Canto trentesimo del Purgatorio vv. 55-145
28 Dicembre 2019La sintassi del nominativo
28 Dicembre 2019Nel capitolo 51 del secondo libro del De re publica, Cicerone, lo strenuo difensore delle prerogative del Senato, tratteggia ed esalta la figura di un princeps, ma non si tratta di un princeps nei termini in cui sarà poi chiamato e considerato l’imperatore, appena pochi anni dopo.
Sembra un apparente paradosso quello che emerge dal capitolo 51 del secondo libro del De re publica. Come può Cicerone, l’indomabile difensore del Senato e delle istituzioni repubblicane, tratteggiare nel De Re Publica una figura che somiglia così tanto a un princeps, ossia a una sorta di “capo” o “guida” della repubblica, una figura vicina a quella di un monarca illuminato?
È una contraddizione solo in apparenza, ma andiamo con ordine per sciogliere questo nodo.
Il contesto del De Re Publica e la figura del princeps
Il “De Re Publica” è un’opera che riflette le preoccupazioni di Cicerone in un momento di grave crisi per lo stato romano. È scritto in un’epoca di instabilità, durante la quale le istituzioni repubblicane si trovavano minacciate dall’ascesa di uomini potenti come Silla, Pompeo, e infine Cesare, che cercavano di concentrare il potere nelle loro mani, mettendo da parte il Senato e le magistrature tradizionali.
Nel Libro II, Cicerone traccia una visione ideale dello stato, prendendo come base l’esperienza storica di Roma, ma cercando di correggerne le storture. La sua figura di princeps o “governatore ideale” non è, tuttavia, una figura tirannica o autoritaria come un Cesare o un Augusto, ma piuttosto una guida illuminata, dotata di virtù, saggezza e giustizia.
Il punto di riferimento è il re filosofo alla Platone, ed effettivamente Cicerone, filosofo e statista, si pone in aperto confronto con la filosofia politica di Platone, ma propone un modello di governante che si discosta dall’ideale platonico, presentando una visione più pragmatica e legata alla storia romana.
Testo, Traduzione e analisi
“Quare prima sit haec forma et species et origo tyranni inventa nobis in ea re publica quam auspicato Romulus condiderit, non in illa quam ut perscripsit Plato sibi ipse Socrates perpolito illo in sermone depinxerit”
- Traduzione: Dunque, sia che questa prima forma e figura, e origine del tiranno sia stata trovata da noi in quella repubblica che Romolo fondò con augurio, e non in quella che, come Platone l’ha descritta con Socrate, egli stesso dipinse in quel discorso tanto perfezionato.
- Analisi: Cicerone introduce il confronto tra la fondazione della Repubblica Romana, legata a Romolo, e l’ideale utopico della repubblica platonica. La distinzione tra la realtà politica di Roma e la costruzione teorica di Platone (narrata attraverso il personaggio di Socrate) è chiara: Cicerone prende le distanze dall’astrazione platonica per concentrarsi su un modello che tiene conto della concreta esperienza storica romana.
“ut, quem ad modum Tarquinius, non novam potestatem nactus, sed quam habebat usus iniuste, totum genus hoc regiae civitatis everterit”
- Traduzione: Così come Tarquinio, non avendo ottenuto un nuovo potere, ma avendo usato ingiustamente quello che già possedeva, distrusse completamente questo tipo di governo monarchico.
- Analisi: Qui Cicerone cita il caso di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, la cui ingiusta gestione del potere portò alla caduta della monarchia e alla nascita della Repubblica Romana. Questo esempio serve a sottolineare il pericolo della tirannia quando il potere viene esercitato senza rispetto per la giustizia e la moralità. L’esperienza romana di liberazione dal regime tirannico viene quindi contrapposta al modello monarchico.
“sit huic oppositus alter, bonus et sapiens et peritus utilitatis dignitatisque civilis, quasi tutor et procurator rei publicae”
- Traduzione: Che gli sia opposto un altro uomo, buono, saggio ed esperto dell’utilità e della dignità civile, quasi fosse un tutore e amministratore della repubblica.
- Analisi: Il governante ideale è delineato come l’opposto del tiranno. Cicerone descrive un leader virtuoso, dotato di saggezza e competenza negli affari pubblici, qualcuno che agisce non per interesse personale ma come un tutore o procuratore della res publica. Qui emerge la concezione ciceroniana di un governatore che deve essere una guida morale e amministrativa per la comunità, un concetto che si rifà alle idee stoiche di giustizia e dovere civico.
“sic enim appelletur quicumque erit rector et gubernator civitatis. quem virum facite ut agnoscatis; iste est enim qui consilio et opera civitatem tueri potest”
- Traduzione: Così deve essere chiamato chiunque sarà rettore e governatore della città. Riconoscete questo uomo: egli è infatti colui che con il consiglio e l’opera può proteggere la città.
- Analisi: Cicerone definisce il rettore o governatore come una figura che unisce consiglio (cioè saggezza e prudenza) e opera (azione concreta), capace di difendere e preservare lo stato. La combinazione di pensiero e azione pratica è cruciale per Cicerone: il buon governatore non deve essere solo un teorico, ma qualcuno capace di attuare le sue idee per il bene della collettività.
“quod quoniam nomen minus est adhuc tritum sermone nostro, saepiusque genus eius hominis erit in reliqua nobis oratione trac<tandum>”
- Traduzione: Poiché questo nome è ancora poco comune nel nostro discorso, e più spesso sarà necessario trattare della natura di quest’uomo nel resto della nostra orazione.
- Analisi: Cicerone riconosce che la definizione di questo governatore ideale è ancora un concetto nuovo e non del tutto familiare nella terminologia politica romana. Egli annuncia che nel prosieguo del suo discorso (il “De Re Publica”) elaborerà ulteriormente questo concetto, probabilmente perché ritiene che il governatore ideale debba incarnare una novità politica rispetto alle forme di governo esistenti.
Confronto con Platone
Cicerone, benché filosofo, è innanzitutto un politico romano, e si discosta dall’idealismo platonico. Platone, nel “La Repubblica”, proponeva una città governata dai filosofi-re, figure che incarnavano il massimo della sapienza e della virtù, ma Cicerone è più pragmatico. Egli non sogna un governo dei filosofi, ma un rettore saggio e giusto, che conosca bene sia la dignità civile sia l’utilità pratica. Cicerone, come molti autori latini, è più preoccupato di trovare un equilibrio tra teoria e prassi.
Perché Cicerone elogia un princeps
Nonostante l’apparente elogio del princeps, Cicerone non tradisce i suoi ideali repubblicani, ma piuttosto tenta di riconciliare la necessità di un forte potere esecutivo con il rispetto delle tradizionali libertà repubblicane. Vediamo alcuni punti chiave:
- Il rifiuto della tirannia: Cicerone oppone chiaramente la figura del princeps alla tirannia di un personaggio come Tarquinius Superbus. Il princeps di Cicerone non è un usurpatore del potere, né qualcuno che governa per interesse personale o con la forza. Egli è un custode della repubblica, un “tutor” o “procurator”, incaricato di preservare la stabilità e la dignità dello stato.
- La crisi politica dell’epoca: L’elogio del princeps può essere letto anche come una risposta alla crisi politica del I secolo a.C. In un momento in cui Roma è lacerata dalle guerre civili e dalla corruzione, Cicerone vede la necessità di un capo virtuoso che possa guidare lo stato verso una restaurazione dell’ordine e della giustizia. La sua visione non è antitetica alla repubblica, ma piuttosto mira a salvarla dalla dissoluzione.
- Il ruolo del senato: Cicerone non immagina un princeps che sostituisca il senato, ma che collabori con esso. In questa sua concezione, il princeps è colui che, grazie alla sua autorità morale e alla sua sapienza, è in grado di guidare il senato e il popolo nelle decisioni più difficili. In pratica, è un primus inter pares, il primo tra i pari, un leader naturale che non annienta le istituzioni repubblicane ma le rafforza con la sua presenza.
Non una monarchia, ma una guida repubblicana
La figura del princeps di Cicerone è lontana dall’idea di monarchia assoluta. Non è un dittatore che accentrerebbe tutto il potere nelle sue mani, come Cesare avrebbe fatto pochi anni dopo, ma un saggio custode della res publica. Il termine “princeps” (che in epoca augustea e imperiale avrebbe assunto una connotazione monarchica) in Cicerone mantiene ancora un significato più morbido, riferendosi al “primo cittadino”, qualcuno che guida ma non domina.
La distinzione tra il buon governo e la tirannia
Un punto centrale nella riflessione di Cicerone è la distinzione tra il governo giusto e la tirannia. Il buon princeps è un uomo che governa per il bene comune, mettendo da parte i propri interessi e dedicandosi interamente alla salvezza della repubblica. Cicerone è convinto che lo stato ha bisogno di un capo forte, ma che questo capo deve essere guidato da virtù e saggezza, non da ambizione personale o dalla sete di potere.
Nel passo che hai citato, si afferma che questo rector deve essere saggio ed esperto nella gestione delle utilità e della dignità della cosa pubblica, un chiaro riferimento al fatto che, per Cicerone, l’autorità deve essere subordinata a una visione morale della politica.
Un compromesso tra pragmatismo e ideali
Cicerone riconosceva che la repubblica romana tradizionale si stava sgretolando e che le strutture politiche classiche non erano più sufficienti a contenere le forze disgregatrici presenti nella società. La sua figura di princeps è un compromesso tra il pragmatismo politico e l’ideale repubblicano. Non si tratta di un elogio della dittatura, ma della necessità di una figura capace di garantire stabilità e protezione alle istituzioni repubblicane.
Conclusione: Un Princeps Repubblicano
Insomma, in questo passo del “De Re Publica”, Cicerone articola una visione del governatore ideale come colui che protegge e guida lo stato con saggezza e azione, opponendosi alla figura del tiranno. La sua concezione del leader politico unisce virtù, saggezza, esperienza e capacità amministrative, e si colloca a metà strada tra l’idealismo filosofico e la realtà politica romana.
Quindi, il fatto che Cicerone elogi una figura simile a un princeps non rappresenta un abbandono dei suoi ideali repubblicani, ma piuttosto una riflessione su come proteggere la repubblica stessa dai pericoli del potere arbitrario e della tirannia. Cicerone, sempre legato al Senato, immagina un princeps che collabori con le istituzioni, che guidi con saggezza e virtù, senza opprimere la libertà. Un modello di governo che, a suo avviso, avrebbe potuto salvare Roma dalla degenerazione politica e dall’ascesa di uomini come Cesare o Augusto.
Solo Testo
Quare prima sit haec forma et species et origo tyranni inventa nobis in ea re publica quam auspicato Romulus condiderit, non in illa quam ut perscripsit Plato sibi ipse Socrates perpolito illo in sermone depinxerit, ut, quem ad modum Tarquinius, non novam potestatem nactus, sed quam habebat usus iniuste, totum genus hoc regiae civitatis everterit; sit huic oppositus alter, bonus et sapiens et peritus utilitatis dignitatisque civilis, quasi tutor et procurator rei publicae; sic enim appelletur quicumque erit rector et gubernator civitatis. quem virum facite ut agnoscatis; iste est enim qui consilio et opera civitatem tueri potest. quod quoniam nomen minus est adhuc tritum sermone nostro, saepiusque genus eius hominis erit in reliqua nobis oratione trac<tandum>