Vita e opere:
Carlo Cassola nasce a Roma nel 1917; la madre è originaria di Volterra mentre il padre è lombardo, ma vissuto a lungo anch’egli nella cittadina toscana. E infatti, proprio la Toscana, in particolare la Maremma, diventerà la patria poetica e spirituale dello scrittore, che vi si trasferirà nel ’40, partecipandovi anche alla Resistenza. L’attività letteraria era già cominciata negli anni ’30: tra il ’37 e il ’40 Cassola aveva composto una serie di brevi racconti, in parte pubblicati sulle riviste «Meridiano di Roma» e «Letteratura» e poi raccolti in un volume dal titolo La visita. Dopo l’interruzione della guerra, Cassola si dedica con continuità alla narrativa, affiancata all’insegnamento di filosofia in un liceo di Grosseto. Pubblicò i racconti lunghi Baba (1946), I vecchi compagni (1953), Fausto e Anna (1952), tutti di argomento partigiano. Con il racconto lungo Il taglio del bosco, scritto tra il ’48 e il ’49 ma pubblicato nel 1954, la prosa cassoliana si allontana dalle tematiche storiche per assumere un tono più dimesso e intimistico, che rimarrà tipico dell’autore anche nella sua produzione successiva. Così, se Il soldato (con cui Cassola vince il Premio Salento nel 1958) tratta il tema della solitudine e dell’elegia amorosa, nella raccolta di racconti La casa di Via Valadier (1956) il motivo politico si colora di forti implicazioni esistenziali. In questa scia viene a collocarsi anche il romanzo pubblicato nel 1960 ed insignito del Premio Strega. Nella produzione degli ultimi anni che, tra romanzi e racconti, si mantenne regolare e costante troviamo: Un cuore arido (1961), Il cacciatore (1964); Tempi memorabili (1966); Storia di Ada (1967); Ferrovia locale (1968); Una relazione (1969); Paura e tristezza (1970); Monte Mario (1973); L’antagonista (1978); Il ribelle (1980). Da ricordare anche la collaborazione con il «Corriere della Sera», con la rubrica di terza pagina Fogli di diario, e la produzione saggistica, in cui si distinguono l’inchiesta condotta con Luciano Bianciardi sui Minatori in Maremma (1958) e il volume Viaggio in Cina (1956).
La trama:
La vicenda è ambientata nella Val d’Elsa subito dopo la Liberazione. Arturo Cappellini, che tutti chiamano Bube, è un ex-partigiano che, finita la guerra, torna a casa e va a far visita alla famiglia del compagno Sante, ucciso durante la lotta. Bube ha bisogno di parlare con il padre di Sante, infaticabile militante comunista, ma trova Mara, la sorella di Sante. L’incontro casuale si trasforma presto in qualcosa di diverso: un semplice gioco per Mara, un bisogno umano, prima che vero amore, per Bube.
Sono giovani entrambi, ma Bube ha dovuto crescere in fretta. Privo d’altri punti di riferimento, Bube si è lasciato conquistare e trascinare dall’ideologia del partito che lo ha trasformato nel partigiano Vendicatore e, anche a guerra finita, un forte sentimento di fedeltà e di cameratismo lo porta a perpetrare la violenza. Una sera Bube incontra il prete Ciolfi, vecchio fascista che, come tale, era dovuto scappare dal paese; insieme al rancore politico, c’è nell’animo di Bube un sentimento di pietà per quel vecchio conosciuto sin dall’infanzia; fa quindi finta di non vederlo, e cerca poi di proteggerlo dalla rabbia di qualche donna. Quando sente però che l’accanimento popolare contro l’avversario è più forte della sua pietà , si trasforma da difensore in aggressore: è a lui, al “Vendicatore”, che tocca il compito e l’onore di picchiare. E’ con il medesimo spirito che Bube partecipa ad un contrasto tra comunisti e un maresciallo dei carabinieri, nel quale si scatena una sparatoria in cui il graduato fredda un “compagno”, Bube allora, pervaso dall’ira, prima uccide il carabiniere e poi insegue e ammazza suo figlio. Bube si sente tradito dalla sua associa-zione politica, non soltanto perché dopo il delitto il partito non lo difende abbastanza, ma il “tradimento”, di cui il protagonista si sente vittima è antecedente, in quanto ha avuto inizio sin da quando il movimento lo ha educato ai valori della violenza punitiva, senza avvertirlo dei rischi che egli correva: era un burattino nelle mani del suo partito. Questo fatto irrazionale e doloroso cambierà completamente la vita di Bube e di riflesso quella di Mara. La ragazza che ha accettato la corte di Bube quasi per caso, per curiosità, si trova coinvolta in una vicenda che dapprima non capisce ma, una volta compreso il significato più profondo, ne fa la propria ragione di vita. Mara e Bube hanno appena il tempo di un breve incontro d’amore in un capanno, prima della fuga del ragazzo, in Francia, su consiglio dei compagni.
Rimasta sola, Mara comincia a riflettere sul suo rapporto con Bube e, combattuta fra il padre che la incoraggia e la madre che cerca di allontanarla dal pensiero di un amore doloroso, sarà proprio nel dolore di Bube che troverà la forza di esprimere tutta la grandezza del sentimento che prova.
Mara è stata tentata di cambiare idea dopo aver conosciuto un giovane operaio, Stefano che con la sua cultura superficiale e i suoi modi gentili, ha colmato, per un breve periodo la sua solitudine. In Stefano Mara vedeva la possibilità di fuggire in qualche modo dalla realtà, ma quando questi le parla di matrimonio e di figli, torna con i piedi per terra e capisce che il suo destino è con Bube.
I personaggi:
MARA: sedicenne nata da una famiglia partigiana, emblema femminile, in quanto forte e vulnerabile allo stesso tempo, procede nel romanzo in una crescita che la vede dapprima impulsiva, audace ed impudente e poi, dopo aver percorso una strada fatta di dolore ed amore, matura. Segno di maturità è infatti la scelta che opera alla fine del romanzo, quando rifiuta l’amore di Stefano che le assicura un futuro, riconoscendo gli errori di Bube si sacrifica e decide di ripagarlo con la fedeltà e l’amore eterno riponendo la sua fiducia nella speranza di un futuro migliore.
BUBE (Arturo Cappellini): tanto impacciato nei gesti e nelle parole in presenza di Mara, quanto impulsivo e baldanzoso nel suo desiderio di far giustizia dei fascisti; ragazzo orfano di padre che non aveva mai avuto un punto di riferimento che lo guidasse nelle proprie scelte e azioni. Partigiano di famiglia umile. Dal punto di vista fisico era ” magrolino, bruno, con i capelli lisci ed i baffetti” “senza giacca sembrava anche più magro”, “dalle maniche sbucavano due avambracci sottili e senza muscoli”. Cicatrice sulla fronte in seguito ad un pestaggio subito. La sua freddezza e determinazione in battaglia lo avevano qualificato come il “Vendicatore”. Lasciatosi conquistare e trascinare dall’ideologia del partito anche a guerra finita, un forte sentimento di fedeltà e di cameratismo lo porta a perpetrare l’aggressività. Così, animato dalla speranza di miglioramento rappresentata dalla Resistenza, dopo essere stato coinvolto in due gravi episodi ed essere stato abbandonato al suo destino, il povero Bube si sente tradito dal suo partito, in quanto questo non lo ha difeso. Rappresentando così una generazione sconfitta nella sua giovinezza.
Collocazione geografica e temporale:
La “Ragazza di Bube” è ambientato in Toscana nella Val d’Elsa. Tutti i luoghi sono descritti con dovizia di particolari e alla descrizione accurata non sfuggono gli eventi, le azioni ed i paesaggi. Nella descrizione prevalgono il senso visivo ed emotivo. La descrizione dello spazio viene utilizzata per sottolineare lo stato d’animo dei personaggi Il romanzo va inquadrato in una precisa situazione storica: quella dell’Italia tra il 1944 e il 1948, vale a dire il periodo della Resistenza, un movimento nato nel corso della Seconda Guerra Mondiale contro l’occupazione delle truppe tedesche in Europa. Ci sono poche date, ma le indicazioni agli avvenimenti politici, bastano a farci ricostruire l’intera cronologia della vicenda infatti i suoi protagonisti vivono ancora nell’atmosfera appassionata della Resistenza da poco conclusasi con la liberazione.