Jingle bells
28 Dicembre 2019Prefazione dell’ Amante di Gramigna
28 Dicembre 2019I versi 1-78 del Canto XI del Purgatorio di Dante Alighieri introducono la preghiera dei superbi, le anime che espiano il peccato di superbia nella prima cornice del monte.
La loro punizione, come già visto nel canto precedente, consiste nel portare sulle spalle massi pesantissimi che li costringono a camminare curvati verso il basso. In questo canto, Dante riflette sul tema dell’umiltà, rappresentata dalla preghiera collettiva e dall’incontro con alcune anime celebri, tra cui il poeta Oderisi da Gubbio.
In questo brano, troviamo infatti le anime che recitano il Padre Nostro, una preghiera di pentimento e supplica. Gli spiriti penitenti sono coloro che in vita furono superbi, e ora si trovano a purificarsi sulla prima cornice del Purgatorio. Tra questi, Dante incontra l’anima di Omberto Aldobrandeschi, nobile toscano che riconosce il peccato della superbia nella sua vita e nelle sue origini.
I temi del canto sono profondamente cristiani e morali: la superbia è vista come il peccato che allontana l’uomo dalla consapevolezza della propria fragilità e umanità, e il Purgatorio offre loro la possibilità di redimersi attraverso la sofferenza e l’umiltà.
Testo e parafrasi dei versi 1-78
“O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,”
O Padre nostro che sei nei cieli, non limitato a un luogo fisico, ma presente ovunque per il grande amore che hai per le tue creature.
“laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.”
Sia lodato il tuo nome e la tua potenza da ogni creatura, come è giusto che si faccia per ringraziarti delle tue benedizioni.
“Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.”
Venga a noi la pace del tuo regno, perché da soli non possiamo raggiungerla con tutta la nostra intelligenza, a meno che essa non ci sia concessa da te.
“Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.”
Come i tuoi angeli fanno la tua volontà, offrendoti sacrifici e cantando osanna, così possano fare anche gli uomini sulla terra.
“Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna.”
Dacci oggi il cibo spirituale di cui abbiamo bisogno quotidianamente, senza il quale, nel duro cammino della vita, chi si affanna di più rischia di rimanere indietro.
“E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.”
E come noi perdoniamo coloro che ci hanno fatto del male, così tu, o Dio, perdona noi con benevolenza, senza considerare i nostri meriti.
“Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.”
Non mettere alla prova la nostra fragile virtù con l’antico nemico (il diavolo), ma liberaci da lui, che ci tenta continuamente.
“Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro.”
Questa ultima preghiera, caro Signore, non la facciamo per noi, perché non è più necessaria, ma per quelli che sono ancora in vita.
“Così a sé e noi buona ramogna
quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,”
Così quelle anime, recitando la preghiera, ci ammonivano e camminavano sotto il peso delle loro colpe, simili a figure oniriche, come quelle che talvolta si vedono in sogno.
“disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.”
Tutte afflitte in maniera diversa e stanche, si trovavano sulla prima cornice del Purgatorio, purificando il loro peccato, ovvero la superbia.
“Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c’ hanno al voler buona radice?”
Se nell’aldilà si prega sempre per noi, cosa possiamo fare noi in vita per loro, per aiutare coloro che hanno una buona disposizione d’animo?
“Ben si de’ loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.”
Dobbiamo cercare di purificare i peccati che si sono portati dietro dalla vita terrena, affinché, purificati e leggeri, possano salire fino alle stelle (il Paradiso).
“Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l’ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,”
Se giustizia e pietà vi liberano presto dalle vostre pene, così che possiate volare con le ali della vostra anima, elevandovi secondo il vostro desiderio,
“mostrate da qual mano inver’ la scala
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
quel ne ’nsegnate che men erto cala;”
mostrateci la via più breve per salire la montagna del Purgatorio; e se ci sono più passaggi, indicatemi quello meno ripido.
“ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
de la carne d’Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco”.
Perché colui che viene con me (Dante), a causa del peso del corpo mortale che indossa, sale con difficoltà, contro la sua volontà.
“Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu’ io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;”
Le loro risposte alle parole di Virgilio (la guida di Dante) non vennero da anime che potessi riconoscere subito.
“ma fu detto: “A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.”
Tuttavia, una di loro disse: “Venite con noi, costeggiando a destra, e troverete un sentiero che anche un uomo vivo (Dante) può percorrere per salire.”
“E s’io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,”
Se non fossi impedito da questo peso che mi schiaccia il collo, domando la mia superbia e costringendomi a tenere il viso rivolto in basso,
“cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.”
guarderei quest’uomo vivo (Dante) per vedere se lo riconosco e per farlo partecipe della mia sofferenza.
“Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se ’l nome suo già mai fu vosco.”
Io fui italiano e nato da un grande nobile toscano: Guglielmo Aldobrandesco era mio padre; non so se il suo nome ti è mai giunto.
“L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,”
Il sangue nobile e le grandi opere dei miei antenati mi resero così arrogante che, dimenticando la comune origine (l’umanità),
“ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.”
disprezzai ogni uomo al punto che ne morii, come i Sanesi sanno, e lo sa ogni abitante di Campagnatico (un borgo toscano).
“Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.”
Io sono Omberto Aldobrandeschi; e non solo io sono stato danneggiato dalla superbia, ma anche tutta la mia famiglia ha subito la stessa sorte.
“E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti”.
Qui devo portare questo peso per la superbia, fino a quando Dio non sarà soddisfatto, poiché in vita non ho espiato questo peccato, e ora lo faccio tra i morti.
“Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ’mpaccia,”
Mentre ascoltavo, abbassai la testa; e uno di loro, non colui che parlava, si girò sotto il peso che lo opprime,
“e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.”
mi vide, mi riconobbe e mi chiamò, tenendo gli occhi fissi su di me con fatica, mentre io camminavo chino insieme a loro.
In sintesi, questi versi descrivono il canto del Padre Nostro recitato dai penitenti della superbia, l’incontro con l’anima di Omberto Aldobrandeschi e la richiesta di indicazioni sul percorso da seguire per continuare la salita nel Purgatorio.
Solo testo
“O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,3
laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.6
Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.9
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.12
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna.15
E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.18
Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.21
Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro”.24
Così a sé e noi buona ramogna
quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,27
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.30
Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c’ hanno al voler buona radice?33
Ben si de’ loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.36
“Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l’ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,39
mostrate da qual mano inver’ la scala
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
quel ne ’nsegnate che men erto cala;42
ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
de la carne d’Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco”.45
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu’ io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;48
ma fu detto: “A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.51
E s’io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,54
cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.57
Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se ’l nome suo già mai fu vosco.60
L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,63
ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.66
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.69
E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti”.72
Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ’mpaccia,75
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.78
Analisi dettagliata dei primi versi
vv. 1-6
“«Padre nostro, che ne’ cieli stai, / non circunscritto, ma per più amore / che ai primi effetti di là sù tu hai,”
“laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore / da ogne creatura, com’è degno / di render grazie al tuo dolce vapore.”
Il canto si apre con la preghiera del Padre nostro, recitata coralmente dai superbi. Questa preghiera è la massima espressione dell’umiltà cristiana, in quanto riconosce la grandezza di Dio e la dipendenza dell’uomo dalla sua volontà. I primi versi lodano Dio, che risiede nei cieli, non “circunscritto” (non limitato), ma con un amore speciale per le sue creature, le quali lo ringraziano per la sua bontà.
vv. 7-12
“Vegna ver’ noi la pace del tuo regno, / ché noi ad essa non potem da noi, / s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.”
“Come del suo voler li angeli tuoi / fan sacrificio a te, cantando osanna, / così facciano li uomini de’ suoi.”
I superbi chiedono che la “pace del regno di Dio” arrivi a loro, riconoscendo che non possono raggiungerla con le sole forze umane, per quanto si impegnino. Chiedono anche che gli uomini, come gli angeli, si sottomettano alla volontà divina e ne cantino le lodi. Questo è un altro atto di umiltà, in cui i superbi riconoscono i propri limiti e chiedono l’intervento di Dio.
vv. 13-18
“Dà oggi a noi la cotidiana manna, / sanza la qual per questo aspro diserto / a retro va chi più di gir s’affanna.”
“E come noi lo mal ch’avem sofferto / perdoniamo a ciascuno, e tu perdona / benigno, e non guardar lo nostro merto.”
La preghiera prosegue con la richiesta della “manna quotidiana”, simbolo del nutrimento spirituale di cui hanno bisogno per attraversare il “diserto”, cioè le difficoltà della vita terrena e del Purgatorio. La richiesta di perdono per i propri peccati è accompagnata dalla promessa di perdonare il male ricevuto, secondo il principio cristiano del perdono reciproco.
vv. 19-24
“Nostra virtù che di legger s’adona, / non spermentar con l’antico avversaro, / ma libera da lui che sì la sprona.”
“Quest’ultima preghiera, segnor caro, / già non si fa per noi, ché non bisogna, / ma per color che dietro a noi restaro.”
La preghiera si conclude con la richiesta di non essere messi alla prova dal “nemico antico” (il diavolo), ma di essere liberati dalla tentazione. I superbi, però, riconoscono che questa preghiera non serve più a loro, poiché già purgati dal male, ma è rivolta a coloro che ancora vivono sulla Terra e sono vulnerabili alle tentazioni del maligno.
vv. 25-27
“Così a sé e noi buona ramogna / quell’ombre orando andavan sotto ’l pondo, / simile a quel che talvolta si sogna,”
I superbi continuano a pregare, camminando lentamente sotto il peso delle loro pietre, mentre Dante riflette sul loro stato. Il movimento lento e doloroso, unito alla preghiera, è paragonato a un sogno, come se i loro corpi e voci fossero trasfigurati in una sorta di sofferta meditazione.
vv. 28-33
“disparmente angosciate tutte quante / e lasse su per la prima cornice, / purgando la caligine del mondo.”
“Se di là sempre ben per noi si dice, / di qua che dire e far per lor si puote, / da quei c’hanno al voler buona radice?”
Le anime dei superbi soffrono tutte allo stesso modo, stanche per il loro cammino nella prima cornice del Purgatorio, mentre espiano il peccato della superbia. Dante riflette su come sia possibile pregare per loro sulla Terra, ma anche su quanto poco possano fare coloro che vivono ancora per accelerare la loro purificazione.