Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019di Alissa Peron
1) Natura dell’accento greco
Il greco utilizzava un accento musicale, elevazione o abbassamento del tono, diversamente dall’italiano che usa un accento intensivo, intensificazione della voce. Come chiarisce una testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, l’accento acuto indica un’elevazione sensibile del tono, l’accento circonflesso un innalzamento seguito da un abbassamento e prevede perciò due tempi, ecco perché può stare solo sulle vocali lunghe. Se su una vocale lunga cade l’accento acuto, per il primo tempo il tono rimane invariato e si eleva nel secondo. Tònos è un termine che deriva da teìno, tendere, significa tensione delle corde vocali. L’accento musicale non influisce sulla durata dei fonemi vocalici, mentre l’accento intensivo prevede la lunghezza della vocale accentata e l’abbreviazione della successiva.
Troviamo corrispondenza tra accento in sedi metriche e sillabe toniche a partire dall’età imperiale, con gli epigrammisti Antipatro e Filippo di Tessalonica. Nel favolista Vabrio vi è una costante attenzione alla posizione dell’accento nel verso.
2) La versificazione greca e i caratteri dell’esametro
Il ritmo della versificazione greca si basa sulla successione regolata di sillabe lunghe e brevi; è un’opposizione binaria di tipo fonologico, non fonetico. Una sillaba terminante in vocale si dice aperta, in consonante si dice chiusa; una sillaba chiusa è sempre lunga, qualunque sia la quantità della sua vocale: ai fini metrici conta infatti la quantità della sillaba, non della vocale. Una sillaba è breve se la sua vocale è breve, lunga se la vocale è lunga o è un dittongo. Ogni consonante fa sillaba con la vocale che segue, se ve ne sono due contigue la prima fa sillaba con la vocale che precede, la seconda con quella che segue; ciò vale anche quando le parole sono in continuità in una frase, indipendentemente dai segni di interpunzione o dalle pause sintattiche, mentre in prosa esse influiscono naturalmente sulla lunghezza o brevità delle sillabe. I dittonghi ai ed oi in fine di parola, che ai fini dell’accento sono brevi, metricamente sono lunghi.
La musica, legata alla poesia fin dall’inizio, conosce una fase arcaica in cui il rapporto tra melodia e lingua era più stretto, ed una fase successiva in cui c’è più libertà melodica; sappiamo pochissimo di musica greca. Aristofane fa la parodia di questa libertà melodica prolungando a dismisura le vocali. I versi si dividono in recitati dagli attori, cantati o lirici e parakatalogè, intonazione di voce non proprio canto; in molti casi non sappiamo come fossero modulati i vari versi: sappiamo che il trimetro giambico era recitato, l’elegia era in parakatalogè.
All’interno dello schema di un verso greco tende ad essere collocata una fine di parola in posizioni fisse, la cesura; essa è presente solo nei versi recitati, e ciò ci permette di distinguere con criterio interno del verso gli uni dagli altri. Ad esempio i frammenti di Alceo erano canzoni, non ci sono fini di parola generalizzate, mentre le odi di Orazio con lo stesso schema metrico, la strofe alcaica, erano versi recitati, le cesure sono fisse, egli era un poeta intellettuale. E’ marcata in questo esempio la differenza tra poesia recitata e trasmessa oralmente o cantata, Alceo, e letteratura, Orazio. Nel caso della parakatalogè i cola lirici sono riuniti ma separati da cesura e hanno caratteristiche diverse: possono essere formati da una parte dattilica e una parte giambica. Non sappiamo se Omero fosse cantato o in parakatalogè. La cesura ipso facto non è una pausa, solo ci si aspetta che in un punto finisca una parola. L’esametro è nato dalla fusione di cola più brevi, quindi la cesura “è un lascito genetico”: era il punto di unione, ed era un fatto puramente estetico atteso dal pubblico per abitudine. I luoghi di cesura omerica sono pentemimere, dopo il quinto mezzo piede, e trocaica, dopo il trocheo terzo, vale a dire dopo la prima sillaba breve del terzo metro dattilico; le altre possibili cesure sono eftemimere, dopo il settimo mezzo piede, e dieresi bucolica, dopo il quarto piede, che isola l’adonio finale. Mentre in Omero vi sono 48 possibilità di esametro, diventano 21 in Callimaco e 9 in Nonno; l’esametro diventa sempre più normato da leggi, l’opposto vale per il trimetro giambico che nasce più regolato ed arriva all’estrema libertà nei senari giambici di Plauto.
Legge di Varrone, rispettata in tutti gli esametri: un esametro non può essere bipartito se non vi è cesura pentemimere o trocaica, non può esserci una fine di parola che divida i primi tre piedi dagli altri.
Correptio epica: vocale lunga o dittongo in fine di parola davanti a parola iniziante per vocale è considerato elemento breve.
Legge di Hermann: nell’esametro è vietata fine di parola dopo il trocheo quarto, cioè dopo il trocheo del quarto metro dattilico. Questa legge vale negli esametri greci ma non in quelli latini.
3) Incontri vocalici
– iato: incontro in cui entrambe le vocali costituiscono sillaba; si tende più possibile ad evitarlo, ma in Omero è a volte presente.
– sineresi, che consiste in due fenomeni:
1. Sinizesi: due vocali all’interno di parola sono pronunciate in un’unica sillaba. Nel dittongo il primo elemento di maggiore apertura ha funzione vocalica, il secondo semivocalica, ed entrambi costituiscono sempre una sola sillaba. La sinizesi è un fenomeno frequente, spesso necessario per evitare iati interni ma soprattutto per ridurre il numero delle sillabe; a volte anche tre vocali possono contare come una sola sillaba.
2. Sinalefe o crasi: vocale finale di parola e iniziale della successiva si pronunciano in un’unica sillaba; avviene soprattutto con parole prepositive (preposizioni, congiunzioni…), non parole a tutti gli effetti dal punto di vista metrico; se ciò avviene tra parole di uguale peso lessicale è per ragioni di schema metrico. E’ un fenomeno della lingua parlata ed è raro nell’epica.
– Elisione: una vocale breve o un dittongo considerato breve ai fini dell’accento in fine di parola si elide quando seguito da parola iniziante per vocale. Raramente si elide iota perché facilmente diventa semivocalico e si pronuncia in questo modo senza modificare la grafia del testo. Anche se nei testi letterari editi a noi pervenuti c’è segno di elisione, dobbiamo supporre che in realtà la vocale venisse pronunciata e ci fosse sinalefe (vedi antilabè dei testi teatrali e iscrizioni con scriptio plena).
– Aferesi: si elide la vocale breve iniziale di parola successiva a parola terminante in vocale lunga; è un altro fenomeno della lingua parlata non frequente in poesia.
4) I piedi
Concetto di piede: raggruppamento di sillabe; per gli antichi le unità metriche erano i metra. Efestione nel suo trattato classifica i piedi secondo la quantità delle sillabe.
1. Bisillabi:
– Pirrichio: breve breve;
– giambo: breve lunga;
– trocheo o coreo: lunga breve.
– spondeo: lunga lunga.
2. Trisillabi:
– tribraco: breve breve breve;
– anapesto: breve breve lunga;
– amfibraco: breve lunga breve;
– dattilo: lunga breve breve;
– baccheo: breve lunga lunga;
– palinbaccheo: lunga lunga breve;
– cretico: lunga breve lunga;
– molosso: lunga lunga lunga.
3. Quadrisillabi:
– proceleu(s)matico: breve breve breve breve;
– peone: una lunga e tre brevi, primo secondo terzo quarto a seconda della posizione della lunga;
– ionico a minore: breve breve lunga lunga;
– ionico a maiore: lunga lunga breve breve;
– antispasto (inversione di ritmo): breve lunga lunga breve;
– coriambo: lunga breve breve lunga;
– ditrocheo: lunga breve lunga breve;
– Digiambo: breve lunga breve lunga;
– epitrito: una breve e tre lunghe, primo secondo terzo quarto a seconda della posizione della breve;
– Dispondeo: lunga lunga lunga lunga.
5) Criteri per la stichizzazione
Si devono tener presenti i concetti di colon e metron: il colon è una parte di verso separata dalle cesure, il metron è invece un’unità astratta. Gli antichi scrivevano in colonne di non lunga estensione, quindi il verso era spesso colizzato. Il verso è dunque l’unione di più cola indipendente da ciò che precede e da ciò che segue, isolato da una pausa fonologica (virtuale), unità maggiore percepita come non parte di un’unità più ampia. Esistono anche versi di un solo colon, cioè un uso stichico del colon (stikos = verso).
August Boeckh individuò i criteri di identificazione del verso, utili specialmente in presenza di versi risultato della fusione di più cola con differente natura metrica:
1. ogni verso si conclude con una fine di parola in senso metrico;
2. se la fine di parola è accompagnata da iato è spia di fine verso, infatti la pausa è “una terapia anti-iato”;
3. è presente in ultima posizione nel verso l’elementum indifferens, che si individua quando laddove secondo lo schema metrico servirebbe una breve si ha una lunga o viceversa; ad esempio se si trova una sequenza giambica in un punto della quale vi è una breve al posto di una lunga (brevis in longo); se in questo punto vi è anche fine di parola termina il verso.
Criteri sussidiari, in assenza di iato o brevis in longo: interpunzione, spia di pausa sintattica, ma non sempre coincide con la fine del verso; cognitio metrorum, esperienza di lettura di molti metra.