Pipino il Breve: i Pipinidi e la corona
28 Dicembre 2019Dante Inferno canto XXVI 73-129
28 Dicembre 2019Dopo il racconto del Conte Ugolino scoppia l’invettiva contro Pisa, e Dante raggiunge un’altra regione del Cocito
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti, 81
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona! 84
d’aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 87
novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
e li altri due che ’l canto suso appella. 90
ruvidamente un’altra gente fascia,
non volta in giù, ma tutta riversata. 93Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
si volge in entro a far crescer l’ambascia; 96ché le lagrime prime fanno groppo,
e sì come visiere di cristallo,
rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. 99
E avvegna che, sì come d’un callo,
per la freddura ciascun sentimento
cessato avesse del mio viso stallo, 102
già mi parea sentire alquanto vento;
per ch’io: “Maestro mio, questo chi move?
non è qua giù ogne vapore spento?”. 105
Ond’elli a me: “Avaccio sarai dove
di ciò ti farà l’occhio la risposta,
veggendo la cagion che ’l fiato piove”. 108
E un de’ tristi de la fredda crosta
gridò a noi: “O anime crudeli
tanto che data v’è l’ultima posta, 111
levatemi dal viso i duri veli,
sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
un poco, pria che ’l pianto si raggeli”. 114
Per ch’io a lui: “Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna,
dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
al fondo de la ghiaccia ir mi convegna”. 117
Rispuose adunque: “I’ son frate Alberigo;
i’ son quel da le frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo”. 120
“Oh”, diss’io lui, “or se’ tu ancor morto?”.
Ed elli a me: “Come ’l mio corpo stea
nel mondo sù, nulla scïenza porto. 123
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
che spesse volte l’anima ci cade
innanzi ch’Atropòs mossa le dea. 126
E perché tu più volontier mi rade
le ’nvetrïate lagrime dal volto,
sappie che, tosto che l’anima trade 129
come fec’ïo, il corpo suo l’è tolto
da un demonio, che poscia il governa
mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto. 132
Ella ruina in sì fatta cisterna;
e forse pare ancor lo corpo suso
de l’ombra che di qua dietro mi verna. 135
Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
elli è ser Branca Doria, e son più anni
poscia passati ch’el fu sì racchiuso”. 138
“Io credo”, diss’io lui, “che tu m’inganni;
ché Branca Doria non morì unquanche,
e mangia e bee e dorme e veste panni”. 141
“Nel fosso sù”, diss’el, “de’ Malebranche,
là dove bolle la tenace pece,
non era ancora giunto Michel Zanche, 144
che questi lasciò il diavolo in sua vece
nel corpo suo, ed un suo prossimano
che ’l tradimento insieme con lui fece. 147
Ma distendi oggimai in qua la mano;
aprimi li occhi”. E io non gliel’apersi;
e cortesia fu lui esser villano. 150
Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
perché non siete voi del mondo spersi? 153
Ché col peggiore spirto di Romagna
trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Cocito già si bagna, 156
e in corpo par vivo ancor di sopra.