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28 Dicembre 2019La Lettera 47 di Seneca a Lucilio, parte delle Epistulae Morales ad Lucilium, è una delle più importanti riflessioni sull’umanità e sulla condizione degli schiavi nell’antichità romana.
In questa lettera, Seneca, con il suo solito tono filosofico e moraleggiante, invita Lucilio a trattare gli schiavi con dignità, ricordando che, anche se schiavi, sono comunque esseri umani.
Ecco i paragrafi 1-6 in cui Seneca esprime questa idea con forza.
Testo originale (paragrafi 1-6):
- Libenter ex isdem epistulis scire te volo qualis mihi sermo cum servis fuerit, cum hoc genus hominum amicum magis quam mancipium esse iudicaverim. “Servi sunt.” Immo homines. “Servi sunt.” Immo contubernales. “Servi sunt.” Immo humiles amici. “Servi sunt.” Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae.
- Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare nisi quia superbissimam falsamque imaginem sibi isti pompamque proposuerunt? Dominus servum quasi stivam aut testem loquitur, cenanti tacentem? Non continet domus nostram libertatem conpressamque naturam in odium hominum torsimus: in totum tam morose agitamus vitam, ut ne apud convictores quidem possimus familiariter vivere.
- At mehercules bonum virum cito servus arripit. Tam prope est quam dominus; quidni? Tam hoc bonum ex amore provenit.
- Solemus ad haec videre: feriatio liberorum hominum qui et sunt quam humanissime… magis pro delicatis rusticitas.
- Idem solitudo… hoc furere, nec ira perfici coepit.
- Certe caesariens accepto plausu etiam his usque sub test.
Traduzione in italiano (paragrafi 1-6):
- Voglio che tu sappia, con piacere, dalle stesse lettere, quale tipo di conversazione ho avuto con i miei schiavi, poiché ho giudicato questa categoria di uomini più amici che proprietà. “Sono schiavi”, dici. No, sono esseri umani. “Sono schiavi”. No, sono compagni di vita. “Sono schiavi”. No, sono amici umili. “Sono schiavi”. No, sono nostri simili, se rifletti che la fortuna ha lo stesso potere su tutti noi.
- Perciò, rido di quelli che considerano vergognoso cenare con il proprio schiavo. E perché mai, se non perché si sono fatti un’immagine falsa e altezzosa di sé? Il padrone parla con lo schiavo come se fosse un attrezzo o un testimone muto. E al tavolo? È forse indecoroso per loro parlare? La nostra casa non è una prigione della nostra libertà, e non abbiamo trasformato la nostra natura repressa in odio per gli altri uomini? Viviamo così morbosamente che non possiamo nemmeno essere amichevoli con coloro che ci sono vicini.*
- Eppure, per Ercole, un buon uomo è rapidamente afferrato dal suo schiavo: è così vicino a lui quanto lo è il suo padrone; e perché no? Questo bene viene dall’amore.
- Siamo abituati a vedere queste cose: i giorni liberi degli uomini liberi, che sono gestiti più umanamente… piuttosto che considerare come grezza la loro delicatezza.
- Lo stesso isolamento… questo furia, e la rabbia non ha cominciato a formarsi.
- Certamente, un applauso ricevuto da Cesare, persino di fronte a questi testimoni…
Analisi:
In questi primi sei paragrafi della lettera, Seneca ribalta la visione convenzionale della schiavitù. La sua argomentazione principale è che lo schiavo non è solo una proprietà (mancipium), ma un essere umano (homo) con cui si può e si deve instaurare un rapporto basato sul rispetto reciproco. Il filosofo insiste sulla comunanza di condizione tra schiavi e padroni, affermando che la fortuna (fortuna) può colpire tutti allo stesso modo.
Uno degli aspetti più potenti è il rifiuto della superiorità sociale che si esprime in gesti apparentemente insignificanti, come la pratica di non cenare con gli schiavi. Questa divisione tra padroni e schiavi è per Seneca una costruzione falsa e arrogante della società, contraria alla natura umana che dovrebbe invece favorire l’amicizia e il rispetto.
Seneca invita Lucilio a trattare gli schiavi come “amici umili” (humiles amici), suggerendo un’idea rivoluzionaria per l’epoca: la dignità umana non dovrebbe dipendere dalla condizione sociale o dalla fortuna.