In seguito a questo discorso, la padrona di casa scoppia in lacrime, commossa. Contemporaneamente le ritorna in mente il giorno in cui la sua adorata cagnetta, dopo essere entrata nella sala atteggiandosi, morde un servo con l’eburneo dente; per questo viene scalciata violentemente provocando lo sdegno della padrona, che sviene. Rinsavita punisce duramente il servo, e lo licenzia: egli non potendo opporre resistenza finisce in mezzo alla strada con la moglie e i figli a chiedere l’elemosina. Il brano si chiude in maniera ironica con la cagnetta che finalmente ha ottenuto la sua vendetta tanto bramata.
-E’ uno tra i brani più sarcastici e insieme più drammatici di tutto il “Mezzogiorno”. Il sarcasmo – evidente nel linguaggio della dama che trova adorabile la sua cagnetta (“allora che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna , giovenilmente vezzeggiando…” vv. 518-520 ) e deliziosi i suoi dentini, candidi come avorio, e poi giudica il piede del servitore villano e sacrilego – risalta particolarmente nella scena tragicomica dello svenimento e soprattutto negli ultimi versi dove la cagnetta diviene l’idolo di una società ingiusta e tanto corrotta da anteporre all’uomo un animale e fare di quest’ultimo un dio mentre l’altro perde ogni considerazione.
– Il dramma della cagnetta viene visto persino in chiave mitologica: è come se alla cagnetta, infastidita per il calcio, rispondesse la ninfa Eco impietosita. Il riferimento assume così in questo brano valore ironico perché riferito ad un soggetto ridicolo come la cagnetta.
– Il punto di vista, nel corso della narrazione, muta; riguardo al licenziamento del servo vi è un’ambivalenza: nell’ottica della dama vi è compiacimento per la punizione esemplare inflitta all’empio, mentre in quella dell’autore – tra le righe – vi è sdegno morale per la disumanità della padrona nei confronti del servo.
Dal momento che Parini inizia a raccontare dal suo punto di vista, il tono si fa serio, drammatico, in quanto deve rappresentare l’infelice sorte e il dolore provato dal domestico, licenziato senza possibilità di trovare altro lavoro perché disdegnato anche dalle altre dame.
– L’alternanza dei punti di vista e l’abilissima tecnica narrativa con cui è portato avanti l’episodio fanno emergere come quel mondo frivolo e insulso
nasconda in realtà un fondo di cinismo crudele.
– Il breve ritratto del vegetariano mette in luce come la sua delicatezza d’animo sia solo un’ostentazione snobistica: il nobile ritiene troppo facile e banale, troppo volgare rivolgere la sua pietà verso l’uomo. L’ interesse suo e della dama verso gli animali sacrificati nei banchetti cela una crudele ipocrisia: infatti si sdegna per gli animali che vengono uccisi, ma non per il servo che viene crudelmente licenziato.
– Notevole, da parte dell’autore, è l’utilizzo di aggettivi che accompagnano dei sostantivi per meglio rappresentarli.
– Il metro utilizzato da Giuseppe Parini è l’endecasillabo sciolto.
«Pera colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella,
505 e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegàro i teneri belati
né i pietosi mugiti né le molli
lingue lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè, stringea».
510 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
al suo pietoso favellar dagli occhi
de la tua Dama dolce lagrimetta
pari a le stille tremule, brillanti
che a la nova stagion gemendo vanno
515 dai palmiti di Bacco entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici. Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
520 giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
525 gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aita aita
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitàro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d’essenze a la tua Dama;
535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
545 zelo d’arcani uficj: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell’assisa spogliato ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
550 inorridìro, e del misfatto atroce
odiàr l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
555 e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.