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28 Dicembre 2019Decadentismo e naturalismo
28 Dicembre 2019In questo passaggio, Dante parla con Marco Lombardo, una figura che rappresenta la saggezza morale e politica, ed è proprio Marco a fornire una risposta sulla condizione morale del mondo, chiarendo la causa della sua degenerazione.
Introduzione
Nel Purgatorio Canto XVI, Dante si trova nella cornice degli iracondi, dove le anime sono immerse in una densa nebbia che simboleggia l’oscurità che l’ira provoca nella ragione. Durante il dialogo con Marco Lombardo, Dante esprime il suo sconcerto per il decadimento morale del mondo e chiede la causa di questa degenerazione. Marco risponde con una lezione fondamentale sul libero arbitrio, spiegando che non è il cielo (o la predestinazione) a determinare tutto, come spesso si crede, ma che l’uomo, con il libero arbitrio, è responsabile delle sue azioni.
Analisi
Il passo si apre con Dante che, a causa delle riflessioni fatte da Marco Lombardo sulla corruzione del mondo, si sente confermato nella sua visione che la terra è ormai deserta di virtù e colma di malizia. Tuttavia, Dante, assetato di sapere, vuole comprendere la causa di questa corruzione, chiedendo che gli venga indicata e spiegata in modo da poterla mostrare ad altri. La sua domanda è profonda: cerca di capire se questa degenerazione sia frutto di una volontà divina (collegata al cielo) o se vi sia un’altra spiegazione più terrena.
La risposta di Marco Lombardo è carica di una saggezza che si esprime in un amaro sospiro, seguito dalla sua affermazione che il mondo è cieco. Marco accusa l’umanità di attribuire ogni cosa al cielo, come se tutto fosse guidato da una necessità astrale. Qui emerge un dibattito filosofico antico, quello tra il determinismo e il libero arbitrio. Se tutto fosse determinato dagli astri, allora il libero arbitrio non esisterebbe, e non ci sarebbe giustizia nel ricompensare il bene e nel punire il male, perché l’uomo non sarebbe responsabile delle sue azioni.
Marco Lombardo, dunque, sottolinea che il mondo terreno non è governato esclusivamente dai moti celesti, ma che l’uomo ha la capacità e la responsabilità di scegliere tra il bene e il male. Questa riflessione critica l’idea di un destino ineluttabile e mette al centro della vita morale la volontà umana.
Commento
Questo passaggio rappresenta uno dei momenti cruciali in cui Dante sviluppa il suo pensiero filosofico sul libero arbitrio. La Divina Commedia, pur essendo profondamente radicata in una visione teologica, non sostiene una visione fatalistica della vita: il destino dell’uomo non è fissato dagli astri o da una predestinazione inesorabile, ma dipende dalle scelte morali che compie. In questo senso, Dante esprime una visione profondamente responsabile dell’esistenza, in cui l’uomo è libero di determinare la propria sorte e la propria salvezza.
Il lamento di Marco (“Alto sospir”) evidenzia la frustrazione e il dolore derivanti dal vedere come il mondo abbia perso di vista questa verità fondamentale. Il riferimento all’attribuzione di tutte le colpe al cielo riflette una critica a una visione deterministica che era diffusa nel Medioevo, secondo cui il destino dell’uomo era interamente controllato dai moti celesti e dalle influenze astrologiche. In questa critica, Dante riecheggia la dottrina della Chiesa, che riconosce il libero arbitrio come parte essenziale della condizione umana.
Marco Lombardo chiarisce che, se non ci fosse libero arbitrio, la giustizia divina perderebbe il suo significato, poiché non sarebbe giusto punire o ricompensare qualcuno per azioni di cui non ha alcuna responsabilità. Questa è una riflessione morale profonda che dà alla Divina Commedia un respiro universale, mostrando come l’opera non sia solo una visione ultraterrena del peccato e della redenzione, ma anche una meditazione sulla responsabilità morale dell’uomo nel mondo.
Parafrasi
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio.
Prima avevi una visione parziale, ma ora si è raddoppiata nella tua conclusione, che mi conferma sia qui che altrove quanto io pensavo.
Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
Il mondo è veramente deserto di ogni virtù, come mi hai detto, ed è pieno di malizia e corruzione.
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone”.
Ma ti prego di indicarmi la causa di questo, così che io possa vederla e mostrarla agli altri; perché alcuni la pongono nel cielo (le stelle) e altri qui sulla terra.
Alto sospir, che duolo strinse in “uhi!”,
mise fuor prima; e poi cominciò: “Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
Emise un grande sospiro, che il dolore trasformò in un gemito, e poi disse: “Fratello, il mondo è cieco, e anche tu vieni da esso.”
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Voi che vivete sulla terra attribuite ogni causa al cielo, come se tutto fosse mosso da una necessità ineluttabile.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Se fosse così, il libero arbitrio in voi sarebbe distrutto, e non ci sarebbe giustizia: non sarebbe giusto provare gioia per il bene e soffrire per il male.
Questo passaggio è una riflessione potentissima sul ruolo del libero arbitrio e la responsabilità umana, un tema che Dante esplora con acume filosofico. La visione di Marco Lombardo chiarisce che l’uomo, pur influenzato dalle forze celesti, ha la libertà di scegliere, e quindi è pienamente responsabile delle sue azioni.
Solo testo dei versi 55-72 del sedicesimo canto del Purgatorio di Dante
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova.96
Mentr’io mi dilettava di guardare
l’imagini di tante umilitadi,
e per lo fabbro loro a veder care,99
“Ecco di qua, ma fanno i passi radi”,
mormorava il poeta, “molte genti:
questi ne ’nvïeranno a li alti gradi”.102
Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti
per veder novitadi ond’e’ son vaghi,
volgendosi ver’ lui non furon lenti.105
Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento per udire
come Dio vuol che ’l debito si paghi.108
Non attender la forma del martìre:
pensa la succession; pensa ch’al peggio
oltre la gran sentenza non può ire.111
Io cominciai: “Maestro, quel ch’io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, sì nel veder vaneggio”.114
Ed elli a me: “La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.117
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
già scorger puoi come ciascun si picchia”.120
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne’ retrosi passi,123
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?126
Di che l’animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla?129
Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giugner le ginocchia al petto,132
la qual fa del non ver vera rancura
nascere ’n chi la vede; così fatti
vid’io color, quando puosi ben cura.135
Vero è che più e meno eran contratti
secondo ch’avien più e meno a dosso;
e qual più pazïenza avea ne li atti,138
piangendo parea dicer: ’Più non posso’.
Analisi e commento dei versi
vv. 94-96
“Colui che mai non vide cosa nova / produsse esto visibile parlare, / novello a noi perché qui non si trova.”
Dante apre questo brano con un elogio a Dio, “Colui che mai non vide cosa nova”, il creatore che ha realizzato il “visibile parlare”, cioè le immagini scolpite sulla roccia. Queste immagini sono una forma di linguaggio visivo che comunica esempi di umiltà ai pellegrini del Purgatorio. La novità risiede nel fatto che non si trovano cose simili sulla Terra.
vv. 97-99
“Mentr’io mi dilettava di guardare / l’imagini di tante umilitadi, / e per lo fabbro loro a veder care,”
Dante, ancora incantato dalla vista delle sculture che raffigurano esempi di virtù, riconosce l’opera come degna di grande ammirazione, tanto per il suo contenuto quanto per l’arte di chi l’ha creata. Si delizia osservando queste rappresentazioni di umiltà, che fungono da contrappunto alla superbia punita in questa cornice.
vv. 100-102
“‘Ecco di qua, ma fanno i passi radi’, / mormorava il poeta, ‘molte genti: / questi ne ’nvïeranno a li alti gradi’.”
Virgilio interrompe la contemplazione di Dante, avvisandolo che molte anime stanno avvicinandosi, sebbene lentamente, sotto il peso delle loro pene. Queste anime, dopo aver completato la loro purificazione, potranno ascendere alle “alti gradi”, cioè agli stadi superiori del Purgatorio e infine al Paradiso.
vv. 103-105
“Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti / per veder novitadi ond’e’ son vaghi, / volgendosi ver’ lui non furon lenti.”
Dante, curioso di vedere le novità che Virgilio gli ha indicato, gira rapidamente gli occhi verso le anime che si stanno avvicinando, desideroso di osservare ciò che si nasconde dietro la sofferenza che portano con sé.
vv. 106-111
“Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi / di buon proponimento per udire / come Dio vuol che ’l debito si paghi. / Non attender la forma del martìre: / pensa la succession; pensa ch’al peggio / oltre la gran sentenza non può ire.”
Dante si rivolge direttamente al lettore, avvisandolo di non perdere la fede o la determinazione nel sentire delle sofferenze delle anime in Purgatorio. La pena che esse subiscono è necessaria per la loro purificazione, voluta da Dio. Il poeta esorta a non soffermarsi troppo sulla crudeltà della punizione, ma a riflettere sulla giustizia divina che non va mai oltre il necessario per redimere le anime.
vv. 112-114
“Io cominciai: ‘Maestro, quel ch’io veggio / muovere a noi, non mi sembian persone, / e non so che, sì nel veder vaneggio’.”
Dante, confuso dalla vista di queste anime piegate sotto i macigni, chiede spiegazioni a Virgilio, affermando che non gli sembrano nemmeno esseri umani. Questa deformazione fisica, provocata dal peso che portano, altera la loro apparenza al punto da renderle irriconoscibili.
vv. 115-117
“Ed elli a me: ‘La grave condizione / di lor tormento a terra li rannicchia, / sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.’”
Virgilio spiega a Dante che la sofferenza di queste anime le costringe a rannicchiarsi a terra, talmente piegate sotto il peso delle pietre da essere difficili da riconoscere come persone.
vv. 118-120
“Ma guarda fiso là, e disviticchia / col viso quel che vien sotto a quei sassi: / già scorger puoi come ciascun si picchia’.”
Virgilio invita Dante a guardare con attenzione per “disviticchiare”, cioè sciogliere la confusione visiva, e riconoscere le anime sotto i massi. Egli suggerisce che, osservando meglio, si possa vedere come queste anime, piegate dal peso, continuano a battere la testa contro il terreno, un simbolo evidente della loro umiltà forzata.
vv. 121-123
“O superbi cristian, miseri lassi, / che, de la vista de la mente infermi, / fidanza avete ne’ retrosi passi,”
Dante si rivolge con forza ai cristiani superbi ancora vivi sulla Terra. Li chiama “miseri” e afferma che sono “infermi” nella vista della mente, cioè ciechi spiritualmente. Essi ripongono fiducia solo nelle esperienze passate (“retrosi passi”), senza considerare il destino che li attende.
vv. 124-126
“non v’accorgete voi che noi siam vermi / nati a formar l’angelica farfalla, / che vola a la giustizia sanza schermi?”
Dante ricorda ai superbi che gli esseri umani sono come vermi, destinati a trasformarsi in “angeliche farfalle” dopo la morte, quando saranno purificati e liberi di volare verso la giustizia divina senza ostacoli. Questa metafora sottolinea la transitorietà della vita terrena e la necessità della redenzione.
vv. 127-132
“Di che l’animo vostro in alto galla, / poi siete quasi antomata in difetto, / sì come vermo in cui formazion falla? / Come per sostentar solaio o tetto, / per mensola talvolta una figura / si vede giugner le ginocchia al petto,”
Dante continua con una domanda retorica ai superbi, chiedendo loro come possano inorgoglirsi, quando la loro condizione è così fragile, paragonandoli a creature difettose, simili a vermi che non riescono a completare la metamorfosi. Utilizza l’immagine di una figura scolpita che sorregge un tetto (come una mensola), piegata su se stessa, con le ginocchia al petto: un’immagine di estrema sofferenza fisica, ma anche di umiltà forzata.
vv. 133-139
“la qual fa del non ver vera rancura / nascere ’n chi la vede; così fatti / vid’io color, quando puosi ben cura. / Vero è che più e meno eran contratti / secondo ch’avien più e meno a dosso; / e qual più pazïenza avea ne li atti, / piangendo parea dicer: ’Più non posso’.”
Dante paragona i superbi del Purgatorio a queste figure scolpite, la cui posizione scomoda e dolorosa genera sofferenza in chi le osserva. Egli nota che alcuni di questi peccatori sono più o meno piegati in base al peso che portano, e che quelli che sopportano con più pazienza sembrano piangere e dire: “Più non posso”. Questa frase finale riflette la completa resa dei peccatori alla giustizia divina e il loro percorso di purificazione attraverso l’umiliazione.
Tematiche
1. Il tema dell’umiltà: I superbi sono rappresentati sotto pesanti massi che li costringono a camminare curvati e a guardare a terra. Questa pena è perfettamente coerente con la loro colpa, che in vita consisteva nel sollevarsi al di sopra degli altri in arroganza e superbia. Ora, la giustizia divina li costringe a chinare la testa e a contemplare il suolo, simbolo di umiltà.
2. La pietra e il peso della superbia: La pietra simboleggia il fardello della superbia, che ora i peccatori sono costretti a portare fisicamente. Questo peso è il contrappasso per il loro desiderio di elevarsi al di sopra degli altri.
3. L’importanza della visione: Dante è spesso descritto come osservatore attento di ciò che lo circonda, e questa parte del canto non fa eccezione. Le sue interazioni con le anime e la descrizione delle loro sofferenze mostrano un processo di apprendimento e di riflessione, che contribuisce alla sua crescita spirituale lungo il viaggio.
4. Il ruolo di Virgilio: Virgilio, come guida razionale e morale, aiuta Dante a comprendere il significato delle pene. Tuttavia, in questa fase del Purgatorio, Dante inizia a sviluppare una maggiore autonomia nel suo percorso di conoscenza.
Conclusione
In questa parte del canto, Dante riflette sul tema dell’umiltà e della fragilità umana, contrapponendo la superbia terrena alla realtà della condizione umana, destinata alla trasformazione spirituale. Il contrappasso dei superbi, costretti a piegarsi sotto il peso delle pietre, è una potente immagine della necessità di riconoscere i propri limiti e la propria umiltà davanti a Dio.