Quella fenestra ove l’un sol si vede,
quando a lui piace, et l’altro in su la nona;
et quella dove l’aere freddo suona
ne’ brevi giorni, quando borrea ‘l fiede;
e ‘l sasso, ove a’ gran dí pensosa siede
madonna, et sola seco si ragiona,
con quanti luoghi sua bella persona
coprí mai d’ombra, o disegnò col piede;
e ‘l fiero passo ove m’agiunse Amore;
e lla nova stagion che d’anno in anno
mi rinfresca in quel dí l’antiche piaghe;
e ‘l volto, et le parole che mi stanno
altamente confitte in mezzo ‘l core,
fanno le luci mie di pianger vaghe.
Componimento 100: viene evocato il luogo dell’innamoramento, un paesaggio interiore, e il primo giorno. Verso finale le luci mie di pianger vaghe: eco dantesca, Inf 29 2-3. Dei due soli l’uno è quello fisico e l’altro è la donna, il vivo sole del sonetto 90. Il primo sole, la donna, può splendere quanto a lui piace, quello fisico in su la nona, è vincolato a illuminare le ore del giorno (la nona = le tre del pomeriggio). E quella: la finestra affacciata sull’inverno, i giorni più brevi anche di memoria virgiliana (brevior dies). A gran dì: nei giorni estivi, più lunghi. Sasso: riferimento a Valchiusa (vd sonetto 127, il sasso dal quale è chiusa questa valle, altamente medievale). Il sasso è un luogo discosto, lontano dal tumulto, dove Laura vuole stare sola. Il fiero passo: il momento in cui Amore colpì il poeta. La nuova stagion: la primavera in cui tutti si innamorano, topos letterario. Il verbo principale fanno è alla fine, unico verbo reggente con tanti soggetti; eco interna con stanno e anno. Il poeta sottrae alle contingenze la loro banalità e le fa assurgere a modello dell’innamoramento; il verbo finale che porta da solo molti soggetti crea attesa e smarrimento al lettore, e finisce con un mazzo di fiori a Dante.