte ricalca la personalità di uno dei più importanti e fondamentali scienziati del secolo scorso: Edwin Powell Hubble.
Abbiamo a questo punto deciso di inserire, nel nostro lavoro, un breve approfondimento riguardante uno dei più grandi astronomi di sempre per osservare quanto l’astronomia ed il metodo per farla siano radicalmente cambiati dall’antichità ad oggi. In particolare si è deciso di parlare proprio di Hubble poiché a lui si deve la rivelazione che l’universo sia in espansione. E a nostro parere interessante notare la differenza di vedute tra gli astronomi dell’antichità, per i quali il cosmo si arrestava al Sistema Solare, e gli astronomi moderni in cui l’universo sarà pensato come idealmente infinito a partire dalle ricerche dello scienziato americano.
Pugile dilettante, Hubble decise dopo un promettente inizio di carriera di tornare alla passione di sempre, l’astronomia. L’importanza del lavoro effettuato da quest’ultimo è confermata dal fatto che il suo nome è spesso associato a quello di Albert Einstein. Il suo più grande successo fu la pubblicazione di una legge, nota col suo nome, che dimostrava l’esistenza dell’espansione dell’universo, un concetto per l’epoca molto innovativo, divulgata nel 1929 ed ancora oggi considerata valida.
Ma facciamo un passo indietro: nel 1917 Einstein, a seguito dei suoi lavori sulla teoria della relatività, era contestualmente arrivato agli stessi risultati del collega statunitense, ossia alla dimostrazione di un universo in espansione. Tuttavia, pensando che ciò non fosse possibile, introdusse un nuova ed artificiosa forza, detta repulsione cosmologica”, che gli permise di salvare l’ipotesi di un universo stazionario, ossia isotropo nello spazio e nel tempo (Il più grande errore della mia vita” avrà in seguito a dire lo scienziato tedesco).
Almeno altre due scoperte fanno da background alla legge di Hubble: la scoperta, nelle stelle Cefeidi, di una relazione tra periodo di pulsazione e luminosità, e la scoperta del cosiddetto redshift”.
Partiamo dalla Cefeidi: stelle pulsanti, variano la loro luminosità apparente per intervalli regolari. La scoperta dell’esistenza di una relazione lineare fra la loro luminosità ed il periodo di pulsazione è dovuta ad Henrietta Leavitt, ed è datata 1908. Nonostante quanto possa a prima vista sembrare, la scienziata statunitense compì una delle più grandi scoperte scientifiche del secolo scorso: sapendo che più una Cefeide è luminosa e più il suo periodo di pulsazione è lento permetteva di ricavare la magnitudine assoluta della Cefeide stessa. Dalla magnitudine assoluta M”, integrando nella formula di Pogson:
M = m +5 – 5log10 d
si ottengono come uniche incognite m” e d”. Poiché m” è la magnitudine apparente, che si può ricavare empiricamente, rimane come unica costante d”, la distanza Terra-Cefeide. Inutile dire quanto una nozione di questo tipo possa rivelarsi utile ai fini dell’esplorazione del cosmo.
Il redshift invece, o spostamento verso il rosso, non ha una vera e propria paternità: si tratta più che altro di una presa di coscienza della comunità scientifica dell’inizio del secolo scorso.
La spiegazione fisica del redshift si basa sull effetto Doppler”, un particolare comportamento dei fenomeni acustici. Quando un suono è in avvicinamento la sua lunghezza d’onda diminuisce, quasi si comprime, per poi aumentare, distendendosi, quando il suono è in allontanamento. L’esempio più classico che in genere si porta per spiegare questo particolare fenomeno è quello dell’ambulanza: se unambulanza è in avvicinamento rispetto a noi avvertiremo il rumore della sua sirena più acuto (lunghezza d’onda minore), quando si allontana più grave (lunghezza d’onda maggiore).
Analogamente è possibile applicare l’effetto Doppler agli spettri stellari. Sappiamo che da ogni stella proviene, ed è misurabile dalla Terra, uno spettro di assorbimento, come quello mostrato in figura.
Le linee nere sono caratteristiche: atomi uguali interposti tra la sorgente della luce e l’osservatore generano sempre linee uguali. Gli spettri di assorbimento sono perciò anche molto utili al fine di capire quali elementi costituiscono le stelle. Studiando i suddetti spettri provenienti da galassie lontane si è però scoperto una particolarità: le linee nere corrispondevano perfettamente a quelle campione, trovate in laboratorio, se non per il fatto che erano sempre leggermente spostate verso il colore rosso. Poiché nel campo del visibile il rosso corrisponde alla radiazione con lunghezza d’onda maggiore, si doveva dedurre che queste galassie si stessero allontanando da noi, così come lambulanza dell’esempio di prima.
(Esempio di spostamento verso il rosso: a sinistra lo spettro del Sole, a destra quello di una galassia)
Fu così che nel 1929 Edwin Hubble fece uno degli annunci scientifici più spettacolari del secolo scorso: l’universo si sta espandendo. Le galassie si stanno allontanando da noi, così come dimostra il redshift, e più sono lontane più la loro velocità di recessione è elevata (fu possibile fare questa affermazione proprio grazie alle Cefeidi: a variabili più lontane corrispondevano fenomeni di redshift maggiori).
E possibile scrivere in maniera matematica la legge di Hubble secondo la seguente formula:
v = H0 d
H0, anche chiamata costante di Hubble, è la costante di proporzionalità che lega velocità del moto v” e distanza dalla Terra d”. Possiamo però fare uninteressante considerazione: qualunque valore si attribuisca ad H0 si può verificare che l’allontanamento è uniforme, qualunque direzione intorno a noi venga presa in esame, come se la nostra galassia si trovasse al centro dell’universo. Poiché sappiamo che non è così, si può dedurre che non solo le galassie si stanno allontanando da noi, ma anche tra loro. Questo significa che sono le dimensioni stesse dell’universo che stanno considerevolmente crescendo.
In generale in astronomia H0 è conosciuta come costante incostante”. Questo essenzialmente perché non si è ancora riusciti a stabilire una valutazione precisa e sicura di essa. Attualmente si stima che il suo valore si aggiri intorno ai 75 Km sec-1 Mpc-1 (dove Mpc sta per megaparsec”) a partire da un valore, stimato dallo stesso Hubble, di 500 Km sec-1 Mpc-1. La difficoltà nella valutazione di questa costante risiede nel fatto che il suo valore dipende dalla massa contenuta in tutto l’universo. Un calcolo di questo genere risulta, oltre che di una difficoltà esponenziale, anche già di partenza errato a causa della cosiddetta materia oscura”. Studiando la velocità a cui si muovono alcune galassie infatti si è notato che, integrando nella legge di gravitazione universale di Newton con le masse visibili, queste galassie si muovono a velocità troppo elevate. Per salvare questa legge, che comunque fino ad ora non è mai parsa in discussione, si è pensato che in quelle galassie esista una quota di materia non visibile, detta materia oscura appunto, che però sia presente in porzioni tanto elevate da far considerevolmente variare le misurazioni sulla velocità. Questo significa che, finché non sarà chiarito anche questo punto, risulterà già in partenza fallace qualsiasi ipotesi fatta su H0. La stima di H0 sta così a cuore agli astronomi perché si è verificato che eseguendo la semplice operazione 1/H0 è possibile ottenere una stima piuttosto accurata dell’età attuale dell’universo, un dato che aiuterebbe a risolvere parecchie questioni rimaste in sospeso, come ad esempio quella sull’origine dell’universo o sulla sua evoluzione.
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