tesina per l’esame di stato 2002 Pietro Tivelli – classe VF –
Le origini di quest’arte sono molto lontane e non facilmente collocabili nel tempo; infatti mentre la pittura, la scultura o l’architettura hanno sempre lasciato tracce più o meno consistenti (un’incisione, una statua, una colonna … ), la musica forse a causa dei suo carattere più astratto e incorporeo non ha lasciato tracce importanti. Forse per questa ragione gli uomini, che alla fine della preistoria avevano inventato i segni per trascrivere le parole
hanno impiegato molto più tempo prima di sentire il bisogno di trascrivere la musica.
I primi reperti risalgono ai popoli primitivi. Probabilmente la musica è nata sotto forma di canto utilizzato per accompagnare nelle feste o nei riti religiosi la danza degli uomini, come tuttora avviene in alcune piccole tribù dell’Africa o dell’india. Sicuramente i primi strumenti musicali furono a percussione e solo in seguito a fiato.
Furono i popoli dell’Asia (india e Cina) a riportare per primi in modo scritto la musica ed è grazie a queste popolazioni che la musica ebbe un forte sviluppo anche per
quello che riguarda gli strumenti musicali. Furono però molti anni dopo i Greci ed i Romani a rendere la musica una vera e propria arte, teorizzandola in numerosi scritti. Proprio attraverso i canti Greci la musica si accostò alla poesia; per i poeti greci la poesia e la musica erano strettamente unite: la poesia era sempre cantata e i poeti non si limitavano a scrivere le parole ma componevano anche la musica. Poeti come Omero, o gli aedi accompagnavano al suono della cetra la recitazione dei canti poetici.
Con l’avvento del medioevo la musica continuò la sua funzione di accompagnamento della recitazione di poesie o poemi epici. Secondo le tradizioni popolari menestrelli e bordi vagavano per i castelli ed i reami a narrare accompagnati dalla musica le imprese di mitici cavalieri e gli amori di bellissime fanciulle. Bisogna ricordare i trovieri e i trovatori della tradizione francese tra cui il noto Arnaud Daniel.
Sempre nel medioevo la musica diviene parte importante nelle funzioni sacre della religione cristiana. Nascono proprio in quest’epoca i canti gregoriani, lodi a Dio eseguite da cori di monaci durante le funzioni.
Con il passare dei secoli la musica diventa sempre più complessa; a partire dal Mille e Trecento nasce infatti la polifonia e nei secoli successivi vengono progettati e costruiti strumenti sempre nuovi e differenti come il diffusissimo liuto
o l’importante organo. Anche la forma in cui si esprime la musica in poesia cambia: proprio in questi anni nasce il madrigale, una forma più semplice, scherzosa e di tono popolare che si affianca ad opere più importanti.
Nel Seicento con la nascita dei melodramma la musica entra in teatro, un sodalizio che non si spezzerà più fino ai giorni nostri (Musical). Nel Settecento al fianco dei sempre più affermato melodramma nascerà l’opera, distinta tra buffa e seria, e la musica accrescerà moltissimo dal punto di vista strumentale grazie anche a grandi compositori come Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven… Nell’Ottocento l’opera lirica diviene la forma privilegiata d’espressione dei musicisti i quali scrivono o riadattano opere già scritte.
Con il Novecento nasce una sorta di sperimentalismo musicale, pari a quello poetico, che si stacca dai temi neoclassici e romantici come nelle opere di Schönberg, le quali però a causa della loro difficoltà e dissonanza non hanno mai ottenuto un grande successo di pubblico. Dopo la prima guerra mondiale l’innovazione e la voglia di ricominciare della popolazione porta all’invenzione nei paesi più ricchi (Stati Uniti) di nuovi generi musicali come il charleston, il jazz, e il blues… Al termine della seconda guerra mondiale lo slancio di produzione
della musica è ancora più forte e questa possa da uno stato elitario ad uno più comune, basti pensare alla produzione musicale di questi anni da parte di cantautori, più o meno noti. Uno tra tutti Bob Dylan, chiamato il menestrello. Abbiamo visto come la musica sia strettamente legato alla cultura e alla società e come sia stata influente per quanto riguarda la produzione poetica di ogni periodo storico.
Spesso poesie e pezzi teatrali scritti da grandi autori sono state utilizzati da compositori e musicisti per creare vere e proprie opere d’arte e capolavori musicali. Per quanto riguarda la letteratura italiana molte opere sono state scritte e successivamente musicate; particolarmente significativa è la Cavalleria Rusticana, nato come raccolta di novelle scritte da Giovanni Verga e successivamente rielaborata per essere riadottata come opera lirica da un grande musicista italiano: Pietro Mascagni.
Dopo una breve trattazione del verisrno, corrente letteraria italiano di cui Verga si può considerare il massimo esponente, e della vita dello scrittore (Giovanni Verga) e del compositore (Pietro Mascagni) passeremo ad una analisi più approfondita dell’opera.
VERISMO
Movimento letterario manifestatosi in Italia nell’ultimo trentennio del XIX secolo. Il termine viene impiegato specificamente per indicare la nuova narrativa orientata verso il modello dei naturalismo francese, anche se si fa riferimento, come affermava Luigi Capuana, più al metodo e ai principi dei narrare che non alla materia trattata. Il termine aveva avuto corso in Italia, a partire dagli anni Sessanta, per indicare le esperienze narrative degli anni Cinquanta, posteriori ad Alessandro Manzoni, che si collocavano
nella prospettiva dei realismo, e accentuare l’intenzione degli scrittori di accostarsi al “vero” cogliendolo nelle forme più evidenti e dirette.
Un salto di qualità, nel progetto di offrire una rappresentazione non convenzionale dei “vero”, si verificò a partire dagli anni Settanta, con la ripresa dei modello narrativo francese e con la poetica dei naturalismo nutrita dei principi dei sociologismo estetico. A questa ripresa si aggiunse una nuova attenzione (dopo la proclamazione dello Stato unitario) per la realtà regionale, soprattutto meridionale, i cui caratteri culturali si erano imposti come estranei e stranianti. Proprio dalla combinazione di questi due interessi (naturalismo e realtà regionale) derivarono i risultati maggiori dei verismo italiano, che raggiunse il suo momento più alto negli anni Ottanta con l’opera di Giovanni Verga e di Luigi Capuana.
Questi autori rappresentano un mondo immobile, fuori dalla storia, in cui i personaggi vivono sentimenti elementari e radicali, con pervicacia autodistruttiva entro un contesto di ingiustizie e sofferenze collettive, senza speranza di riscatto e senza capacità di elaborare un progetto di redenzione. Sono scrittori (soprattutto Verga) che raccontano in modo distaccato, senza attivare processi di identificazione tra il lettore e la materia narrata. E’ questo uno dei modi di applicare il principio dell’impersonalità. Un altro modo di garantire il distacco da parte dall’autore (ma, in prospettiva, anche dei lettore) è quello di non proporre il mondo narrato come un modello o come carico di valori, bensì di presentarlo come se si trattasse di un reperto scientifico. L’applicazione dei canone dell’impersonalità favori l’elaborazione di alcune tecniche espressive come il dialogo o il discorso indiretto libero (Verga) e l’impiego di registri espressivi più bassi fino, in qualche caso, al ricorso al dialetto. Una delle ambizioni di questi narratori era quella di elaborare una lingua adatta a tutta l’Italia borghese.
Vita e opere maggiori Verga Giovanni (Catania 1840-1922), scrittore italiano, autore di romanzi, racconti e opere teatrali, massimo esponente dei verismo. la sua attività letteraria può essere divisa in tre fasi: la narrativa storico-patriottica degli esordi; i romanzi mondani; la produzione verista. In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come testimoniano i suoi romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861) è un romanzo storico (genere che stava ormai passando di moda).
Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l’abbandono dell’isola: nel 1869 Verga parli per Firenze, allora capitale dei Regno d’Italia. Introdotto nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali, sono piuttosto espliciti i titoli dei romanzi di questo secondo periodo “mondano”: Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Particolare successo ebbe Storia di una capinera (1871), racconto della monacazione forzata di una donna che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione.
Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questa linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un’altra strada. Nel 1872 Verga si era trasferito a Milano, capitale dell’editoria e città in cui frequentò gli scapigliati Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa, soprattutto grazie all’appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall’amico conterraneo Luigi Capuana, scrittore e critico letterario teorico dei verismo.
La svolta letteraria si può datare al 1874, l’anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Neddo, definita dall’autore un “bozzetto siciliano”. L’ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale: rimane vedova e perderai il suo bambino appena nato. Da quel momento in poi, la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro dei lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi. I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupo (indimenticabile la protagonista, ricordata nel titolo con il soprannome), La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e morire in miniera, ricalcando il tragico destino dei padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).
I romanzi della maturità sono due. I Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista dei romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità; grazie a una scrittura sapiente che riproduce alcune caratteristiche dei dialetto e che riesce ad adattarsi ai diversi punti di vista dei vari personaggi, il romanzo crea l’illusione che a parlare sia il mondo raccontato. L’abilità tecnica di Verga lasciò stupiti e increduli i lettori di allora, alle prese con un testo affascinante e difficile, al cui centro è il canone dell’impersonalità, una tecnica capace di dare voce ai personaggi popolari rinunciando alla mediazione di chi racconta.
Mastro don Gesualdo (1 889) mette a fuoco la storia dei protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il suo destino di
miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella però la sua modesta estrazione sociale: persino la figlia Isabella si vergogna dei padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui. Anche
qui l’ambientazione è siciliana (il romanzo è ambientato a Vizzini) e la lingua rispecchia.in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo. Le opere di Verga tuttavia vengono accolte con indifferenza dal pubblico e dalla critica.
Amareggiato dal sostanziale insuccesso dei suo lavoro, Verga si ritirò a Catania e abbandonò la scrittura. Il progettato “ciclo dei vinti”, che avrebbe dovuto prevedere altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni e L’uomo di
lusso), restò così incompiuto. Della Cavalleria rusticana lo stesso Verga elaborò una versione teatrale (rappresentata nel 1884), che fu musicata da Pietro Mascagni (1 890).
Pietro Mascagni: vita e opere maggiori
Mascagni Pietro (Livorno 1863 – Roma 1945), compositore italiano. Studiò nella città natale e in seguito a Milano) con Amilcare Ponchielli. Allontanato dal Conservatorio per indisciplina, iniziò la carriera di direttore d’orchestra con varie compagnie d’operetta. Nel 1886, durante una tournée, si fermò a Cerignola, in Puglia, dove divenne direttore della scuola musicale. Qui compose il suo lavoro più celebre, l’opera Cavalleria Rusticana (1 890), basata su una novella dello scrittore siciliano Giovanni Verga; l’opera riscosse un successo strepitoso, ed è considerato uno dei migliori esempi dello stile operistico italiano chiamato verismo, che mette in scena la potenza delle emozioni. Il grande favore dei pubblico verso quest’opera influenzò altri compositori italiani come Ruggero Leoncavallo e Umberto Giordano. Mascagni compose quindici opere, un’operetta e un balletto, più musica sinfonica e musica sacra, ma solo Cavalleria Rusticana e L’amico Fritz (1891) vengono regolarmente ancor oggi messe in scena.
La Cavalleria Rusticana
La Cavalleria Rusticana è un’opera tratta dalla novella Vita dei campi, pubblicata nel 1883 nella raccolta Per le vie. Questo pezzo teatrale è dunque una riduzione della novella e fu rappresentata per la prima volta il 14 Gennaio dei 1884, al Teatro Carignano di Torino, con in scena Eleonora Duse, una delle più celebri attrici dell’epoca, nella parte di protagonista.
STRUTTURA
L’opera è composta da IX scene.
TRAMA la Cavalleria Rusticana narra la storia di Santuzza e suo marito Turiddu Macca. Il giorno di Pasqua mentre tutti si stanno recando a messa Santuzza rivela alla Gnà Nunzia che Turiddu la tradisce con la Gnà Lola, donna sposata con compare Alfio, ma un tempo promesso sposa di Turiddu.
Santuzza disperata dice di non voler perdere suo marito, e di volergli parlare per poter chiarire la situazione. Proprio in quel momento arriva in scena compare Turiddu, e Santuzza rimasta sola nel negozio della Gnà Nunzia, affronta il marito avvertendolo di essere a conoscenza dei suo tradimento. Egli replica negando tutto, e dopo un’accesa discussione, al passaggio di Gnà Lola che si dirige in chiesa, Turiddu lascia la moglie ed anch’egli si reca a messa.
Durante la celebrazione Santuzza incontra compare Alfio e, pur sapendo che in questo modo perderà suo marito, confida all’uomo che suo moglie lo disonora con compare Turiddu.
Nel frattempo finita la messa Turiddu invita la Gnà Lola, comare Camilla ed altri amici a bere un bicchiere di vino con lui, ma proprio in quel momento arriva Alfio che implicitamente mostra di essere a conoscenza dei tradimento. Turiddu per non perdere il suo onore abbraccia e bacia Alfio, in segno di sfida.
L’opera termina con l’entrata in scena della Puppizza che grida “Hanno ammazzato compare Turiddu! Hanno ammazzato compare Turiddu!”
Cala il sipario.
PERSONAGGI
Pochi sono i personaggi di questo breve pezzo teatrale.
Santuzza: la moglie di Turiddu; una povera donna davvero innamorata di suo marito e per questo preoccupata per lui. Verga enfatizza i toni patetici della povera donna che acquista in sé le caratteristiche della buona moglie destinata però ad essere vinta dal fato.
Turiddu Macca: marito di Santuzza e figlio della Gnà Nunzia; egli dice di essere ancora innamorato di Santuzza anche se in realtà ha una relazione con la Gnà Loia, donna che aveva amato prima di andare a bersagliere e che, una volta tornato a casa, trova sposata a compare Alfio.
Gnà Nunzia: madre di Turiddu; a lei si confessa Santuzza prima di parlare direttamente con il marito, ma la donna sembra non volersi immischiare nella questione anche se all’annuncio della morte di Turiddu soffre e si dispera
la Gnà unzia con le mani nei capelli
Gnà Lola: la moglie di Alfio; secondo Santuzza è per colpa sua che ora Turiddu si trova nei guai. Ella per gelosia ha cercato in tutti modi di rubare Turiddu a sua moglie riuscendo infine a sedurlo.
Compare Alfio: marito della Gnà Lola; compare solo per poco nella scena ma la sua presenza è fondamentale, è lui infatti che saputo dei tradimento della moglie si trova a dover uccidere Turiddu.
Vi sono poi altri personaggi che fanno solamente da cornice alla vicenda, come lo Zio Brasi, stalliere della Gnà Nunzia, comare Camilla, sua moglie, la zia Filomeno e Pupizza.
TEMPI E LUOGHI
La vicenda è ambientata in un piccolo paese della Sicilia e in un periodo non ben definiti.
Per quanto riguarda lo svolgimento della scena sappiamo che questa occupa poco più di due ore; la storia comincia mentre la gente si sta recando in chiesa per la messa di Pasqua e termina poco dopo la fine della celebrazione. L’ambientazione è quella della
piazza dove si trova la bottega della Gnà Nunzia, di fronte alla quale si svolge l’intera vicenda, meno l’uccisone di Turiddu che non viene rappresentato e che lo spettatore conosce solo attraverso le voci dei personaggi.
LINGUAGGIO E SIGNIFICATO Il linguaggio utilizzato da Verga è come quello delle sue più importanti opere: egli fa parlare i suoi personaggi in modo semplice, attenendosi a quello che è il linguaggio comuni dei poveri contadini Siciliani. Possiamo quindi trovare espressioni dialettali o della lingua parlata, e l’uso di proverbi.
Questo stesso linguaggio non è però sempre così aperto e chiaro: Santuzza quando parla con la Gnà Nunzia, con Turiddu o con compare Alfio del suo tradimento, non è mai esplicito anche se il suo modo di parlare ci permette di capire cosa è successo e cosa succederà in seguito.
In questa opera teatrale Verga si propone di mostrare allo spettatore quella che è la vita vera, la condizione sociale in un piccolo paese dei sud Italia, dove vigono ancora antiche leggi che regolano i rapporti tra gli uomini. Troviamo così la figura della donna sottomessa al proprio marito (Santuzza nei confronti di Turiddu) ma disposta, pur di non perderlo, ad affrontarlo. Troviamo i tipici modi di fare Siciliani, come quando compare Alfio, quasi senza parlare, sfida Turiddu, il quale seguendo la legge dell’onore abbraccia e bacia il suo rivale accettando così la sfida e stringendogli tra i denti il lobo dell’orecchio, che nel codice di onore siciliano è la promessa di non mancare al duello.
Verga però nell’adattare la sua novella Vita dei campi alla rappresentazione teatrale, cambia una serie di elementi per adattarsi al gusto dei pubblico e alla scena: il motore dell’azione, che nella novella era essenzialmente economico, ora divento sentimentale e passionale; e se nella novella tutta la vicenda era filtrata dal punto di vista unico ed unificante di Turiddu, ora acquista un rilievo nuovo e più intenso la figura patetica della povera Santuzza.
Filosofia: Sören Kierkegaard, Don Giovanni e il desiderio
La musica non ha influenzato solo la letteratura, anche la filosofia, la più nobile delle arti liberali è stato attratto da questo forma di “esistenza” così capace di esprimersi ancor meglio delle parole. Molti filosofi hanno considerato la musica come forma privilegiato di espressione o come mezzo per liberarsi da vincoli che stringono l’uomo. Ecco, invece, la visione differente di Soren Kierkegaard che non vede nella musica la capacità salvifica che gli attribuivano altri filosofi, ma trova che le note incerte dei Don Giovanni di Mozart rispecchiano l’esistenza dei suo personaggio.
Dopo una breve trattazione della filosofia e della vita dell’indagatore della verità, passeremo ad una analisi più approfondito del brano “Don Giovanni e il desiderio” tratto dall’opera Aut-Aut.
La Vita
Kierkegaard, Soren Aabye (Copenaghen 1813-1855), filosofo danese. Ricevette un’educazione religiosa e venne assai influenzato dal padre, ricco mercante e scrupoloso luterano dalla cupa religiosità. Studiando teologia e filosofia presso l’università di Copenaghen si accostò alla filosofia hegeliana, dalla quale prese le distanze dopo breve tempo. Nel 1840 si fidanzò con la diciassettenne Regine Olsen; il matrimonio tuttavia gli parve incompatibile con la vocazione filosofica che sentiva crescere dentro di sé. Laureatosi in filosofia nel 1841 con una dissertazione intitolata Sul concetto di ironia, nel 1842 ruppe all’improvviso il fidanzamento e decise di utilizzare l’ereditò lasciatagli dal padre per dedicarsi interamente all’attività intellettuale.
La filosofia esistenziale dei “Singolo ” la filosofia Kierkegaardiana è una filosofia antitetica sia alla teoria Marxista che a quella Hegeliana, particolarmente in voga nel periodo in cui Kierkegaard si trova ad operare.
Il filosofo usa determinate modalità espressive volutamente propendenti al genere letterario e poetico, abbandonando quindi i trattati filosofici a favore di una prosa più semplice quale è quella dei romanzo. Inoltre Kierkegaard nel firmare le sue opere utilizza pseudonimi: Aut Aut come Victor Eremita, Timore e tremore come Johannes de Silentio, ecc…
Scopo della sua filosofia è quello di comunicare tipi di esistenza. Egli si oppone alla classica idea Hegeliana per cui la costruzione dei sistema in cui ci troviamo a vivere è universale mostrando diversi “modelli di esistenza” ognuno dei quali è basato su esperienze e valori differenti. Non esiste dunque per Kierkegaard un principio esterno, metafisico come può essere l’Assoluto Hegeliano, a cui l’uomo si deve riferire, ma ognuno di noi è in grado di proporre un’esperienza valida.
Kierkegaard propone così dei modelli di Er-Lebnis, esperienza vissuta che possono aiutare a formare altre esperienze, senza però che ci sia un modello unico o giusto, ponendo così l’accento sull’individualità.
Tra le sue opere più significative ricordiamo Aut Aut, e Timore e tremore. In Aut Aut (1843), Kierkegaard descrive due stadi dell’esistenza tra i quali l’individuo può scegliere: lo stadio estetico e quello etico. la forma di vita estetica è una sorta di raffinato edonismo che si fonda sulla ricerca incessante dei piacere e sulla soddisfazione dei desideri, destinate però a sfociare nella frustrazione e nella disperazione. La forma di vita etica è caratterizzata invece da un intenso e appassionato impegno individuale nell’adempimento dei dovere e degli obblighi pubblici e religiosi socialmente sanciti.
In seguito, Kierkegaard vide in questa sottomissione al dovere la rinuncia alla responsabilità individuale e postulò un terzo stadio, quello religioso, in cui la cieca sottomissione alla volontà di Dio, pur nella sua paradossale assurdità, disvela la libertà autentica.
In Timore e tremore (1843) Kierkegaard illustrò la necessità di compiere il “salto” nella vita religiosa, che è “assurda” e rischiosa. L’individuo vi è condotto dal sentimento dell’angoscia che è fondamentalmente timore dei nulla, dei dover tagliare i ponti con tutto quello che è razionale e legato alla sfera umana, ma nel contempo è apertura di un orizzonte di libertà, possibile solo attraverso una vita dedicata a Dio.
Don Giovanni e il Desiderio
Influenzato dalla figura di Don Giovanni, e in particolare dal Don Giovanni musicato da Mozart nel 1787, Kierkegaard dedica una parte dell’Aut Aut intitolata Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale erotico. Il testo rivela il rapporto intenso, appassionato che Kierkegaard intrattiene con la figura dei grande seduttore, con l’opera mozartiana (che egli amava moltissimo), con la dimensione della sensualità immediata, vera e propria di genialità sensuale erotica”, la cui idea Don Giovanni incarna.
E’ utile precisare da subito, onde evitare incomprensioni che Kierkegaard con il termine erotico intende seduzione, e non indica il significato materialistico che la parola ha assunto ai nostri giorni.
L’ideale dei Don Giovanni è quello di una vita prettamente estetica, quella dei seduttore che vive attimo per attimo disperdendosi e dissipandosi nel piacere, senza mai compiere quel salto che è proprio di una scelta di vita; infatti Don
Giovanni non compie una scelta, l’amore che egli prova non è determinato, non c’è nulla di sentimentale ma è solamente un aumento dei piacere. Possiamo quindi affermare che in Don Giovanni la seduzione non comporta coinvolgimento, altrimenti implicherebbe una scelta.
Un punto importante da sottolineare è quello che riguarda la sensualità di Don Giovanni la quale non può essere considerata individualizzata: il seduttore non è individuo, categoria che comprende la riflessione, ma “idea”, pura incarnazione dell’erotico; così, gli oggetti dei suo desiderio non sono individualità femminili, ma la femminilità come “universale”. Un altro concetto fondamentale che Kierkegaard sottolinea nella sua trattazione è che l’esteta cerca la pienezza nell’istante, solo poiché concepisce il tempo come un susseguirsi infinito di istanti il seduttore è tale: la sua azione non ha sviluppo. La ripetizione si configura per l’esteta come l’infinito riproporsi dell’identico rapporto fra il desiderio e la sua soddisfazione.
La grandezza dei Don Giovanni di Mozart sta, secondo Kierkegaard, nel fatto che materia e musica si integrano con perfezione classica. L’immediatezza di Don Giovanni, il suo vivere nel momento, ne fanno un soggetto “musicale”, che non è esprimibile in parole:«nel linguaggio si trova la riflessione, e perciò il linguaggio non può esprimere l’immediato».
La musica dell’opera di Mozart è allora una forma di linguaggio universale (universale=indeterminata, quindi non scelta), ed in questo rispecchia l’indeterminazione dei suo personaggio; bisogna però sottolineare la visione negativa di questa indeterminatezza che porta il soggetto a non compiersi, a non realizzare un modello di vita, preferendo un’esistenza fatta d’istanti. Al contrario il filosofo ritiene che il linguaggio è determinato perché esprime l’uomo, cosa che la musica non può fare.
Riporto qui di seguito una parte significativa tratto da “Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale erotico”.
Così come la sensualità è intesa in don Giovanni, come principio, non è mai stata intesa prima al mondo; perciò anche l’erotico è qui determinato con un altro predicato, l’erotico è qui seduzione. Strano a dirsi, l’idea di un seduttore manca dei tutto alla grecità […]. La ragione per cui la grecità manca di quest’idea Sta di fatto che l’intera sua vita è determinato come individualità. Così lo psichico è dominante o sempre in armonia con il sensuale[ … ]. Don Giovanni è invece fondamentalmente un seduttore. ]i suo amore non è psichico ma sensuale, e l’amore sensuale secondo il concetto non è fedele, ma assolutamente privo di fede non ama una ma tutte, vale a dire seduce tutte. Esso infatti è soltanto nel momento, ma il momento è concettualmente pensato come la somma dei momenti, e così abbiamo il seduttore. Anche l’amore cavalleresco è psichico, e perciò conforme al suo concetto essenzialmente fedele; solo l’amore sensuale è secondo il suo concetto essenzialmente privo di fede. Ma questa sua mancanza di fede si mostra anche in un altro modo, infatti esso resta sempre una ripetizione. L’amore psichico ha in sé la dialetticità doppiamente. Infatti ha in sé il dubbio e l’inquietudine se sarò felice, se vedrà soddisfatto il suo desiderio e sarà amato. L’amore sensuale non ha questa preoccupazione. Persino un Giove è incerto sulla vittoria, e non può essere altrimenti, si, egli stesso non può desiderare altrimenti. Non così Don Giovanni, che taglia corto e deve sempre essere immaginato come assolutamente vincitore. Questo dovrebbe sembrare un vantaggio per lui, ma in vero è un motivo di indigenza. D’altro lato l’amore psichico ha anche un’altra dialettica, infatti è diverso anche in rapporto ad ogni singolo individuo che è oggetto dell’amore. Sta qui la sua ricchezza, la sua pienezza di contenuto. Non è così Don Giovanni. Infatti egli non ha tempo per una cose dei genere, tutto è per li soltanto questione dei momento. «Vederla e amarla è una cosa sola», questo è nel momento, e nello stesso momento tutto è finito, e la stessa cosa si ripeterà all’infinito.
L’amore psichico si muove proprio nella ricca molteplicità della vita individuale, dove sono le sfumature quelle che veramente importano. L’amore sensuale, invece, può mettere tutto in un fascio. Per esso l’essenziale è la femminilità completamente astratta, e tutt’al più la maggior differenza sensuale. L’amore psichico è sussistenza nel tempo, quello sensuale, sparizione nel tempo, ma il medio che lo esprime è proprio la musica. La musica è adattissima a fare questo perché è di gran lunga più astratta dei linguaggio, e quindi non dice il singolare ma l’universale in tutta la sua universalità, e tuttavia dice questa universalità non nell’astrazione della riflessione ma nella concrezione dell’immediatezza. [ … ] Solo in questo modo Don Giovanni può diventare epico, in quanto costantemente finisca e costantemente possa ricominciare, poiché la sua vita è una somma di momenti che si urtano senza nesso alcuno, la sua vita, come il momento, è una somma di momenti, come una somma di momenti è il momento. In quest’universalità, in questa oscillazione tra essere individuo e essere forza della natura, si trova Don Giovanni; appena egli diventa individuo, l’estetico avrà tutt’altre categorie. Se la cosa non andasse così, Don Giovanni cesserebbe d’essere assolutamente musicale, e l’estetico esigerebbe la parola, la replica; ma dal momento che la cosa sta così, Don Giovanni è assolutamente musicale. […]
Nel caso di Don Giovanni occorre usare l’espressione «seduttore» con gran cautela, se preme dire qualcosa di giusto piuttosto che una banalità. E ciò non perché Don Giovanni sia troppo buono, ma perché egli non cade affatto sotto determinazioni etiche. Preferirei quindi definirlo un impostore, Dal momento che c’è pur sempre qualcosa di molto equivoco in quest’altra espressione. Per essere seduttore occorre sempre una certa riflessione e una certa coscienza, ed è solo quando queste sono presenti che può essere appropriato parlare di scaltrezza di mosse e di abili assalti. Questa coscienza manca a Don Giovanni. Egli perciò non seduce. Egli desidera, ed è questo desiderio ad avere un effetto seducente, in tal senso egli seduce. Egli gode dell’appagamento dei desiderio; appena ne ha goduto, cerca un nuovo oggetto, e costa all’infinito. Egli perciò inganna, certo, ma senza organizzare il suo inganno in precedenza; è la potenza della propria sensualità ad ingannare le sedotte o meglio è una sorta di nemesi. Egli desidera e continua a desiderare, e gode costantemente dell’appagamento dei desiderio. Per essere un seduttore gli manca il prima, in cui elaborare il suo piano, e il poi, in cui rendersi cosciente della propria azione. Un seduttore deve perciò essere in possesso di una potenza che Don Giovanni non ha, pur essendo per altro ben dotato, la potenza della parola. Appena gli diamo la potenza della parola egli cessa d’essere musicale, e l’interesse estetico muta dei tutto.
English: Samuel Taylor Coleridge and The Rime of the ancient Mariner”
The lron Maiden is an English rock band born in the 1976 and yet very important in the entire world. They played heavy metal, a hard-rock based on captive sounds and instrument’s virtuosity. In their production take an important place the song “The Rime of the ancient Mariner” included in the album Powerslave, a free reinterpretation of the same works written by Samuel Taylor Coleridge, authors that under opium’s influence composed visionary works. Just because of these visionary ideas and scenes the Iron Maiden lovers of medieval setting and gloomy atmosphere decided to make a song inspired by this poem.
Life and main works was born in Devonshire in 1772. At the age of 10, after the death of his father, he was sent to Christ’s Hospital School in London, he soon displayed prodigious talents as a natural orator and later he went to study at Cambridge. He was heavily influenced by French revolutionary ideas.
In 1794 Coleridge married Sarah Fricker, but their marriage turned out to be a failure. Domestic difficulties increased because of the chronic he suffered from, and he started taking opium for medical reasons, in order to ease his bodily pains, but at the end of the treatment he wasn’t able to free himself of taking opium becoming an opium addict.
In 1797 he met the poet William Wordsworth and settled in Somerset, where an important collaboration, which proved to be crucial in terms of Coleridge’s creative output, started. Most of his best poetry belongs to these years:
· The Rime of the ancient Mariner, his masterpiece, written in 1798, is concerned with the supernatural and represents a triumph of the Gothic taste for the phantoms bred by the darkness and fear. It is the first poem of the collection Lyrical Ballads, that became, along with the Preface to his second edition, the Manifesto of the English Romantic movement.
· Christabell, an unfinished poem, set in the Middle Ages, about a young girl under a witch’s spell, was written in 1797 but published in 1816.
· Kubla Khan, again unfinished Supposedly compose by the influence of the opium, Coleridge described this dream-like poem as a psychological curiosity but many critics have interpreted it as a symbolic representation of the poetic creative process.
In 1799 he joined Wordsworth and his sister in the Lake District. Coleridge’s growing enslavement to opium coincided with his falling in love with Sarah Hutchinson, the sister of Wordsworth future wife; because of this he left his wife.
He then spent a period of solitude in Malta between 1804 and 1806, after which he returned to England and began a career lecturing on literary concern and in journalism, even though his addiction to opium continued to plague him.
Finally he settled in London, where he produced Biographia Literaria (1817), a classic text of literary criticism and autobiography. Here he explained the dual task which he and Wordsworth had set themselves in the Lyrical Ballads.
In contrast to Wordsworth preoccupation with subjects from ordinary life, his own task was to write about extraordinary events in a credible way.
It is in this light that the effort at making extraordinary situations familiar and realistic can be fully appreciated. In fact Coleridge presents each action and each situation in a concrete form in which the details are selected for their appeal to common experience; however unnatural these events may be, they originate from natural elements, and for this reason they can be considered real. Colerigde’s remaining years were relatively carefree, since his opium addiction was kept under control. He died in 1834.
Important themes
Like Blake and Wordsworth, Coleridge stressed the role of imagination, but he distinguished between “primary” and “secondary” imagination. He described primary imagination” as a fusion of perception and the human individual power to produce images. It was also the power to give chaos a certain order, to give material of perception a certain shape. “Primary imagination” went beyond the mere perception of object and enabled man to form concepts and produce communication, joining the world of thought with the world of things. “Secondary imagination” was something more: it was the poetic faculty, which not only gave shape and order, to a given world, but built new worlds.
In his poetry Coleridge introduce also the idea of Fancy that is different from the idea of imagination: fancy is only the ability of every man to use material details and subjects in order to associate them in a new story, on contrary imagination is the capacity the poet to create something (images, ideas … ) that never exist.
Another important theme of the production of Coleridge is the presence of the nature. Unlike Wordsworth, Coleridge did not view nature as a moral guide or a source of consolation and happiness. His contemplation of nature was always accompanied by the awareness of the presence of the ideal in the real. His strong Christian faith, however, did not allow him to identify nature with the divine, in that form of pantheism which Wordsworth adopted. He rather saw nature and the material world in a sort of Neo Platonic interpretation, as the reflection of the perfect world of “ideas”. In the other words, the material world is nothing but the projection of the “real” world of ideas on the flux of time. Thus Coleridge believed that natural images carried abstract meanings and he used them in his most visionary poems.
The Rime of the ancient Mariner SUMMARY
The Rime of the ancient Mariner is made up of seven parts and is set in a boundless sea with days of pitiless sun and night lit by the moon.
It is introduced by an “Argument” containing a short summary of the whole poem, and consists of two narratives: one is made up of the captions to the right of the stanzas, which constitute the framework and introduce the protagonist and his listener; the other is the poem itself, which deals with the extraordinary adventures of the Mariner.
First part: the ancient Mariner stops a wedding guest to tell him his dreadful tale. He narrates how he and his fellow mariners reached the equator and the polar regions after a violent storm. After seven days an albatross appeared through the fog and was killed by the Mariner. The shooting of a bird may seem a matter of little moment, but Coleridge makes it significant in two ways. First of all, he does not say why the Mariner kills the albatross and what matters is precisely the uncertainty of the Mariner’s motives, which suggests the essential irrationality of the crime. Secondly, this action is against nature and brakes a secret law of life.
Second part: the Mariner begins to suffer punishment for what he has done, and Coleridge transfers to the physical world the corruption of the helplessness which are the commune attributes of guilt. The world which faces the Mariner after his crime is dead and terrible; the ship has ceased to move and the sailors are tortured by thirst, and the only moving things ore slimy creatures in the sea and the death-fire which dance at night.
Third part.- it shows how the Mariner’s guilty soul becomes conscious of what he has done and of his isolation from the world. A phantom ship comes closer to the doomed crew and is identified as a skeleton ship. On board Death an Life- in-Death, seen as a ghost, cast dice; the former wins the Mariner’s fellows, who all die, and the latter wins the Mariner’s life.
Fourth part. this sense of solitude is stressed and the guilty soul of the Mariner is cut off not merely from human intercourse but also from nature. Then the Mariner, unaware, blesses the water snakes and begins to re-establish a relationship with the world of the nature.
Fifth part: continues he process of the soul’s revival. The ship begins to move and the celestial spirit stand by the corpses of the dead men.
Sixth part: the process of healing seem to be impeded, and the ship reaches England.
Seventh part. the Mariner gains the wedding guest’s sympathy. Coleridge does not tell the end of the story, but lets the reader suppose that the Mariner’s sense of guilt will end only with his death.
Musical Devices
In “The rime of the ancient Mariner” Coleridge used a tot of musical devices in order to make his poem more melodic. This poem contains many of the features traditionally associated with ballads, that is: the combination of dialogues and narration; the four-line stanzas; frequent repetition of some verses; alliteration and internal rhyme.
Coleridge used other tricks to improve the musicality of his poems like the Run- on-line that consists in the separation in to two or more verses of a single phrase; he made use of assonance and alliteration that is the repetition of the same vowel or consonant sound in consecutive words or words which are closer together, like for example: “The Wedding – Guest here beat his breast”. Important is also the use of onomatopoeia that is referred to a word whose sound illustrates his meaning.
Ali this features make the poem very musical and more simple to read.
Here I report the song Rime of the Ancient Mariner
by IRON MAIDEN
Hear the rime of the ancient mariner
See his eye as he stops one of three
Mesmerises one of the wedding guests
Stay here and listen to the nightmares of the sea.
And the music plays on, as the bride passes by
Caught by his spell and the mariner tells his tale.
Driven south to the land of the snow and ice
To a place where nobody’s been
Through the snow fog flies on the albatross
Hailed in God’s name, hoping good luck it brings.
And the ship sails on, back to the North
Through the fog and ice and the albatross follows on.
The mariner kills the bird of good omen
His shipmates cry against what he’s done
But when the fog clears, they justify him
And make themselves a part of the crime.
Sailing on and on and north across the sea
Sailing on and on and north ‘til all is calm.
The albatross begins with its vengeance
A terrible curse a thirst has begun
His shipmates blame bad luck on the mariner
About his neck, the dead bird is hung.
And the curse goes on and on at sea
And the curse goes on and on for them and me.
“Day after day, day after day,
we stuck nor breath nor motion
as idle as a painted ship upon a painted ocean
Water, water everywhere and
all the boards did shrink
Water, water everywhere nor any drop to drink.”
There calls the mariner
There comes a ship over the line
But how can she sail with no wind in her sails and no tide.
See…onward she comes
Onward she nears out of the sun
See, she has no crew
She has no life, wait but here’s two.
Death and she Life in Death,
They throw their dice for the crew
She wins the mariner and he belongs to her now.
Then…crew one by one
they drop down dead, two hundred men
She…she, Life in Death.
She lets him live, her chosen one.
“One after one by the star dogged moon,
too quick for groan or sigh
each turned his face with a ghastly pang
and cursed me with his eye
four times fifty living men
(and I heard nor sigh nor groan)
with heavy thump, a lifeless lump,
they dropped down one by one.”
The curse it lives on in their eyes
The mariner wished he’d die
Along with the sea creatures
But they lived on, so did he.
and by the light of the moon
He prays for their beauty not doom
With heart he blesses them
God’s creatures all of them too.
Then the spell starts to break
The albatross falls from his neck
Sinks down like lead into the sea
Then down in falls comes the rain.
Hear the groans of the long dead seamen
See them stir and they start to rise
Bodies lifted by good spirits
None of them speak and they’re lifeless in their eyes
And revenge is still sought, penance starts again
Cast into a trance and the nightmare carries on.
Now the curse is finally lifted
And the mariner sights his home
spirits go from the long dead bodies
Form their own light and the mariner’s left alone.
And then a boat came sailing towards him
It was a joy he could not believe
The pilot’s boat, his son and the hermit,
Penance of life will fall onto him.
And the ship sinks like lead into the sea
And the hermit shrives the mariner of his sins.
The mariner’s bound to tell of his story
To tell this tale wherever he goes
To teach God’s word by his own example
That we must love all things that God made.
And the wedding guest’s a sad and wiser man
And the tale goes on and on and on.