Tanto gentile e tanto onesta pare e Oltre la spera che piu’ larga gira Venti…
28 Dicembre 2019Boccaccio Andreuccio da Perugia II giornata V novella
28 Dicembre 2019Nel poema dell’ Aminta di Torquato Tasso, il coro del primo atto esplora il concetto dell’Età dell’Oro, un tempo mitico di pace e abbondanza in cui gli uomini vivevano in armonia con la natura, senza leggi o costrizioni sociali.
La riflessione su questo tema può essere interpretata sia come una celebrazione di un passato ideale, sia come un sogno irrealizzabile.
Età dell’Oro: Realtà o Sogno?
- Realtà Mitica:
- Il coro evoca l’Età dell’Oro come un periodo reale, anche se mitico, in cui l’umanità viveva in uno stato di perfetta felicità e semplicità. Non c’era bisogno di leggi, poiché la natura umana era intrinsecamente buona, e non esistevano conflitti né ingiustizie. Questo stato ideale viene presentato come una realtà storica, seppure appartenente a un passato lontano e irrecuperabile.
- Sogno Irrealizzabile:
- Tuttavia, il coro suggerisce anche che questa Età dell’Oro possa essere solo un sogno, una fantasia che contrasta con la realtà presente. Il desiderio di tornare a quell’epoca è visto come un anelito nostalgico, un rifugio mentale per sfuggire alle difficoltà e alle imperfezioni della vita contemporanea. L’Età dell’Oro diventa così un’utopia, un ideale irraggiungibile che esiste solo nell’immaginazione.
Introduzione:
Il coro del primo atto dell’Aminta di Torquato Tasso, noto come “Età dell’oro”, è una riflessione poetica sull’epoca mitica chiamata Età dell’Oro, un tempo in cui l’umanità viveva in armonia con la natura, priva delle costrizioni e delle sofferenze introdotte successivamente dal concetto di onore.
Questo coro presenta appunto l’Età dell’Oro come una realtà mitica ma, allo stesso tempo, la tratta come un sogno lontano e impossibile da ricreare. Questa duplice visione invita a riflettere su quanto l’uomo desideri la perfezione e l’armonia, pur sapendo che tali condizioni sono probabilmente fuori dalla sua portata.
In questo senso, l’Età dell’Oro è sia un simbolo di ciò che è stato perduto, sia un sogno che alimenta la speranza ma che rimane irrealizzabile nel mondo reale.
Testo e parafrasi:
Parafrasi
O Bella età de l’oro,
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Parafrasi
O bella Età dell’Oro, Non perché i fiumi scorrevano di latte E i boschi stillavano miele, Non perché le terre producevano i loro frutti Senza bisogno dell’aratro, E i serpenti strisciavano senza rabbia o veleno, Non perché il cielo non si copriva mai Di nuvole oscure, Ma perché vivevamo in una primavera eterna, Sempre illuminata e serena, E nessuna nave straniera Portava guerra o merci a terre lontane.
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Nome senza soggetto, Quell’Idolo d’errori, idol d’inganno, Quel, che dal volgo insano Honor poscia fu detto, Che di nostra natura ’l feo tiranno, Non mischiava il suo affanno Frà le liete dolcezze De l’amoroso gregge, Nè fù sua dura legge Nota à quell’alme in libertate avvezze, Ma legge aurea, e felice, Che natura scolpì, S’ei piace, ei lice. |
Ma soprattutto perché allora Quel vano nome, privo di sostanza, Quell’idolo di errori e inganni, Che più tardi fu chiamato Onore, Che divenne il tiranno della nostra natura, Non mescolava la sua angoscia Con le gioie felici Del gregge amoroso. Le anime, abituate alla libertà, Non conoscevano la dura legge Dell’onore, ma solo una legge d’oro e felice, Che la natura stessa aveva scolpito: “Se piace, è lecito”.
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Allhor trà fiori, e linfe, Trahean dolci carole Gl’Amoretti senz’archi, e senza faci, Sedean Pastori, e Ninfe, Meschiando à le parole Vezzi, susurri, ed à i susurri i baci Strettamente tenaci; La Verginella ignude Scopria sue fresche rose, Ch’hor tien nel velo ascose, E le poma del seno acerbe, e crude; E spesso in fonte, ò in lago Scherzar si vide con l’amata il vago. |
Allora, tra fiori e ruscelli, Gli Amoretti danzavano dolci carole Senza archi né fiaccole, I pastori e le ninfe sedevano insieme, Mescolando parole con carezze, Sussurri con baci teneri. Le giovani vergini mostravano senza timore Le loro fresche rose, Ora nascoste sotto un velo, E i seni acerbi e immaturi; Spesso si vedevano i giovani innamorati Giocare insieme nelle fonti o nei laghi.
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Tu prima, Honor, velasti, La fonte de i diletti, Negando l’onde à l’amorosa sete. Tu à begli occhi insegnasti Di starne in se ristretti, E tener lor bellezze altrui secrete. Tu raccogliesti in rete Le chiome à l’aura sparte. Tu i dolci atti lascivi Festi ritrosi, e schivi. A i detti il fren ponesti, à i passi l’arte. Opra è tua sola, ò Honore, Che furto sia quel, che fù don d’Amore. |
Poi tu, Onore, sei arrivato, E hai velato la fonte dei piaceri, Negando l’acqua alla sete d’amore. Hai insegnato agli occhi belli A rimanere chiusi in sé, A nascondere le loro bellezze agli altri. Hai raccolto i capelli sparsi al vento E hai reso schivi i dolci atti lascivi, Hai posto un freno alle parole e un’arte ai movimenti. Opera tua, o Onore, È il fatto che ciò che un tempo era un dono d’Amore, Ora sia considerato un furto. |
E son tuoi fatti egregi Le pene, e i pianti nostri. Ma tu, d’Amore, e di Natura donno, Tu domator de’ Regi, Che fai trà questi chiostri, Che la grandezza tua capir non ponno; Vattene, e turba il sonno Agl’illustri, e potenti: Noi qui negletta, e bassa Turba senza te lassa Viver ne l’uso de l’antiche genti. Amiam, ché non hà tregua Con gli anni humana vita, e si dilegua: |
I tuoi grandi atti Sono le nostre pene e i nostri pianti. Ma tu, signore dell’Amore e della Natura, Tu che domi i re, Cosa fai qui, tra questi luoghi umili, Che non possono contenere la tua grandezza? Vattene, e turba il sonno Di coloro che sono illustri e potenti: Noi, gente semplice e umile, Vogliamo vivere senza di te, Seguendo gli antichi costumi. Amiamo, perché la vita umana non ha tregua, Sfugge via con gli anni. |
Amiam, che ’l Sol si muore, e poi rinasce. A noi sua breve luce S’asconde, e ’l sonno eterna notte adduce. |
Amiamo, perché il Sole tramonta e poi rinasce, Ma per noi la sua breve luce Si nasconde, e il sonno porta con sé una notte eterna. |