Anselmo d’Aosta
25 Febbraio 2024San Tommaso d’Aquino
25 Febbraio 2024Anselmo d’Aosta rappresenta la ripresa della riflessione filosofica dopo l’anno mille, ed elabora una prova ontologica dell’esistenza di Dio, che trovò ammiratori perfino in Cartesio e in alcuni pensatori moderni
VITA E OPERE
- Anselmo, conosciuto anche come Anselmo di Le Bec e Anselmo di Canterbury, nacque ad Aosta nel 1033 da una famiglia nobile e iniziò gli studi presso l’abbazia di Fruttuaria.
- Dopo la morte della madre si recò in Francia a studiare alla scuola di Lanfranco di Pavia, nel monastero di Bec, in Normandia, dove si fece monaco nel 1060.
- Nel 1063, alla partenza di Lanfranco, divenne priore di quel monastero, e nel 1078 fu eletto abate.
- Nel 1093 venne chiamato in Inghilterra da re Guglielmo II, per ricoprire la carica di arcivescovo di Canterbury, che era stata lasciata vacante dalla morte di Lanfranco (1089).
- A causa di aspri contrasti con il sovrano Anselmo andò in esilio nel 1097: prima si recò a Lione e poi proseguì per l’Italia.
- Nel 1100 fu richiamato in Inghilterra dal nuovo re Enrico.
- Morì a Canterbury nel 1109.
- RAPPORTO RAGIONE – FEDE
- Le fonti di conoscenza di cui dispongono gli uomini, secondo Anselmo, sono due:
RAGIONE e FEDE.
- Il dato da cui l’uomo deve partire è la fede: non si intende per credere ma, al contrario, si crede per intendere («neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam»); l’intelligenza presuppone la fede.
- Ciò non significa che chi ha fede non debba compiere lo sforzo di comprendere razionalmente ciò che egli crede. Infatti, tra la fede e la visione beatifica a cui tutti aspirano, c’è, quaggiù, un intermediario che è l’intelligenza. Anselmo, quindi, condanna sia coloro che dicono di essere credenti e dubitano delle verità di fede, sia coloro che credono senza compiere alcuno sforzo per comprendere ciò che credono.
- Dopo la composizione del Monologion, definito un «esempio di meditazioni sulle ragioni della fede» Anselmo avvertì un senso di insoddisfazione poiché si rese conto di aver elaborato un discorso costituito da una concatenazione di argomenti che, a loro volta, rimandavano ciascuno ad altri argomenti per giustificare le proprie premesse, dando luogo ad un discorso complesso che non si addiceva alla semplicità di Dio.
- PROSOLOGION
- Anselmo avverte l’esigenza di trovare un unico argomento con premesse di per sé evidenti, capace di dimostrare l’esistenza dell’Essere assoluto, di colui da cui tutto dipende e che non dipende da nulla. Questa ricerca divenne una sorta di ossessione per Anselmo, che finì per privarlo della sete, della fame e del sonno, fino a quando improvvisamente gli apparve la soluzione.
- Anselmo scrisse il Monologion (in cui espone le prove a-posteriori dell’esistenza di Dio) e il Proslogion (in cui espone la prova ontologica) mosso da due intenzioni:
1)rispondere in difesa della fede contro coloro che, non volendo credere ciò che non comprendono, deridono coloro che credono
2)aiutare coloro che cercano di comprendere ciò che credono
- Questa prova parte dall’idea di Dio fornitaci dalla fede per approdare, in conformità con il metodo di Anselmo, all’intelligenza di questo dato della fede. Noi crediamo che Dio esista e che sia l’essere di cui non è possibile concepirne uno maggiore; il problema è sapere se una tale natura esita oppure no, visto che «lo stolto ha detto in cuor suo: Dio non esiste».
- PROSOLOGION: la prova ontologica
«[…]Dunque, o Signore, che dai l’intelligenza della fede, concedimi di capire, per quanto sai che possa giovarmi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo. Ora noi crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande. O forse non esiste una tale natura, poiché «lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste » (Ps., XIII, 1, e LII, I)? Ma certo quel medesimo stolto, quando ode ciò che dico, e cioè la frase «qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande », intende quello che ode; e ciò che egli intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa sia nell’intelletto, altro è intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua, ma non intende ancora che esista quell’opera che egli ancora non ha fatto. Quando invece l’ha già dipinta, non solo l’ha nell’intelletto, ma intende pure che l’opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi più grande, poiché egli intende questa frase quando la ode, e tutto ciò che si intende è nell’intelletto. Ma certamente ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà».
«E questo ente esiste in modo così vero che non può neppure essere pensato non esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere pensato non esistente; e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Onde se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà più ciò di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo così vero, che non può neppure essere pensato non esistente. E questo sei tu, o Signore Dio nostro. Dunque esisti così veramente, o Signore Dio mio, che non puoi neppure essere pensato non esistente. E a ragione. Se infatti una mente potesse pensare qualcosa di meglio di te, la creatura ascenderebbe sopra il creatore, e giudicherebbe il creatore, il che è assurdo. Invero tutto ciò che è altro da te può essere pensato non esistente. Tu solo dunque hai l’essere nel modo più vero, e quindi più di ogni altra cosa, poiché ogni altra cosa non esiste in modo così vero, e perciò ha meno essere. Perché dunque « disse lo stolto in cuor suo: Dio non esiste », quando è così evidente alla mente razionale che tu sei più di ogni altra cosa? Perché, se non perché è stolto e insipiente? […]»
- La prova ontologica
- I principi su cui poggia la prova ontologica sono:
1)Una nozione di Dio fornita dalla fede
2)L’esistere nel pensiero è già veramente esistere
3)L’esistenza della nozione di Dio nel pensiero esige logicamente che si affermi che egli esiste nella realtà
- Si parte da un fatto, ovvero una certa idea di Dio esiste nel pensiero, ma si tratta di un fatto che appartiene ad uno speciale ordine, quello della fede, come sostiene Gilson (La filosofia nel medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo).
- Quindi, comparando l’essere pensato e l’essere reale si è costretti a porre il secondo come superiore al primo e ad attribuire l’esistenza a «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore» per evitare di cadere in contraddizione affermando e negando contemporaneamente lo stesso predicato della medesima cosa (poiché se «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore» esistesse solo nel pensiero non sarebbe «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore», dal momento che ciò che esiste anche nella realtà è maggiore di ciò che esiste solo nel pensiero).
- GAUNILONE IN DIFESA DELL’INSIPIENTE
«[…]Ma a questo argomento si può forse rispondere in questo modo: se questo ente è nel mio intelletto soltanto perché io capisco ciò che si dice, non potrei dire di avere similmente nell’intelletto anche tutte le cose false e assolutamente inesistenti, per il solo fatto che capisco ciò che dice qualcuno quando ne parla? A meno che non consti che esso sia tale da non poter essere nel pensiero come vi sono tutte le cose false e dubbie, e allora non si dica che io penso o ho nel pensiero quello che ho udito, ma che lo intendo e l’ho nell’intelletto; ossia che non posso pensarlo se non sapendo, ossia comprendendo con scienza, che quello esiste in realtà. Ma se è così, in primo luogo non sarà una cosa diversa avere prima la cosa nell’intelletto, e poi sapere che la cosa esiste, come avviene della pittura che prima è nella mente del pittore, e poi nell’opera. In secondo luogo, è difficilmente credibile che, quando si è detto e sentito « ciò di cui non si può pensare il maggiore», non si possa pensare che esso non esista come si può pensare che non esiste Dio. Infatti, se non si può, perché istituire tutta codesta discussione contro colui che nega o dubita che esista una tale natura? In terzo luogo, che codesto ente sia tale che la sua esistenza sia appresa come indubitabile appena lo si pensi, deve esser provato con qualche saldo argomento, e non con questo, che, quando l’ho inteso dire, esso è già nel mio intelletto; poiché in questo modo si potrebbe dimostrare che esistono tutte le cose che reputo ancora incerte o anche false dette da uno di cui intendo le parole; e ancora di più se io, che ancora non credo questo, le credessi, ingannandomi, come spesso accade».
«[…] Per esempio: dicono alcuni che vi è in qualche parte dell’oceano un’isola che chiamano isola perduta, per la difficoltà, o piuttosto per l’impossibilità di trovare ciò che non esiste, e raccontano che è piena di una inestimabile abbondanza di ricchezze e di delizie, molto più di quel che si dice delle isole fortunate, e, pur non avendo nessun possessore o abitatore, supera tutte le altre terre abitate per abbondanza di beni. Se uno mi dice questo, io capisco facilmente le sue parole, nelle quali non c’è nessuna difficoltà. Ma se poi come conseguenza aggiunga: non puoi dubitare che quell’isola migliore di tutte le altre terre, che sei sicuro di avere in mente, esista veramente in realtà; e, poiché è meglio esistere nella realtà che esistere solo nell’intelletto, è necessario che quest’isola esista, poiché, se non esistesse, qualsiasi altra terra esistente sarebbe migliore di lei, e quell’isola già pensata da te come migliore non sarebbe più tale. Se, dico, costui con queste parole volesse dimostrarmi che non si può dubitare dell’esistenza di quest’isola, o crederei che colui che mi parla scherzi, o non so se dovrei reputare più sciocco me che gli credo o lui che crede di avermi dimostrato l’esistenza di quell’isola, a meno che egli non mi faccia vedere che l’eccellenza di quell’isola è una cosa reale e non è come le cose false ed incerte che possono essere nel mio intelletto. […] Perciò, prima di tutto bisogna dimostrare con un argomento certissimo che esiste una natura superiore, cioè maggiore e migliore di tutto ciò che esiste, e poi da questo si potranno dimostrare tutti quegli attributi che deve avere necessariamente l’ente maggiore e migliore di tutti. E quando si dice che questa somma realtà non può essere pensata non esistente, meglio si direbbe forse che non può essere conosciuta come non esistente o capace di non esistere. Infatti, a parlare propriamente, le cose false non possono essere conosciute, ma possono essere pensate, a quel modo in cui lo stolto pensò che Dio non esiste. […] »
- Sintesi di “GAUNILONE IN DIFESA DELL’INSIPIENTE”
- Il monaco Guanilone fu il primo a contestare la validità della prova di Anselmo, obiettando che non ci si può fondare sull’esistenza nel pensiero per concludere all’esistenza fuori del pensiero, ovvero nella realtà.
- Esistere come oggetto di pensiero non significa avere un’esistenza autentica, come dimostra il fatto che possiamo concepire una grande quantità d oggetti irreali, o anche impossibili, che, pur esistendo nel pensiero, non hanno nessuna esistenza fuori dal pensiero. Guanilone non comprende per quale motivo le cose dovrebbero andare diversamente per l’idea di Dio
- All’argomento dell’isola perduta, utilizzato da Guanilone, Anselmo risponde che il passaggio dall’esistenza nel pensiero all’esistenza nella realtà è possibile e necessario solo quando si tratta dell’essere più grande che si possa concepire, ossia solo quando si tratta di Dio. La nozione di isola beata non ha nulla a che vedere con quella dell’Assoluto, ovvero dell’unico essere che non può essere pensato come non esistente.
- RISPOSTA DI ANSELMO A GAUNILONE
«[…]Ma tu obietti: è come se uno dicesse che non si può dubitare dell’esistenza di un’isola che è superiore per fertilità a tutte le terre, chiamata isola perduta, per la difficoltà di trovarla, anzi per l’impossibilità di trovare ciò che non esiste – perché uno se la rappresenta facilmente quando gli venga descritta con parole. Rispondo tranquillamente che se uno mi trovasse esistente o in realtà o solo nel pensiero un altro ente a cui si possa applicare il mio argomento all’infuori di «ciò di cui non si può pensare il maggiore», troverò e gli darò anche l’isola perduta, che ormai non si perderà più. Ormai è manifesto che ciò di cui non si può pensare il maggiore, che esiste per una ragione di verità così certa, non può esser pensato non esistente. Altrimenti non potrebbe esistere in nessun modo. E se uno dice di pensarlo non esistente, gli rispondo che, quando lo pensa, o pensa qualcosa di cui « non si può pensare il maggiore», o non lo pensa. Se non lo pensa, non pensa che non esista, poiché non può pensare che non esista ciò che egli non pensa. Se poi lo pensa, deve pensare qualcosa che non può neppur esser pensato non esistente. Se infatti potesse esser pensato non esistente, si potrebbe pensare che avesse un principio e una fine. Ma l’ente di cui non si può pensare il maggiore non può avere inizio o fine. Dunque chi lo pensa, pensa qualcosa che non può neppure esser pensato non esistente. E chi lo pensa, non pensa che esso non esista. Altrimenti penserebbe ciò che non può essere pensato. Dunque non si può pensare che non esista ciò di cui non si può pensare il maggiore.[…]»
(Quid ad haec respondeat editor ipsius libelli)
- Sintesi della RISPOSTA DI ANSELMO A GAUNILONE
- L’ironia di Anselmo sta a sottolineare il fatto che l’isola perduta non ha nulla in comune con «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore»
- Anselmo e Gaunilone, inoltre, sanno che l’isola perduta non esiste, mentre sanno, anche se per fede, che «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore» esiste (in quanto entrambi credenti)
- Anselmo osserva che la sua argomentazione vale solo per «ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore» (Dio non è comparabile con nessun altro ente)
- STORIA SUCCESSIVA DELLA PROVA
- L’argomentazione di Anselmo ha dato prova di grande vitalità nel corso dei secoli successivi, venendo ripresa e rimaneggiata da diversi filosofi, sia con l’intento di riproporla (San Bonaventura, Descartes, Leibniz, Hegel) sia con l’intento di confutarla (Tommaso d’Aquino, Locke, Kant).
- Occorre riconoscere ad Anselmo la sua capacità di cogliere la forza irresistibile con la quale la nozione di Essere assoluto chiede in certo modo la posizione della propria esistenza da parte del pensiero che la concepisce.
- Ciò che accomuna tutti coloro che contestano la validità del principio su cui si fonda la prova ontologica è il rifiuto di porre un problema d’esistenza separato da un dato esistente empiricamente.
FILOSOFIA CRISTIANA E MEDIEVALE
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S. Anselmo da culturanuova
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S. Anselmo, L’argomento ontologico (dal Proslogion) – (File PDF, 74.6 KB) a cura del prof. Roberto Mastri del Liceo Malpighi di Bologna
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S. Anselmo appunti dalle lezioni di filosofia del prof. Maurilio Lovatti, di Paola Volonghi
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Sintesi del Proslogion di Anselmo di Maurizio Pancaldi
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S. Anselmo del prof. Piero Carelli