8 marzo
27 Gennaio 2019Sofia Giacomelli
27 Gennaio 2019Presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni Età della vita, età delle cose. Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Prima parte: Le tre età della vita.
La vita dell’uomo viene tradizionalmente divisa in tre fasi: giovinezza, maturità, vecchiaia. Tale tripartizione deriva dalla ripetuta esperienza quotidiana del corso del sole: ascesa, zenit, declino. Al suo interno, la preferenza viene di norma assegnata alla maturità, simbolo di pienezza, di glorioso mezzogiorno () Secondo le parole di Shakespeare , essa è tutto”[1], anche se, a dare ascolto a Oscar Wilde, essere immaturi significa essere perfetti”, non rinunciare mai a ulteriori cambiamenti” (pp. 5-6).
Orazio nell’ Ars poetica[2] distingue le quattro diverse parti che ciascuno di noi recita nella vita: “aetatis cuiusque notandi sunt tibi mores” (156), si deve badare bene ai costumi specifici di ciascuna età. Segue una descrizione dei mores delle varie età: il puer il quale gestit paribus colludere (159), smania di giocare con i suoi pari, e cambia umore spesso: et mutatur in horas (160).
Poi l’ imberbus iuvenis il giovinetto imberbe il quale gaudet equis canibusque, è cereus in vitium flecti, facile come la cera a prendere l’impronta del vizio, prodigus aeris, prodigo di denaro.
Poi, conversis studiis aetas animusque virilis/, quaerit opes et amicitias, inservit honori (vv. 166-167), cambiate le inclinazioni, l’età e la mente adulta cerca ricchezze e aderenze, si dedica alla conquista del potere.
Poi c’è il vecchio:”difficilis, querulus, laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum” (vv. 173-174), difficile, lamentoso, elogiatore del tempo trascorso da ragazzo, critico e censore dei giovani. Sono dunque quattro atti che recitiamo in quattro parti diverse, con quattro aspetti diversi.
Secondo Shakespeare l’intera vita umana è una recita
:” All the world’s a stage-And all the men and women merely players” (As you like it [3], II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Essi, continua il malinconico Jaques, hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta parecchie parti, poiché sette età costituiscono gli atti”. Segue la descrizione di ciascun atto.
Mi interessa in particolare il secondo: quello dello “scolaro piagnucoloso che, con la sua cartella e col suo mattutino viso, si trascina come una lumaca malvolentieri alla scuola”; poi il terzo quello dell’ innamorato “che sospira come una fornace, con una triste ballata composta per le sopracciglia dell’amata”. Infine “l’ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e completo oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza nulla”.
Nella Vita di Svetonio troviamo l’ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici “ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse” (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:” eij de; ti-e[coi kalw'” to; paivgnion, krovton dovte”, se è andato un po bene questo scherzo, applaudite.
La corta buffa”[4] era giunta al termine.
Ma torniamo al libro di Bodei che ci dà tanti motivi di riflessione e spunti per la ricerca.
La giovinezza è, per lo più, acerba, inesperta, impetuosa, colma di desideri. La vecchiaia, invece, è spesso malinconica, risentita, irritabile, timorosa e debole (etimologicamente il vecchio è imbecille”, in quanto ha bisogno di appoggiarsi a un bastone , in baculo) () i vecchi vivono sotto il segno dellagostiniano metus amittendi, della paura di perdere tutto, di avanzare verso l’ignoto o, forse, verso il nulla” (p. 6).
Eppure J. Hillman da vecchio ha scritto: I fatti dimostrano che, invecchiando, io rivelo più carattere, non più morte”[5].
Leggere i libri di Remo Bodei significa imparare idèe nuove e ricordare quelle che avevamo dimenticato. Impariamo e ripassiamo ancora dunque.
Bodei cita, tra altri autori (p. 7), Aristotele che, nella Retorica, divide la vita in tre età: hJlikivai dev eisi neovth~ kai; ajkmh; kai; gh`ra~” (1388b), le età sono la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Si vede che la seconda è considerata il culmine (ajkmhv) della vita.
I giovani secondo Aristotele
Nei giovani prevale la speranza e vivono per lo più in essa (kai; zw`si ta; plei`sta elpivdi, 1389a), infatti la speranza riguarda il futuro, il ricordo invece il passato.
Aristotele mette in luce diversi aspetti caratteristici, prima della giovinezza, poi della vecchiaia: i giovani sono inclini ai desideri (ejpiqumhtikoi[6]v, Retorica, 1389a), a partire da quello sessuale che non sanno dominare. Sono incostanti, passionali, impulsivi e facili alla collera. Amano inoltre gi onori e le vittorie ( la gioventù infatti desidera la supremazia e la vittoria è una forma di supremazia uJperoch`~ ga;r ejpiqumei` hJ neovth~, hJ de; nivkh uJperochv ti~”). I giovani sono di indole buona (ejuhvqei~) poiché non hanno ancora assistito a molte malvagità. Sono fiduciosi (eu[pistoi) per non essere ancora stati ingannati molte volte e sono pieni di speranze (eujevlpide~) poiché, come gli ubriachi, sono di temperamento caldo e non hanno ancora subito molti insuccessi.
Farei una critica all’antico saggio obiettando che nella vita non tutti accumulano solo insuccessi, e che raggiungendo questi si acquista la sicurezza che i giovani non possono avere proprio in quanto ancora digiuni di quelle mete raggiunte che garantiscono un’identità contenta di sé.
Poi, continua Aristotele, i giovani sono facili da ingannare, sono più coraggiosi, sono portati a vergognarsi, sono magnanimi (megalovyucoi) poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, e sono inesperti delle necessità. Magnanimità è ritenere se stesso degno di cose grandi (kai; to; ajxiou`n auJto;n mevgavlwn megaloyucivva), ed è una caratteristica di chi ha buone speranze
Poi i giovani sono socievoli, sono portati all’eccesso: pavnta ga;r a[gan pravttousin” (1389b) fanno tutto in eccesso: filou`si ga;r a[gan kai; misou`sin a[gan kai; talla pavnta oJmoivw~” amano infatti troppo e odiano troppo e tutto il resto nello stesso modo.
Si ricorderà che il precetto Mhde;n a[gan, nulla di troppo[7], era inciso sul tempio di Delfi con Gnw`qi sautovn, conosci te stesso (cfr. Platone, Protagora, 343b).
I giovani inoltre compiono ingiustizie per dismisura non per cattiveria, sono portati alla compassione e alla facezia che è una forma educata di dismisura (hj ga;r eujtrapeliva pepaideumevnh u[bri~ ejstivn, 1389b).
Vediamo ora i vecchi secondo Aristotele.
Il quadro è del tutto negativo. Il declino nel quale vivono i vecchi li rende caratterialmente cattivi (kakohvqei~).
Segue una bella definizione del cattivo carattere: e[sti ga;r kakohvqeia to; ejpi; to; cei`ron uJpolambavnein pavnta”, sta nel prendere tutto nel senso peggiore. Sono infatti sospettosi (kacuvpoptoi), e diffidenti (a[pistoi). Non sono capaci di amare né di odiare senza riserve. Abbiamo visto che i giovani invece sono magnanimi (megalovyucoi), e lo sono perché non hanno subito umiliazioni. I vecchi, viceversa sono mikrovyucoi dia; to; tetapeinw`sqai uJpo; tou` bivou, meschini, piccini d’animo, per essere stati umiliati dalla vita. Non desiderano niente di grande e di straordinario, ma solo quello che basta a vivere. Sono spilorci, sono vili (deiloiv) e hanno timore in anticipo poiché al contrario dei giovani che sono caldi (qermoiv), i vecchi sono raggelati (kateyugmevnoi) e la paura è un raggelamento (kai; ga;r oJ fovbo~ katavyuxiv~ tiv~ ejstin). Sono attaccati alla vita che sta fuggendo via da loro. Gli uomini infatti desiderano soprattutto ciò che manca. Succede anche nell’amore[8].
I vecchi sono egoisti di quell’egoismo che è una forma di meschinità.
Vivono per l’utile (pro;~ to; sumfevron zw`sin) e non per il bello (ajll j ouj pro;~ kalovn) in quanto egoisti: infatti l’utile è un bene per la singola persona, il bello invece è un bene assoluto (to; de; kalo;n ajplw`~).
Il pragmatismo di Giasone nella Medea di Euripide.
Ricavo dalla Medea di Euripide un’altra obiezione allo Stagirita: Giasone è un giovane che prepone il sumfevron, l’utile ad ogni altro valore. E portatore di una cultura pragmatica, ossia priva di carità, scrisse Pasolini.
Sentiamo cosa dice a Medea il figlio di Esone
Riguardo poi a quello che mi hai rinfacciato per le nozze regali,
in questo ti mostrerò in primo luogo di essere sapiente,
poi assennato, e pure un grande amico tuo
e dei figlioli miei; ma stai calma. 550
Dopo che mi trasferii qui dalla terra di Iolco
tirandomi dietro molte disgrazie senza rimedio,
quale trovata avrei potuto escogitare più fortunata di questa
che sposare la figlia del re, una volta diventato esule?
Non è, come tu ti rodi, che odiando il tuo letto 555
io sia colpito dal desiderio di una nuova sposa,
né che senta smania per una gara sul numero dei figli;
bastano infatti quelli nati e non mi lamento; 558
ma perché, la cosa che conta di più, vivessimo bene,
e non nell’indigenza, sapendo che
il povero ciascuno lo sfugge, e ne sta fuori dai piedi pure l’amico;
e per allevare i figli in maniera degna della mia casata,
e, avendo generato fratelli ai figli nati da te,
li ponessi nella medesima condizione, e avendo stretto insieme la stirpe,
fossi felice: tu infatti che bisogno hai di figli?
Mi giova dare vantaggi con i figli futuri
a quelli viventi. Ho forse fatto calcoli sbagliati? (vv. 547-567).
In maniera analoga a Giasone si comporta un altro giovane Carlo Grandet quando scrive a sua cugina Eugenia che lo aveva atteso per sette anni, amandolo, dopo che si erano giurati amore eterno:”L’amore, nel matrimonio, è una chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che bisogna obbedire a tutte le leggi sociali e salvaguardare col matrimonio tutte le convenienze volute dal mondoOggi io posseggo ottantamila lire di rendita. Questo denaro mi consente di unirmi alla famiglia d’Aubrion, la cui ereditiera, una giovane di diciannove anni, mi porta col matrimonio il suo nome, un titolo, la carica di gentiluomo onorario di camera di sua Maestà, e una posizione fra le più brillanti. Vi confesserò, mia cara cugina, ch’io non amo affatto la signorina d’Aubrion; ma, unendomi a lei, assicuro ai miei figli una situazione sociale i cui vantaggi saranno in avvenire incalcolabili”[9].
Ma torniamo ai vecchi mal vissuti di Aristotele: sono impudichi in quanto incuranti del bello, ( Retorica, 1390 a); sono loquaci in quanto immersi nei ricordi dei quali vogliono parlare. Vivono più secondo il calcolo che secondo il carattere (kai; ma`llon zw`si kata; logismo;n h] kata; to; hqo~). Il calcolo, naturalmente dell’utile (oJ me;n ga;r logismo;~ tou` sumfevronto~).
Al contrario dei giovani, questi vecchiacci compiono ingiustizia per cattiveria.
Provano compassione non per filantropia, come i giovani, ma per debolezza (di j ajsqevneian). Insomma le stesse persone, passando dalla giovinezza alla vecchiaia rovesciano il loro carattere, o forse non ne hanno mai avuto uno proprio. Al filosofo non viene in mente che i vecchi, come i giovani non sono tutti uguali. Aristotele sta elencando dei luoghi comuni suggeriti del senso comune, spesso più reazionario che buono.
Aristotele è, al contrario di Platone, un cultore del senso comune anche se, come lui, è un tantino antidemocratico. Ed è forse proprio il suo senso comune quello che più annebbia la sua visione”[10].
I vecchi, al contrario dei giovani non sono spiritosi e non amano il riso (oujk eujtravpeloi oujde; filogevloioi ). La loro natura infatti è incline a lamentarsi.
Bodei e Machiavelli
Torniamo a Bodei che procede (pp.8-9) citando il proemio del secondo libro dei Discorsi di Machiavelli.
Il Fiorentino si domanda quando sia ragionevole celebrare il passato e biasimare il presente.
Per quanto riguarda le epoche storiche, l’autore ritiene che chi nasce in Italia e in Grecia () ha ragione di biasimare i tempi suoi e laudare gli altri: perché in quelli vi sono assai cose che gli fanno meravigliosi, in questi non è alcuna cosa che gli ricomperi da ogni estrema miseria, infamia e vituperio, dove non è osservanza di religione, non di leggi, non di milizia, ma sono maculati d’ogni genere di bruttura. E tanto sono questi vizi più detestabili, quanto ei sono più in coloro che seggono pro tribunali, comandano a ciascuno e vogliono essere adorati”
Ma per quanto concerne le età della vita il giudizio è diverso.
Come ha acutamente osservato Machiavelli nei Discorsi, il giudizio sul passato si modifica assieme a noi, varia con il variare dei nostri appetiti e con il dipanarsi della nostra esperienza. Lo dimostra l’esempio dei vecchi e di tutti i partigiani” delle cose passate, abituati a laudare” il tempo che fu e a biasimare” il presente”. Il loro atteggiamento, aggiunge Machiavelli, sarebbe giustificabile solo se i vecchi conservassero le medesime passioni e i medesimi interessi della loro giovinezza” (Generazioni, p. 10)
Bodei procede citando alcune righe di questo proemio, poi ricorda Il principe: “In epoche normali e pacifiche, l”uomo rispettivo”, ossia prudente e maturo di giudizio e di età, può riuscire felicemente a governare le sue differenti situazioni. Ma, in periodi travagliati o di veloce mutamento, ha invece più successo l impetuoso”, il giovane, che è per natura aperto al nuovo, provvisto di maggiore ardimento e di minore rispetto per il passato e per l’esistente. Di qui la celebre conclusione di Machiavelli: Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che rispettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarlaE si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de giovani, perché sono meno rispettivi, più feroci, e con più audacia la comandano”[11] (Generazioni, p. 11). Per oggi mi fermo qui ma proseguirò perché, mentre invecchio non male, leggo Remo Bodei imparando molte cose.
Giovanni Ghiselli.
[1] A Lear tentato dalla morte Gloucester dice: gli uomini devono sopportare/l’uscita di qui come la loro entrata./Lesser maturi è tutto (ripeness is all)” W. Shakespeare, King Lear, V, II, vv. 9-11).
[2] Composta tra il 18 e il 13 a. C.
[3] 1599-1600.
[4] Dante, Inferno, VII, 61.
[5] La forza del carattere, p. 27.
[6] Secondo Platone lejpiqumhtikovn è l’elemento appetitivo, la parte dell’anima più grossa e la più insaziabile di ricchezze. Lo qumoeidev” l’elemento irascibile deve essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel dirigere ejpiqumhtikovn (Repubblica, 441e).
[7] Aristotele lo attribuisce a Chilone spartano, uno dei Sette Sapienti vissuti nel sesto secolo a. C. Chilone fu eforo a Sparta intorno al 560 a. C.
[8] Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor . (Ovidio, Amores, 2, 20, 36)
E’ questo il tovpo” dell’amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un’ ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell’esperienza personale di ciascuno di noi.
Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:”kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei” (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell’XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
[9] H. d. Balzac, Eugenia Grandet (del 1833), pp. 158-159.
[10] G. Murray, Le origini dellEpica Greca, p. 30.
[11] Il principe, XXV.