Vita di Galileo
27 Gennaio 2019ATTO QUARTO
27 Gennaio 2019Tacito storiografo, Stile e fortuna di Tacito
Note sull‘autore
La vita e la carriera politica. Publio Cornelio Tacito viene considerato comunemente il più grande tra gli storici latini. Il luogo e la data di nascita di Tacito sono tuttora incerti. Doveva essere di poco più vecchio di Plinio il Giovane (nato nel 61) , poiché questi lo cita dicendo: “Quando ero ancora giovinetto e tu già fiorivi di fama e di gloria, io desideravo ardentemente seguirti” . Si pone, quindi, la sua nascita intorno al 55.
Per quel che riguarda il luogo di nascita sono state formulate due ipotesi: la prima vede in Terni la città natale di Tacito, perché l’imperatore Tacito, che governò per poco più di un anno nel 275, proveniva da Terni e vantava tra i suoi antenati proprio l’omonimo storico. Secondo l’altra ipotesi Tacito sarebbe originario della Gallia. In questa regione, infatti, è presente in numerose iscrizioni il cognomen Tacitus (soprattutto nella Gallia Narbonese); altre testimonianze si trovano nel fatto che Plinio il Vecchio dice di aver conosciuto un Cornelius Tacitus, procuratore della Gallia Belgica, il quale sarebbe stato parente dello storico.
La carriera politica e il matrimonio, avvenuto nel 78 con la figlia d’Agricola, console nel 77, indicano che Tacito era di condizione sociale elevata e di famiglia benestante.
Tacito segue un breve cursus honorum: diviene questore (79), edile (80), pretore (88), legato in Germania o nella Gallia Belgica (dall’88 fino al 93, quando ritorna a Roma per la morte del suocero), e termina con la nomina a console (97). Alla propria carriera, svoltasi per la maggior parte sotto i Flavi, egli accenna sommariamente, non senza un certo imbarazzo, scrivendo dopo la morte di Domiziano ” Non posso negare che la mia carriera sia stata avviata da Vespasiano, fatta proseguire da Tito e portata ancora più innanzi da Domiziano” .
Per l’epoca della morte si possono fare solo delle congetture; la più probabile è che sia avvenuta nei primi anni del principato di Adriano, attorno al 120.
L’Agricola
Si tratta della prima delle due monografie tacitiane, è stata composta e pubblicata tra la fine del 97 e l’inizio del 98. L’opera, scritta in 46 capitoli, è una biografia encomiastica in cui vengono scandite le tappe più significative della vita del suocero.
La figura che egli si appresta a celebrare non è quella di un oppositore, ma al contrario, di un uomo colto e prudente, che aveva attivamente collaborato con i principi, buoni o cattivi che fossero, da Nerone a Domiziano. Le sue caratteristiche più importanti, l’obbedienza, il senso della misura e la disciplina, l’avevano fatto progredire indenne nella carriera fino all’importante carica di governatore della Britannia, assegnatogli proprio da Domiziano.
E’comprensibile che Tacito provi un certo imbarazzo nell’esaltare una scelta di vita prudente e opportunista quale era stata quella di Agricola. Così lo presenta come vittima innocente di Domiziano: a questo scopo insiste sulla pericolosa gelosia che gli splendidi successi militari del suocero avrebbero suscitato nel principe al quale accredita anche la colpa della morte di Agricola, causata da veleno, fattogli somministrare dall’imperatore.
Si tratta di una biografia un po’ particolare. Mancano del tutto gli aneddoti, i pettegolezzi, i particolari curiosi, e l’interesse si concentra in modo esclusivo sull’aspetto pubblico del protagonista. Le notizie sulla vita privata sono ridotte a pochissimi dati essenziali; anche il ritratto fisico dell’eroe, che non manca mai nelle biografie, è appena accennato. Per contro l’excursus etnografico sulla Britannia e la rassegna dei predecessori di Agricola nella provincia sono del tutto inconsueti per una biografia. Insieme agli ampi discorsi diretti di Calgaco e di Agricola e alla narrazione fortemente selettiva e asimmetrica, essi avvicinano molto la biografia di Agricola ad una monografia storica del tipo del De Catilinae coniuratione di Sallustio, di cui è probabile che Tacito abbia tenuto presente lo schema.
Tematiche affrontate.
L’incolmabile distanza fra presente e passato e fra sé e gli altri scrittori. Tacito afferma che un tempo (nell’età repubblicana) compiere azioni memorabili e celebrarle era cosa normale e consueta, mentre ora nell’accingersi a narrare la vita del suocero defunto, egli si deve giustificare “tanto spietati e ostili alle virtù sono i nostri tempi” .
Condanna al regime di Domiziano. Con la soppressione delle libertà, con la messa al bando dei filosofi, con un controllo poliziesco esercitato sulle persone e sulle loro parole, ogni nobile attività letteraria e culturale è stata soffocata e impedita. Solo con la morte del tiranno e con l’avvento della nuova e radiosa era inaugurata da Nerva, che ha saputo unire principato e libertà, realtà un tempo inconciliabili, si torna finalmente a respirare.
La lingua e lo stile.
Lo stile è in armonia con la nobiltà e la dignità della materia. L’autore impiega una molteplicità di toni e di registri, rifacendosi a modelli diversi.. Nelle narrazioni delle vicende di guerra, in cui il frequente uso di infiniti storici in serie e le altrettanto frequenti ellissi imprimono al racconto un andamento rapido, conciso e incalzante; lo stile dei Tacito è molto simile a quello di Sallustio; nei due discorsi contrapposti dei generali sul campo di battaglia a quello di Livio; infine i capitoli finali di tono solennemente oratorio, e con periodi ampi e simmetrici, mostrano una strittura e un ritmo tipicamente ciceroniani.
Denuncia dell’imperialismo romano nel discorso di Càlgaco.
Il discorso di Càlgaco, capo dei Calédoni, consiste quasi per intero in un veemente atto di accusa contro i Romani, nel loro duplice aspetto di conquistatori e dominatori. E’ stato sicuramente inventato da Tacito, che ha attribuito al generale barbaro argomenti contro l’imperialismo romano.
Il brano può essere diviso in due sequenze. La prima è dedicata ai metodi e ai fini delle guerre di conquista, causate dall’insaziabile brama di potere e dall’avidità di ricchezza. Le accuse sono mosse in una forma potente e originale, tutta giocata sulle antitesi (terrae/mare; locuples/pauper; Oriens/Occidens; opes atque inopiam); la sferzante requisitoria si conclude con lo smascheramento dell’ipocrisia e della malafede di chi dà il nome di imperium alle rapine e al massacri e chiama pace il deserto conseguente allo sterminio.
La seconda parte presenta dal punto di vista dei popoli assoggettati, i metodi del governo romano nelle province : abusi di potere e soprusi sono messi sullo stesso piano degli obblighi normalmente imposti ai provinciali, come il servizio militare e i tributi; tutti sono visti, infatti, da Càlgaco come segni di quella servitus contro la quale il fiero capo barbaro incita i suoi a combattere.
La Germania
Poco dopo l’Agricola, nel 98, Tacito pubblicò la sua seconda opera, la Germania. Si tratta di uno scritto di carattere etnografico, che sostanzialmente non differisce, se non per la sua maggior estensione, dagli excursus su paesi e popoli stranieri spesso inseriti nelle opere storiografiche sia greche sia latine.
Nell’opera troviamo abbondanti e precise notizie sul territorio, sulle popolazioni e sugli usi di queste regioni. L’etnografia passa però in secondo piano, poiché Tacito vuole anzitutto contrapporre la virtù di tali popoli alla decadenza di Roma. Egli vede nei Germani esempi di virtù e di incorruttibilità che un tempo erano presenti anche in Roma, e constata purtroppo l’assenza di libertà e la dissolutezza attuali, il servilismo e la decadenza morale contemporanea.
-Struttura:
Cap. 1-27: Usi e costumi dei germani
Cap. 28-46: Descrizione dei gruppi etnici più importanti.
Tematiche affrontate.
La decadenza dei costumi romani. Tacito si serve della descrizione dei germani per evidenziare i difetti del corrente mos maiorum, infatti l’opera è un continuo confronto tra la corruzione, la decadenza morale e i vizi dei romani e il tenore di vita semplice e genuino e un amore ostinato per la libertà.
Come dice il critico A. Rostagni : “Più pericolosi sono i Germani con la loro libertà che non i Pari con il loro regno” continua, “c’è in Tacito una specie di ammirazione per quelle genti sane e forti e fierissime della loro indipendenza, che si serbano immuni dalla corruzione, in cui il lusso e la ricchezza avevano precipitato i Romani” .
Vizi dei Romani e virtù dei barbari: il matrimonio.
Il brano parla del matrimonio e della famiglia presso i Germani. Si tratta di una descrizione indiretta dell’immortalità romana, che ha distrutto la santità del matrimonio e l’integrità della famiglia.
Il testo può essere diviso in due sequenze. Nella prima si parla delle caratteristiche della vita matrimoniale dei Germani, assai diverse e più morali rispetto a quelle dei Romani: il matrimonio è monogamo ed è il marito a portare la dote alla moglie. Nella seconda sequenza Tacito para del comportamento delle donne presso i Germani mettendo in evidenza la loro pudicizia e le pene a cui sono sottoposte nel caso in cui si lasciassero andare a qualche vizio.
Nello scritto troviamo un dato certamente falso, contrariamente a quanto dice Tacito, l’esposizione dei neonati era ampiamente praticata, inoltre, un’osservazione assurda, in un popolo che non conosceva la scrittura è ovvio che uomini e donne si astenessero dalla corrispondenza amorosa.
Historiae
Le Historiae furono scritte,come ci conferma in una lettera Plinio il Giovane, intorno al 105 d. C. quindi in età traianea, ed analizzano il periodo storico che va dal 1 gennaio del 69 al 96 d.C., (dalla morte di Nerone a quella di Domiziano); la parte introdotta e costituita da un proemio che fa il punto sugli avvenimenti che precedettero il 69 d.C. L’opera probabilmente doveva constare di 14 libri o di 12 libri, ma purtroppo ce ne rimangono solo quattro completi e parte del quinto, e cioè gli avvenimenti del 69, con il succedersi in rapidissima successione di quattro imperatori, (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano).
Nella composizione dell’opera Tacito si servì di numerose fonti storiografiche dei Bella Germanica di Plinio il Vecchio; inoltre egli si avvalse di testimonianze dirette e talora anche della sua esperienza personale, dal momento che lui stesso era stato testimone oculare di tanti avvenimenti.
Nelle Historiae Tacito non si limita a narrare gli avvenimenti di quegli anni, ma affronta un’analisi profonda della società romana:
°Il senato è descritto come una struttura politica incapace
°Le truppe hanno preso sempre più potere, al punto da scegliere loro stessi l’imperatore
°Il popolo ha perduto la propria caratterizzazione etnica, per diventare una massa amorfa che assiste impotente e disimpegnata al succedersi frenetico degli scontri.
Lingua e stile.
Il tipico stile tacitiano è quello adottato nelle Historiae e negli Annales. Per le sue opere storiche Tacito foggia un modo di esprimersi pieno di vigore, tensione e gravità, molto lontano dall’uso comune, che non soltanto risponde alla riconosciuta esigenza di adeguare la forma al genere alto della storiografia, ma fonde in un risultato originalissimo elementi tratti dalla tradizione, caratteri dello stile contemporaneo e preferenze e scelte personali. Tacito si ispira in special modo a Sallustio. La lingua è caratterizzata da una coloritura arcaica e poetica. Il vocabolario e molto ricco ma anche severamente e curiosamente selettivo. Lo storico evita termini bassi e volgari, ma anche parole comuni e banali; inoltre esclude i grecismi e molti termini tecnici, che sostituisce con perifrasi.
La struttura sintattica e i procedimenti retorici delle frasi conferiscono una brevitas, una concisione e una pregnanza eccezionali, superiori a quelle del modello sallustiano.
L’esempio di Sallustio è inoltre seguito e sviluppato nel ricorso alla variatio, che diventa spesso la cifra più caratteristica di uno stile fortemente asimmetrico e difficile. La prosa tacitiana ha un andamento spezzato a causa della ricerca della varietas e della struttura dei periodi.
Infine troviamo un procedimento stilistico cui Tacito ricorre con grande frequenza, la chiusa epigrammatica della frase o del periodo, la sententia concisa e brillante che riassume e generalizza il senso di un avvenimento, inserisce un giudizio o aggiunge un commento inatteso.
L’inizio delle Historiae.
Il brano è la prima sezione dell’ampia prefazione che comprende 11 capitoli. Tacito esordisce con l’indicazione precisa del punto di partenza, il 1° gennaio del 69. Formula un giudizio globalmente negativo su tutta la produzione storiografica successiva all’instaurazione del principato: mentre gli storici dell’età repubblicana avevano espresso senza condizionamenti il loro schietto pensiero in una forma artisticamente pregevole, in seguito vennero meno le qualità artistiche, ma soprattutto fu calpestata la verità o per cortigianeria o per un’incontrollata malevolenza contro i potenti. Tacito si dichiara imparziale sia nei confronti di Galba Otone Vitellio, da cui non ha ricevuto né favori né offese, sia nei confronti dei Flavi, ai quali riconosce di essere debitore. L’autore conclude dicendo che in seguito tratterà i principati di Nerva e di Traiano, e coglie l’occasione per esaltare la condizione felice dell’età contemporanea.
La scelta del migliore.
Il discorso di Galba viene utilizzato da Tacito per introdurre un tema di grande attualità quando egli scrive: la successione per adozione. Il principato adottivo risulta diverso e migliore rispetto a quello ereditario in quanto di sceglie il successore per le qualità e le capacità dimostrate evitando che prenda il potere una persona incompetente come Nerone, che ha portato alla distruzione a causa delle sue atrocità e delle sue turpitudini ed è stato il primo esempio di principe dichiarato dal senato nemico pubblico. Inoltre il principato risulterebbe più vicino alla repubblica che al regnum. La frase conclusiva del discorso indica come il buon principe è colui che sa realizzare un difficile compromesso tra libertas e servitus.
Il punto di vista dei Romani: il discorso di Ceriale.
Ceriale, capo della legione romana, parla ai Treviri e ai Lingoni, popolazioni galliche appena sconfitte, per illustrare loro i vantaggi che comporta la fedele sottomissione a Roma piuttosto che la rivolta. Il brano può essere diviso in due sequenze. Nella prima, introdotta da una breve introduzione in cui il generale si presenta come un uomo d’armi e non un oratore (“Non è l’eloquenza il mestiere mio, bensì l’armi” ), Ceriale difende i Romani dicendo che le guerre non sono state intraprese per brama di potere e di ricchezza ma per rispondere alla richiesta di aiuto delle popolazioni che erano cadute sotto i Germani, i Cimbri e i Teutoni che spinti dalla cupidigia e dall’avidità lasciarono le loro lande desolate per calpestare il territorio altrui.
Nella seconda parte Ceriale mette in evidenza come con la venuta dei Romani e la sottomissione pacifica delle popolazioni aiutate, le Gallie non soffrirono più le guerre e la tirannia. I Romani non vogliono dominare queste popolazioni ma, riducendole all’obbedienza, possono salvaguardare e garantire loro la pace, alla quale non si può arrivare senza l’impiego di armi e milizie. Così Ceriale rincuorò e tranquillizzò le genti appena sconfitte.
Il discorso è schietto, semplice e brutale, è costituito da brevi frasi e si addice perfettamente alla situazione e al personaggio di Ceriale.
Annales
Dopo aver composto le Historiae Tacito decise che se la vita glielo permetteva, avrebbe composto un opera che narrava gli avvenimenti dei regni di Nerva e di Traiano.
Diversamente, poi, decise di parlare di quanto era accaduto da Augusto a Nerone, e di come realmente i tempi della felicitas temporum fossero solo un illusione.
Negli Annales vengono presi in esame gli anni caratterizzati dalla dinastia giulio-claudia, dalla morte di Augusto, (Ab excussu Divi Augustei) fino a quella di Nerone. Dei sedici libri originari ci sono giunti integri i primi quattro, un frammento del quinto ed il sesto privo della parte iniziale; l’undicesimo ha qualche lacuna, mentre il sedicesimo manca della metà. Le lacune non ci consentono di leggere quanto negli Annales è dedicato al regno di Caligola.
Dopo la parte introduttiva che contiene un breve schizzo della storia di Roma dalle origini alle guerre civili, si passa all’analisi del principato, che viene giudicato da Tacito come una trasformazione in negativo delle istituzioni repubblicane, perché ha determinato la fine della libertas, pur dando l’illusione di lasciare in vita le istituzioni della res publica. In questa ottica lo storico fornisce, attraverso gli Annales, un profilo fortemente negativo di Augusto, in quanto è stato proprio lui a causare la progressiva trasformazione delle istituzioni statali dietro la facciata di un garantismo filo repubblicano che poté ingannare solo gli sprovveduti.
Tacito vede in Ottaviano la causa dell’inizio della decadenza dello stato romano. La critica non tocca solo Augusto ma anche Tiberio.
Nell’opera la narrazione procede anno per anno, con la consueta alternanza di vicende interne ed esterne. Si nota tuttavia un’accelerazione del racconto rispetto alle Historiae: i libri rimasti abbracciano da un minimo di due a un massimo di nove anni ciascuno. Accanto alle figure degli imperatori, su ciascuno dei quali lo storico formula, o più spesso lascia emergere, un severo giudizio di condanna, compaiono molti altri personaggi, alcuni dei quali assumono grande rilievo, senza tuttavia mai assurgere al ruolo di protagonisti: le loro azioni e le loro vicende sono per lo più considerate nella misura in cui interferiscono con quelle del principe, influenzandone il comportamento e provocandone le reazioni.
Il supplizio di due vittime innocenti.
Si tratta del resoconto dell’uccisione dei due figli minori di Seiano, travolti dalla caduta del padre, torturati e uccisi nonostante la loro giovane età.
Nel testo si evidenzia come Tacito riesca ad ottenere effetti di potente drammaticità con mezzi apparentemente semplicissimi e con sobria brevità.
Epitaffio di Tiberio.
Il testo può essere diviso in due parti. Nella prima troviamo un breve riassunto della vita e della discendenza di Tiberio, nella seconda una valutazione dei suoi costumi, in cui sono individuate cinque fasi. Solo la prima, anteriore all’ascesa al trono, è valutata positivamente, mentre le altre mostrano il manifestarsi progressivo dei vizi, a mano a mano che cadono le remore e le costrizioni esercitate da altri personaggi.
L’uccisione di Britannico.
Il racconto dell’uccisione di Britannico è ambientata durante due banchetti, l’ambientazione è notturna, l’atmosfera cupa e dominata dall’intrigo e dalla violenza.
Il brano può essere diviso in due sequenze. La prima costituisce una sorta di prologo, nel quale Tacito descrive il personaggio di Britannico come un’adolescente innocente ( “Britannico avrebbe compiuto il suo quattordicesimo anno di età” ” inesperto dell’orgie non solo, ma pur dei più sobri banchetti” ), coraggioso e furbo, tanto da ribaltare la situazione che aveva creato Nerone per metterlo in ridicolo, trasformandola in una rivincita e in una fiera rivendicazione dei propri diritti conculcati. L’autore descrive brevemente anche la reazione dei cortigiani, che non nascondono la loro compassione per Britannico. Questa reazione alimenta ancora di più l’odio di Nerone nei confronti del fratellastro. L’imperatore trama di nascosto l’uccisione del giovane aiutato da personaggi loschi e senza scrupoli.
Nella seconda parte viene descritta accuratamente la scena del delitto. Tacito spiega dettagliatamente il sotterfugio con cui il veleno viene somministrato aggirando l’ostacolo del servo che aveva il compito di assaggiare preventivamente i cibi e le bevande. Segue la descrizione delle reazioni dei commensali all’improvviso venir meno di Britannico: la paura dei compagni, la fuga precipitosa degli ignari, il silenzio e l’attesa di coloro che avevano intuito la verità e restano immobili con gli occhi fissi su Nerone. Quest’ultimo si dimostra cinico e falso, rimane sdraiato come non fosse successo nulla e finge di interpretare l’accaduto come un attacco di epilessia. Infine il terrore e lo sbigottimento di Agrippina, che teme di essere uccisa, e di Ottavia, la sorella di Britannico, che aveva già acquisito la capacità di soffocare gli impulsi e gli affetti. Efficacissima nella sua fredda e rapida sobrietà, la frase conclusiva, che suggella il trionfo della dissimulazione e dell’ipocrisia.
L’atmosfera è molto drammatica e tesa. Nel testo emerge la figura di Nerone, spietato, falso e insensibile.
Un esempio di coraggio dato da una donna.
In questo testo Tacito esalta la forza d’animo dimostrata da una donna d’umile condizione, Epicari, coinvolta nella congiura pisoniana e denunciata da Volusio Pròculo presso Nerone. Quest’ultimo, pensando che il corpo femminile non avrebbe resistito al dolore, voleva estorcerle i nomi dei congiurati attraverso la tortura ma, né la fustigazione, né il fuoco, né l’ira stessa dei carnefici riuscirono a piegarla. Tacito dopo aver descritto il suicidio eroico della donna, sottrattasi con la morte a nuove torture, esalta la sua superiorità morale rispetto a tanti uomini di elevata condizione sociale (cavalieri e senatori) che anche senza essere sottoposti alla tortura denunciavano le persone più care.
La morte di Seneca.
Seneca riceve da Nerone l’ordine di uccidersi, nonostante non fosse coinvolto direttamente nella congiura pisoniana.
Il brano può essere diviso in tre sequenze. La prima parla dei preparativi per la morte del filosofo, che si rivela molto lucido e padrone della situazione e di se stesso. Non si lascia schiacciare dalla sofferenza e dalla commozione al contrario dei presenti (amici e moglie).
Nella seconda sequenza emerge invece la superficialità di Nerone che impedisce a Paolina di morire, solo per evitare una maggiore odiosità del popolo nei suoi confronti.
Infine nella terza parte, Seneca beve del veleno, con un implicito riferimento alla morte di Socrate, ma questo non è sufficiente, esala l’ultimo respiro quando il caldo di un bagno a vapore lo finisce dopo atroci sofferenze..
Nel brano troviamo il tema del suicidio che viene imposto ingiustamente, ma accettato serenamente e affrontato con esemplare coraggio e forza d’animo, senza la paura del dolore.
Nerone sulla scena.
Tacito dedica la sua attenzione all’imperatore sulla scena durante i giochi quinquennali. Il testo può essere diviso in due sequenze. Nella prima troviamo il tentativo del senato di prevenire lo scandalo e l’esibizione di Nerone. I senatori cercano invano di non far partecipare Nerone ai giochi, gli offrono in anticipo la vittoria e la corona dell’eloquenza, ma l’imperatore sale lo stesso in scena leggendo un carme. Al termine dell’esibizione l’imperatore acclamato dal popolo aspetta con simulata ansia il verdetto dei giudici.
Nella seconda parte si comprende il motivo per cui Nerone è applaudito con tanto furore: il gran numero di spettatori, obbligati con elenchi alla presenza, venivano maltrattati e picchiati dalle forze dell’ordine. Il pubblico era numerosissimo, le persone erano tutte pressate tanto che alcuni morivano nei corridoi, altri venivano calpestati e altri ancora contrassero morbi di malattie mortali. Persino lo stesso Vespasiano rischiò questa sorte, in quanto stava cedendo al sonno.