In principio era Dylan
27 Gennaio 2019Alda Merini
27 Gennaio 2019Il barone Carlo Coriolano di Santafusca pur appartenendo ad una delle più nobili famiglie napoletane, viene a trovarsi in una miserabile condizione sociale. Cosi, spinto da necessità economiche, inizia a concepire e a realizzare il suo terribile piano: uccidere prete Cirillo, uomo pieno di denaro guadagnato con l’usura e con le vincite al lotto.
Il barone approfittando dell’ingenuità del prete, con la scusa di volergli vendere la sua villa per donarla alla chiesa, lo conduce alla sua proprietà e lì lo uccide. Senza accorgersi, nel colpirlo alla testa, gli fa volare via il cappello che, poi, ha un ruolo determinante nella scoperta dell’assassino.
Infatti il cappello, trovato da Don Antonio, parroco di Santafusca, viene inviato a Filippino, cappellaio del paese, che riconosce in quel cappello quello di prete
Cirillo e, pensando che gli fosse accaduto qualcosa, lo consegna nelle mani della giustizia.
Intanto il barone tormentato da sensi di colpa e in preda ad allucinazioni (vede il cappello e il prete) viene convocato dalla polizia dove dapprima nega e poi, come guidato da un meccanismo interno, confessa di aver ucciso il prete nella sua villa.
IL PROTAGONISTA
Il barone Carlo Coriolano di Santafusca è un nichilista che non crede né “in Dio e meno ancore nel diavolo”. Così, con la sua assoluta mancanza di rispetto per i valori religiosi e con la sua vita dissipata non gode più di considerazione presso i parenti né presso gli amici. Conduce una vita solitaria e, peggio ancora, tremendamente misera. Egli non riconosce nessun valore all’infuori di quanto gli appartiene. Per questo motivo non esita a mettere in atto il suo piano, anche se ciò vuol dire sopprimere una vita umana. Tuttavia, non avendo fatto i conti con la propria coscienza, si trova sommerso dai rimorsi fino ad arrivare ad una crisi di sdoppiamento di personalità.
L’autore attraverso il flusso di coscienza ci illustra i vari stati d’animo del protagonista. Questi infatti passa da momenti di lucidità a momenti di pazzia: delle volte si sente colpevole di ciò che ha fatto, ma subito dopo si comporta come se non fosse accaduto nulla.
L’altro protagonista del romanzo è in un certo senso il cappello che, infatti, fa da filo conduttore a tutta la vicenda.
L’AUTORE
Emilio De Marchi viene a contatto con movimenti letterari di notevole portata come la Scapigliatura ed il Verismo.
Emilio da Marchi nasce a Milano il 31 luglio 1851 e vi muore all’età di cinquant’anni dopo un’esistenza passata nell’insegnamento priva di fatti particolarmente significativi.
SCELTE STILISTICO ESPRESSIVE
L’autore in questo romanzo utilizza la lingua in modo informativo ed emotivo infatti mette in evidenza non solo le opinioni i sentimenti e le emozioni del protagonista, ma anche quelle degli altri personaggi.
I registri che vengono usati sono: quello formale e quello media.
L’autore usa periodi sia lunghi che brevi e la prosa usata è quella realistica.
Nel romanzo si incontrano termini oggi caduti in disuso (istudio, progni di pianto, pigione … ), espressioni in dialetto napoletano e milanese.
Tuttavia non mancano espressioni latine ( et lux perpetua luceat ei, in illo tempore … ) e termini di origine straniera specialmente francesi e inglesi, come: club, reporter, marche …
Un’altra caratteristica linguistica del romanzo è il largo uso di metafore e similitudini ( …. come un sasso che tu abbandoni a fior d’acqua e che precipita morbidamente al centro di gravità, a tessere questa lurida tela, la società è come le donne).
L’impiego di questo linguaggio figurato serve soprattutto a descrivere con efficacia e concretezza gli stati d’animo del protagonista (si sentiva schiacciato in mezzo al petto mentre la testa volava, in una broda nera e sanguigna).
Vi sono anche riferimenti ad altri autori e a opere letterarie. In particolare per il senso di colpa provato dal protagonista vengono in mente i romanzi di Fogazzaro, ma, soprattutto, il romanzo “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij.
FABULA E INTRECCIO
La fabula e l’intreccio coincidono in tutto il romanzo. Vi sono però alcuni flash back poco rilevanti.
PREVALENZA DI SEQUENZE DELLE VARIE TIPOLOGIE
In questo romanzo prevalgono soprattutto sequenze riflessive: quando il barone parla con se stesso dichiarando le sue opinioni, i suoi giudizi, le sue considerazioni personali, i suoi sentimenti … (“che stupido che sono, pensò il barone … ) e sequenze descrittive che descrivono in modo molto preciso e particolareggiato i luoghi dove si svolgono gli avvenimenti e anche i personaggi. Vi sono anche sequenze narrative, però poco rilevanti.
PEGGIORAMENTO O MIGLIORAMENTO DELLA VICENDA
SITUAZIONE INIZIALE: peggioramento per prete Cirillo in quanto viene ucciso miglioramento per il barone perché riesce a portare a termine il suo piano
SITUAZIONE INTERMEDIA: peggioramento perché si assiste alla morte di altre due persone; peggioramento anche per il barone perché inizia a essere tormentato e ossessionato dall’idea del prete
SITUAZIONE FINALE: peggioramento per il barone perché viene scoperto e messo in carcere
TEMI PRESENTI NELLE MACROSEQUENZE
I motivi presenti in questo romanzo sono:
la vendetta, la gelosia e la pazzia che portano il barone ad ammazzare il prete
la morte
il dolore, la sofferenza e la pazzia sentimenti che tormentano continuamente il barone dopo il delitto
la paura del barone di essere scoperto
il denaro
OSSERVAZIONI SULLA DIMENSIONE TEMPORALE
tempo della scrittura:1888
tempo della storia: fine ‘800 (il romanzo è contemporaneo alla sua scrittura)
tempo della narrazione: un mese e mezzo da aprile a metà giugno
In questo romanzo ci troviamo di fronte alcuni sommari, gli eventi non vengono riferiti in modo particolareggiato, ma riassunti in modo sintetico: <<passarono in questi pensieri il lunedì, il martedì e parte del mercoledì>>
Vi sono anche alcune digressioni (quando si interrompe il racconto per descrivere un personaggio: “ma chi era prete Cirillo? Non v’era donniciuola a pescivendola o camorrista … “).
Quando vi è la registrazione immediata dei pensieri del protagonista senza alcun intervento da parte del narratore ci troviamo di fronte al monologo interiore e in questo romanzo ve ne sono parecchi: sono sensazioni!” disse a voce chiara rispondendo ad una domanda interiore e le sensazioni restano” ripetè.
Alla fine del romanzo vi sono monologhi interiori talmente confusi, da assomigliare a flussi di coscienza (serie disordinate e confuse di parole e immagini):
“mi meraviglio che si voglia ancora trovarmi in contraddizione. E’ chiaro, per Dio! Prego a non farmi dire cose che non penso. Che ne so io di questa faccenda?… Vi è presente anche la memoria involontaria: “la vista di tutti quei denari richiamò alla memoria del giocatore le ultime imprese …
L’autore utilizza il discorso diretto e indiretto.
INDIVIDUAZIONE DEL NARRATORE
In “Il cappello del prete” il narratore è esterno, dunque, si mantiene estraneo ai fatti e li espone in maniera oggettiva, limitandosi a registrarli senza mettere in evidenza le proprie opinioni.
Tuttavia in questo romanzo non vi è presente solo questo tipo di narratore, ma al contrario, trovandoci dì fronte ad alcune anticipazioni, il narratore, da esterno che era, diventa onnisciente (che sa tutto)
il poverino non immaginava nemmeno che sarebbe caduto in bocca al lupo”
oppure: “lo incalzava verso un grande avvenimento, voglio dire (ormai si capisce) tirare il prete in trappola e…”
OSSERVAZIONI SULLA DIMENSIONE SPAZIALE
In questo romanzo il paesaggio assume un nitido rilievo. Infatti, oltre ad interpretare e ad esprimere in immagini le emozioni e i sentimenti dei personaggi , fa da sfondo agli eventi e funge da proiezione tangibile della situazione psicologica dei personaggi:
“il sangue dei vecchi Santafusca ribolliva nelle sue vene, mandava un grido, saliva alla testa in un fiotto, le livide pareti si tingevano di rosso, e rosse apparivano tutte le piante del giardino.”