Canto trentatreesimo del Purgatorio
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27 Gennaio 2019dall’Alcyone di Gabriele D’Annunzio
Libro Terzo delle Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi
Undulna
Ai piedi ho quattro ali d’alcèdine,
ne ho due per mallèolo, azzurre
e verdi, che per la salsédine
curvi sanno errori dedurre.
Pellùcide son le mie gambe
come la medusa errabonda,
che il puro pancrazio e la crambe
difforme sorvolano e l’onda.
Io l’onda in misura conduco
perché su la riva si spanda
con l’alga con l’ulva e col fuco
che fànnole amara ghirlanda.
Io règolo il segno lucente
che lascian le spume degli orli:
l’antico il men novo e il recente
io so con bell’arte comporli.
I musici umani hanno modi
lor varii, dal dorico al frigio:
divine infinite melodi
io creo nell’esiguo vestigio.
Le tempre dell’onda trascrivo
su l’umida sabbia correndo;
nel tràmite mio fuggitivo
gli accordi e le pause avvincendo.
O sabbia mia melodiosa,
non un tuo granello di sìlice
darei per la pómice ascosa
della fonte all’ombra dell’ìlice.
Brilli innumerevole e immensa
alla mia l’unata scrittura;
e l’acqua che bevi t’addensa,
lo sterile sale t’indura.
Il rilievo t’è tanto sottile,
dedotto con arte sì parca,
che men gracile in puerile
fronte sopracciglio s’inarca.
A quando a quando orma trisulca
il lineamento intercide;
pesta umana, se ti conculca,
s’impregna di luce e sorride.
Figure di néumi elle sono
in questa concordia discorde.
O c’ètera curva ch’io suono,
né dito né plettro ti morde.
Io trascorro; e il grande concento
in me taciturna s’adempie,
dallunghie de’ miei piè d’argento
alle vene delle mie tempie.
Scerno con orecchia tranquilla
i toni dell’onda che viene,
indago con chiara pupilla
più oltre ogni segno più lene;
così che la musica traccia
m’è suono, e ne’ righi leggeri,
mentre oggi odo ansar la bonaccia,
leggo la tempesta di ieri.
Che è questo insolito albore
che per le piagge si spande?
Teti offre alla madre di Core
dogliosa le salse ghirlande?
L’albàsia de’ giorni alcionii
anzi il verno giunge precoce
e dagli arcipelaghi ionii
attinge del Serchio la foce?
Il molle Settembre, il tibìcine
dei pomarii, che ha violetti
gli occhi come il fiore del glìcine
tra i riccioli suoi giovinetti,
fa tanta chiarìa con due ossi
di gru modulando un partènio
mentre sotto l’ombra dei rossi
corbézzoli indulge al suo genio.
Respira securo il mar dolce
qual pargolo in grembo materno.
La pace alcionia lo molce
quasi aureo latte, anzi il verno.
Onda non si leva; non s’ode
risucchio, non s’ode sciacquìo.
Di luce beata si gode
la riva su mare d’oblìo.
La sabbia scintilla infinita,
quasi in ogni granello gioisca.
Lùccica la valva polita,
la morta medusa, la lisca.
In ogni sostanza si tace
la luce e il silenzio risplende.
La Pania di marmi ferace
alza in gloria le arci stupende.
Tra il Serchio e la Magra, su l’ozio
del mare deserto di vele,
sospeso è l’incanto. Equinozio
d’autunno, già sento il tuo miele.
Già sento l’odore del mosto
fumar dalla vigna arenosa.
All’alba la luna d’agosto
era come una falce corrosa.
Di Vergine valica in Libra
l’amico dell’opere, il Sole;
e già le quadrella ch’ei vibra
han meno pennute asticciuole.
Silenzio di morte divina
per le chiarità solitarie!
Trapassa l’Estate, supina
nel grande oro della cesarie.
Mi soffermo, intenta al trapasso.
Onda non si leva. L’albèdine
è immota. Odo fremere in basso,
a’ miei piedi, l’ali d’alc’èdine.
Bianche si dilungan le rive,
tra l’acque e le sabbie dilegua
la zona che l’arte mia scrive
fugace. Sorrido alla tregua.
A’ miei piedi il segno d’un’onda
gravato di nero tritume
s’incurva, una màcera fronda
di rovere sta tra due piume,
un’arida pigna dischiusa
che pesò nel pino sonoro
sta tra l’orbe d’una medusa
dispersa e una bacca d’alloro.
Vengono farfalle di neve
tremolando a coppie ed a sciami:
nella luce assemprano lieve
spuma fatta alata che ami.
Azzurre son l’ombre sul mare
come sparti fiori d’acònito.
Il lor tremolìo fa tremare
l’Infinito al mio sguardo attonito.
Audio Lezioni su Gabriele D’Annunzio del prof. Gaudio
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