Imparare da Tucidide: “La Guerra del Peloponneso” (o “StorieR…
21 Giugno 2017Harry Potter e la maledizione dell’erede – J.K.Rowling – di Vale…
22 Giugno 2017Ed ora facciamo un passo indietro e cerchiamo di delineare, sempre partendo da alcuni testi platonici, la percezione e la lezione che Platone ricavò dalla vita, dal metodo filosofico e dalla morte del suo ammirato maestro Socrate prima di farne il protagonista di Dialoghi in cui la sua figura è invece utilizzata per dire cose che in realtà fanno parte dell’elaborazione platonica di quell’esperienza.
Più anziano di Platone, Socrate nacque probabilmente attorno al 470 a.C., in ogni caso pochi anni dopo la seconda vittoria degli Ateniesi sui Persiani a Salamina (480a.C.). Quindi, a differenza di Platone, che nacque in piena guerra del Peloponneso (una specie di guerra “mondiale” per il mondo greco), Socrate crebbe in un’Atene che, forte delle sue Lunghe Mura e della sua flotta navale volute da Temistocle , si avviò ben presto a fare della Lega delio-attica la base per la sua ricchezza mercantile ed il suo potere su tutto il Mar Egeo. Socrate assisterà così all’ascesa di Pericle, di una ventina d’anni maggiore di lui, alla trasformazione di Atene in polo culturale di tutta la Grecia, al suo abbellimento architettonico a spese del tesoro della Lega come voluto da Pericle, alle grandi rappresentazioni teatrali, al disvelamento progressivo dell’ambiguità del concetto democratico di “libertà” (la democratica Atene che si comporta da “tiranna” con i suoi stessi alleati per imporre e mantenere il suo potere economico), alla conseguente crisi dei valori a cui dà una voce particolarmente problematica il fenomeno dei Sofisti (ma non solo loro) ed alle ripercussioni socio-politiche della guerra del Peloponneso.
Il punto più alto della lezione di Socrate al mondo è sicuramente la coerenza con cui egli visse i suoi valori, coerenza che lo portò ad accettare le leggi della sua città che lo condannavano a morte, anziché scegliere la fuga o chiedere l’esilio.
Socrate, probabilmente proprio il Socrate realmente esistito, parlò di questa sua coerenza nominando un “dèmone”: una voce interiore che gli impediva di fare cose di fatto in contraddizione con i valori sostenuti a parole e definiti in termini razionali, imponendogli, la voce, di intraprendere strade diverse da quella perseguita. Tale è il Socrate storico dell’Apologia, opera platonica a cui rimando anche sotto.
Molto diverso, questo démone socratico, mònito interiore che impedisce di commettere ingiustizia rispetto ad un valore positivamente chiarito. Ora, però, ciò che si ritiene giusto, per Socrate, figlio di una generazione ormai anziana nell’Atene che ha appena sperimentato diversi cambi di potere politico, si identifica senz’altro ancora con la legge della città democratica che lo sta condannando ed al di fuori della quale lui non può scegliere di vivere per vari motivi espressi in un breve Dialogo platonico, il Critone, che sotto rinominerò e che è già diverso dall’Apologia, poiché qui non si parla più di démone, ma di coerenza e consistenza, senso dell’obbligo e del dovere verso le leggi della città in quanto cittadino. Molto diversa, dicevo, questa voce interiore che impedisce di fare cose ingiuste, dall’Eros di cui Platone parla nel Simposio (post n.2 di questa serie): un démone che è forza cosmica che non impedisce, ma spinge, tende, anela verso l’Idea del Bello, che è anche Idea del Buono in sé e del Giusto in sé; diverso ancora dall’Eros del Simposio, si ritroverà, alla fine del Fedone, un altro Dialogo platonico, un dèmone inteso come guida assegnata ad ogni anima per accompagnarla nei momenti di passaggio tra il mondo del di qua ed il mondo del di là, e viceversa.
Ora, interessante, qui, sarebbe la lettura di un classico degli studi sul pensiero greco, “I Greci e l’irrazionale” di Eric R. Dodds (1951). Partendo da questa premessa, io vorrei far notare quanto il démone socratico sia ancora voce che parla con l’individuo, una voce ancora “viva”, “sonante”, non ridotta al ruolo di guida delle anime tra regno dei morti e regno dei vivi che si direbbe “muta” (Fedone) per poi vedersi dissolta nell’impersonalità cosmica dell’Eros (Simposio).
E perché queste distinzioni possono essere materia di riflessione per noi? Perché io, insieme a tanti, ne rimango colpita ed affascinata?
Come ho premesso in uno dei post precedenti, a me, nel pensare all’uomo Socrate ed all’uomo Platone, interessa ora il problema della crisi dei valori conosciuti e della ricerca di un sistema di riferimento. Partendo da questo punto di vista, con Socrate sembra trovarsi di fronte ad un uomo che, seppur preso dai dubbi sul da farsi in quanto essere umano=limitato e non sapiente, oltre alla sua propria facoltà razionale del ragionamento da educare e rafforzare in quanto “uomo filo-sofo”, ha però ancora un appoggio su qualcosa diverso da sé, un interlocutore interiore, un che di divino che abita in lui e che, se non è pronto ad instaurare con l’individuo un vero e proprio dialogo, perlomeno gli fa sentire direttamente la sua voce personale e con questa lo aiuta ad essere certo di scegliere ciò che è giusto rispetto al sistema di valori (sociali) preposto, In altre parole, l’uomo per Socrate non è ancora terribilmente solo, abbandonato dagli dèi e sradicato dalla sua comunità, non è l’uomo della contemporanea Tragedia ateniese, al bivio tra due strade ugualmente giuste perché riferite a due sistemi di valori altrettanto validi: Socrate ancora sa, grazie al suo dèmone che gli impedisce di compiere atti ingiusti/impuri, dove è il giusto e dove è l’errato, e può morire in pace con se stesso, diventando simbolo di riferimento per tanti altri uomini, filosofi dichiarati e non, del tempo futuro. Anche noi potremmo parlare di voce interiore in quanto coscienza, ma chi ha perso la dimensione religiosa non è nella stessa posizione di Socrate. Per Socrate, il suo dèmone è figlio degli dèi, ed anzi una delle sue accuse, quella di empietà, si riferisce proprio all’aver introdotto lui, parlando del suo dèmone, “nuovi dèi” nella città.
Altro discorso vale per Platone, al quale rimane solo la facoltà umana del ragionamento e che deve riconquistare la visione di una dimensione superiore su cui fondare la medesima. E vediamo che allora Platone non solo non scriverà mai trattati di filosofia, ma Dialoghi, in cui farà spesso ricorso al mito o ad altri espedienti per trasmettere messaggi che non osa fissare in un linguaggio scientifico, proposto invece da Aristotele, suo allievo. Lo si nota nel Critone, che alza il tono del messaggio etico socratico utilizzando come espediente la personificazione (prosopopea) delle leggi della città ed il loro dialogo immaginario con Socrate, “loro figlio” – ricordiamo qui che il cittadino greco libero e maschio ha diritti solo all’interno della sua città natale attraverso la cittadinanza, fuori dalla quale non è niente e può addirittura essere venduto come schiavo, a meno che non possa fare affidamento sull’ospitalità e la protezione di qualcuno: sempre in questo Dialogo, Critone, amico di Socrate, fa appunto riferimento a questa possibilità quando propone a Socrate la fuga da Atene; e nella conferenza di Canfora riportata nel post su La Repubblica si fa notare che tra l’altro lo stesso Platone, dopo la prima avventura a Siracusa, fu venduto come schiavo e liberato solo grazie ad un suo amico.
Questa lettura di Platone, che lo allontana sensibilmente da quelle interpretazioni che ne fanno un uomo certo, con una fede illuminata del mondo metafisico delle Idee a cui guarda posseduto da una nuova forma di religiosità che gli fa disdegnare il mondo del reale, corruttibile ed apparente e che si riferisce agli apporti di storici che via via nominerò, è la proposta alla base di questa mia serie di post. Concludiamo intanto questo, dedicato alla figura del Socrate storico.
Platone, lo si è detto, nasce e cresce durante la guerra del Peloponneso: affascinato dalla levatura morale del maestro, lo rese protagonista della maggior parte dei suoi Dialoghi. Ma lui, Platone, ebbe bisogno di cercare e trovare nuovi agganci e nuove basi per ricostruire un universo di valori consistente sulle macerie di quello che Atene non era e non poteva per lui rappresentare più. E forse proprio per questo, per Platone la morte di Socrate ed il significato morale che Socrate stesso diede a questa scelta di rispetto per la legge ebbero una risonanza straordinaria e rimasero un ricordo indelebile. Egli fermò la memoria di quel momento storicamente inteso soprattutto in tre delle sue opere: L’Apologia di Socrate, in cui si ripercorrono del processo i momenti dei discorsi pronunciati da Socrate in sua autodifesa; il Critone, in cui Platone sintetizza in un Dialogo molto intenso la posizione morale di Socrate in quanto cittadino in rapporto leale alle leggi della sua città, il quale pertanto si rifiuta di accettare l’offerta dei suoi amici di darsi alla fuga per evitare la condanna a morte; e vorrei metterci il Fedone in quanto Dialogo che, ambientato in cella dove è detenuto Socrate, ne immagina le ultime ore di vita e trae spunto da queste per parlarci della vita del filosofo (=del “sapiente in divenire”, mai “sapiente pienamente realizzato”) come preparazione alla morte. Del Fedone, Dialogo complesso sulla morte (e sul destino delle anime), parlerò in un prossimo post nominando anche il mito di Er contenuto ne La Repubblica: per ora mi fermo qui per quanto lo riguarda. Ricordo infatti che ogni Dialogo platonico è ricco di riferimenti e motivi di riflessione tali da non poterne parlare riducendolo ad un unico argomento.
Per avvicinarvi a questa grande figura del nostro passato culturale, Socrate, a parte i testi di questi tre Dialoghi, vorrei rimandarvi a due produzioni audiovisive: un vecchio film del lontano 1939 (!!!!), bello da vedere, tratto dall’Apologia di Platone,
https://www.youtube.com/watch?v=85tMnJgeauE
e, DAL 50 MINUTO (precedentemente, la messa in scena teatrale si riferisce ad un altro Dialogo platonico, Le Leggi), https://www.youtube.com/watch?v=bG0kRM-pqTE&t=14s, che si ispira al Dialogo Critone sopra nominato, con l’intensa e toccante interpretazione di Lino Guanciale nella parte di un Socrate al quale Platone dedicò una delle sue pagine più alte e degne.
Per i testi platonici, segnalo:
1) Apologia di Socrate (breve): http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Apologia.pdf
2) Critone (brevissimo): http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Critone.pdf
3) Fedone (complesso, ne parlerò prossimamente): http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Fedone.pdf
E la già indicata raccolta di tutta l’opera platonica curata dal Prof. Giovanni Reale, https://giuseppecapograssi.files.wordpress.com/2015/03/platone_a_cura_di_giovanni_reale_tutti_gli_scribookzz-org.pdf
Cristina Rocchetto