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28 Dicembre 2019Publio Terenzio Afro, noto come Terenzio, nacque a Cartagine intorno al 185-184 a.C. Arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano, da cui prese il nome una volta liberato, diventando così Publio Terenzio Afro.
Fu istruito come un uomo libero grazie all’influenza dei suoi amici, in particolare Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna, Scipione Emiliano e Gaio Lelio. È in questo contesto che si sviluppò lo stile artistico di Terenzio. Tuttavia, a causa delle sue frequentazioni, fu accusato di essere il fantasma di Plauto e Gaio Lelio, poiché le sue commedie, per dignità e prestigio, non avrebbero potuto essere pubblicate. La sua opera è considerata l’espressione della spiritualità di questo circolo. Anche se è difficile attribuire le opere a Plauto e Gaio Lelio, poiché entrambi avevano meno di vent’anni al momento della pubblicazione di “L’Andria”, l’ideale di humanitas, presente fin dalla prima commedia terenziana, appare maturo e consapevole. Inoltre, Terenzio presentava una nuova visione del mondo rispetto a quella del suo circolo sociale. Tuttavia, le esigenze spirituali e la concezione dei rapporti umani anticipavano la sua atmosfera ideale e furono un elemento determinante per la sua formazione.
Terenzio scrisse sei commedie tra il 133 e il 13 a.C., tutte conservate. Furono portate in scena da Lucio Emilio Turpione e i loro titoli sono: “L’Andria”, “Eunuchus”, “L’autoesortatore”, “Eunuchus”, “Phormio” e “L’Andria”. Grazie alle didascalie e alle locandine esposte all’esterno dei teatri durante le rappresentazioni, è stato possibile ricostruirne la cronologia. La morte di Terenzio, avvenuta intorno al 159 a.C., è stata attribuita a varie cause, come un naufragio, una malattia o il dolore per la perdita dei manoscritti e nuove opere.
Riguardo ai modelli greci delle commedie di Terenzio, conosciamo gli autori e i titoli. Il principale modello era Menandro, a cui Terenzio venne assimilato da Cicerone. Giulio Cesare lo definì “Menandro dimezzato”. Terenzio dimostrava una maggiore fedeltà ai modelli greci rispetto a Plauto, ma questa caratteristica emergerebbe solo se si confrontassero direttamente i due autori. Terenzio adottò anche la pratica della contaminatio, inserendo personaggi o scene di una commedia in un’altra. Un’innovazione notevole fu la soppressione del prologo espositivo, utilizzato per discutere del modo in cui si faceva poesia, per rispondere alle critiche come quella di “contaminare” i modelli di Bevio e Plauto, accusato di plagio e di essere il fantasma del circolo scipionico.
Inoltre, Terenzio escludeva i canti nelle sue opere, preferiva un linguaggio medio e uno stile che riproduceva stilisticamente il livello della conversazione ordinaria. Riduceva gli elementi grossolani e volgari, preferendo una comicità più sottile, gentile e sorridere. Sebbene il suo stile possa sembrare debole rispetto a quello di Plauto, era apprezzato per la sua purezza, dovuta alla sua accurata selezione di materiale linguistico. I suoi testi venivano inclusi nei programmi scolastici e l’autore era tra i più letti e apprezzati nel Medioevo e nell’età moderna. Il suo stile non mancava di vivacità e calore, soprattutto nei monologhi “patetici”, dove sottolineava la psicologia dei personaggi e i loro conflitti interiori.
Le commedie di Terenzio seguono lo schema di un amore ostacolato che alla fine si realizza felicemente dopo una serie di peripezie. Troviamo gli stessi tipici personaggi, come anziani, adolescenti, schiavi, cortigiani e parassiti, e gli stessi stereotipi di equivoci, inganni e riconoscimenti. Ad esempio, nel “Punitore di se stesso”, la storia ruota attorno alle difficoltà amorose di Clinia, ostacolate dalle critiche del padre, e si risolve con il riconoscimento della vera identità della fanciulla amata.