Vita nel medioevo
27 Gennaio 2019Ritratto della mia bambina
27 Gennaio 2019Elsa Morante è una scrittrice romana (1912-1985). Nella sua opera si intravede un modello ottocentesco di romanzo, a causa di alcune scelte tecniche (narratore onnisciente, anche se ne L’isola di Arturo è interno) e per la partecipazione che Elsa prova per i personaggi di cui narra le vicende.
I romanzi più noti di Elsa Morante sono L’isola di Arturo (1957) e La storia (1974)
Il nome Arturo: l’attrazione per l’epica cavalleresca ed eroica
- Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene), che Arturo è una stella: la luce piú rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.
La madre: un’assenza incolmabile
- A destinarmi questo nome (pur ignorandone, credo, i simboli titolati), era stata, cosí seppi, mia madre. La quale, in se stessa, non era altro che una femminella analfabeta; ma piú che una sovrana, per me.
- Di lei, in realtà, io ho sempre saputo poco, quasi niente: giacché essa è morta, all’età di nemmeno diciotto anni, nel momento stesso che io, suo primogenito, nascevo. E la sola immagine sua ch’io abbia mai conosciuta è stata un suo ritratto su cartolina. Figurina stinta, mediocre, e quasi larvale; ma adorazione fantastica di tutta la mia fanciullezza.
L’agnosticismo di Arturo
- Mi sarei vergognato di inginocchiarmi, o di fare altre simili cerimonie, o di pregare, anche solo col pensiero: quasi davvero io potessi credere che quella era la casa di Dio, e che Dio è in comunicazione con noi, seppure esiste!
Le donne
- La loro sola speranza, era di diventare le spose d’un eroe: di servirlo, di stemmarsi del suo nome, di essere la sua proprietà indivisa, che tutti rispettano; e di avere un bel figlio da lui, somigliante al padre.
Arturo adora il padre, che però non dimostra affetto
- Mio padre non scriveva mai lettere, non faceva mai sapere sue notizie, né mandava nessun saluto. Ed era favolosa per me la certezza che pure egli esisteva, e che ogni istante da me vissuto a Procida, lo viveva lui pure in chi sa quale paesaggio, in chi sa quale stanza, fra compagni stranieri che io consideravo gloriosi e beati solo perché stavano con lui (non dubitavo, difatti, che la frequentazione di mio padre fosse il titolo di aristocrazia più ambito per tutte le società umane).
La scoperta del sesso: Assuntina
- Io non sono ragazza, sono vedova, e una vedova, seppure s’incontra con qualcuno, non fa tanto peccato come una ragazza: meno assai!
La scoperta delle debolezze del padre
- Spesso certi nostri affetti, che presumiamo magnifici, addirittura sovrumani, sono, in realtà, insipidi; solo un’amarezza terrestre, magari atroce, può, come il sale, suscitare il sapore misterioso della loro profonda mescolanza! Per tutta la mia infanzia e fanciullezza, io avevo creduto di amare W. G.; e forse m’ingannavo. Soltanto adesso, forse, incominciavo ad amarlo. Mi accadeva qualcosa di sorprendente, che certo in passato non avrei potuto credere, se me l’avessero predetta: W. G. mi faceva compassione.
Trama L’isola di Arturo (1957)
“L’ Isola di Arturo” di Elsa Morante, scritto nel 1957, è un romanzo ambientato nell’isola di Procida, nel golfo di Napoli, dove Arturo, il protagonista, trascorre la sua infanzia e adolescenza, ed è proprio lui che, ormai adulto, rivive con un misto di nostalgia ed ironia quel periodo magico della sua vita e lo narra in prima persona.
Arturo conquista la maturità scoprendo che il padre non è come l’aveva idealizzato nella adolescenza
Il giovane è attratto dalla vita libera e naturale che può sperimentare sull’isola
Orfano della madre, e con il padre continuamente assente per misteriosi viaggi, Arturo trascorre un’infanzia solitaria, ma allo stesso tempo libera e felice, accompagnato dalla sua unica amica, la cagnolina Immacolatella, e dalla letture di grandi opere che accrescono la sua fantasia e la sua voglia di viaggiare per il mondo. Tutta la sua esistenza ruota attorno alla figura idealizzata del padre che, proprio per il suo freddo distacco, assume agli occhi del bambino un’aura mitica, quasi divina.
A rompere questo equilibrio e a dare una svolta irreversibile alla vita di Arturo sarà l’arrivo di Nunziatina, la nuova e giovanissima moglie del padre, per la quale il ragazzo proverà sentimenti contrastanti: prima una forte gelosia, dettata dalla perdita di attenzione da parte del padre, in seguito attrazione.
Tra loro non ci sarà niente di più che un unico “fatale bacio”, ma Arturo porterà con sé questo amore, dapprima reputato materno, fino al momento della sua partenza.
Ormai cresciuto, Arturo ha conosciuto la morte (la sua cagnetta), il sesso, l’amore e soprattutto il sentimento più doloroso: la triste scoperta che il padre non è affatto l’eroe mitico da lui sempre divinizzato, ma un uomo squallido e debole, succube di alcuni delinquenti.
È questa l’ultima tappa che porta Arturo a lasciare la sua amata isola, quel rifugio sicuro che aveva rappresentato il mondo intero, per seguire il suo vecchio balio Silvestro verso la guerra.
L’isola ha un ruolo predominante nel romanzo, è una costante nei ricordi del giovane protagonista, e si carica di significati profondi e nascosti.
Il topos dell’isola diviene qui il simbolo dell’infanzia, delle certezze, del nido materno all’interno del quale Arturo cresce. L’isola rappresenta inoltre il momento della scelta: il passaggio dalla dimensione infantile alla maturità, la partenza verso l’ignoto, la fine di quel paradiso spensierato di giochi, gite in barca e avventure in giro per Procida e la presa di coscienza della realtà, gettandosi ad occhi chiusi nella vita.
“L’isola di Arturo” è quindi un romanzo di formazione, e la scelta finale del protagonista di lasciare l’isola avventurandosi nel mondo non è che il punto di arrivo di tutte quelle prove che l’eroe-ragazzo Arturo ha dovuto superare, da solo, sin dall’infanzia
- L’isola di Arturo (incipit)
Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!
E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.
Purtroppo, venni poi a sapere che questo celebre Arturo re di Bretagna non era storia certa, soltanto leggenda; e dunque, lo lasciai da parte per altri re più storici (secondo me, le leggende erano cose puerili).
Ma un altro motivo, tuttavia, bastava lo stesso a dare, per me, un valore araldico al nome Arturo: e cioè, che a destinarmi questo nome (pur ignorandone, credo, i simboli titolati), era stata, così seppi, mia madre. La quale, in se stessa, non era altro che una femminella analfabeta; ma più che una sovrana, per me.