Movesi il vecchierel canuto et biancho di Francesco Petrarca
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Il Canto VI dell’Inferno si apre nel terzo cerchio, dove sono puniti i golosi. Ecco una parafrasi dei primi 54 versi:
1-9: Al risveglio di Dante, dopo essere svenuto per la pietà verso Paolo e Francesca, egli si trova nel terzo cerchio. Qui vede nuovi tormenti e nuovi tormentati. In questo cerchio piove eternamente, con acqua sporca, neve e grandine. Cerbero, il cane a tre teste, abbaia con le sue tre gole sui peccatori immersi nel fango.
10-21: Cerbero ha occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo e mani unghiate. Graffia gli spiriti, li scuoia e li squarta. I dannati urlano come cani sotto la pioggia, si girano continuamente cercando riparo, ma invano.
22-33: Quando Cerbero vede Dante e Virgilio, apre le bocche mostrando le zanne. Virgilio allora prende della terra e la getta nelle fauci di Cerbero, che si placa come un cane che si acquieta dopo aver afferrato il cibo.
34-45: Dante e Virgilio camminano sulle ombre dei golosi, che sembrano persone. Tutte giacciono a terra, tranne una che si alza a sedere vedendo i due passare. Questa ombra riconosce Dante e gli parla.
46-54: L’ombra dice a Dante: “O tu che sei condotto in questo inferno, riconoscimi se puoi. Tu nascesti prima che io morissi”. Dante risponde che il tormento forse gli ha alterato l’aspetto, tanto che non lo riconosce, e gli chiede chi sia e perché si trovi in quel luogo di pena.
Questo canto è importante perché introduce il tema della gola e presenta la figura di Cerbero, guardiano mitologico dell’Inferno. Inoltre, prepara l’incontro con un personaggio fiorentino che Dante conosceva, il quale sarà rivelato nei versi successivi.
Testo dei primi 54 versi del canto sesto dell’ Inferno di Dante
Testo
Al tornar de la mente, che si chiuse novi tormenti e novi tormentati Io sono al terzo cerchio, de la piova Grandine grossa, acqua tinta e neve Cerbero, fiera crudele e diversa, Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, Urlar li fa la pioggia come cani; Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, E ’l duca mio distese le sue spanne, Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, cotai si fecer quelle facce lorde Noi passavam su per l’ombre che adona Elle giacean per terra tutte quante, “O tu che se’ per questo ’nferno tratto”, E io a lui: “L’angoscia che tu hai Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente Ed elli a me: “La tua città, ch’è piena Voi Cittadini mi chiamaste Ciacco |
Parafrasi Quando ripresi i sensi, che avevo perso per la pietà verso i due cognati (Paolo e Francesca), la cui triste storia mi aveva profondamente turbato, mi trovai circondato da nuovi tormenti e nuovi tormentati, ovunque mi voltassi e guardassi. Sono nel terzo cerchio, dove cade una pioggia eterna, maledetta, fredda e pesante; la sua natura non cambia mai. Grandine grossa, acqua sporca e neve cadono nell’aria buia; la terra che le riceve puzza. Cerbero, bestia crudele e mostruosa, con tre gole, abbaia come un cane sopra la gente qui sommersa. Ha occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo e mani artigliate; graffia gli spiriti, li scuoia e li squarta. La pioggia li fa urlare come cani; si riparano da un lato all’altro; i miseri dannati si girano spesso. Quando Cerbero, il gran verme, ci vide, aprì le bocche e ci mostrò le zanne; non aveva un membro che stesse fermo. La mia guida (Virgilio) allungò le mani, prese della terra e la gettò a piene mani nelle fauci bramose. Come un cane che abbaia desiderando il cibo e si acquieta dopo averlo afferrato, concentrandosi solo a divorarlo, così fecero quelle facce sporche del demonio Cerbero, che stordisce le anime al punto che vorrebbero essere sorde. Noi camminavamo sulle ombre schiacciate dalla pesante pioggia, posando i piedi sulla loro inconsistenza che sembra corpo. Giacevano tutte a terra, tranne una che si alzò a sedere appena ci vide passare davanti. “O tu che sei condotto per questo inferno,” mi disse, “riconoscimi, se puoi: tu nascesti prima che io morissi”. E io a lui: “L’angoscia che provi forse ti cancella dalla mia memoria, così che non mi sembra di averti mai visto. Ma dimmi chi sei, che sei messo in un luogo così doloroso e hai una pena tale che, se ce n’è una peggiore, nessuna è così spiacevole”. Ed egli a me: “La tua città (Firenze), che è così piena d’invidia che il sacco trabocca, mi tenne con sé nella vita terrena. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco per la dannosa colpa della gola, come vedi, mi rovino sotto la pioggia”. |